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La tavola periodica dell’abbondanza

Nel 2019 si festeggiano i 150 anni dall'invenzione del sistema periodico. Iniziamo a raccontarlo con la tavola periodica dell'abbondanza relativa degli elementi chimici, un progetto portato in Italia dalla Società Chimica Italiana.

Il 6 marzo 1869, un giovane chimico russo che aveva preso parte come studente al primo Congresso Internazionale di Chimica di Karlsruhe nel 1860, si presentò alla Società dei Chimici per illustrare i risultati dei suoi studi sulle proprietà degli elementi. In quell’occasione, Dmitrij Ivanovič Mendeleev attirò per la prima volta l’attenzione della comunità scientifica con la sua tavola degli elementi, apparsa a maggio dello stesso anno su Zhurnal Russkogo khimicheskogo obshchestva (Journal of the Russian Chemical Society) e poi nel suo libro “I Principi di Chimica”.

Per celebrare il 150° anniversario di quell’evento così cruciale per la chimica e la scienza moderna, l’UNESCO ha deciso di dedicare all’anno in corso il tema della Tavola periodica degli Elementi. Con l’ “International Year of Periodic Table of Chemical (IYPT2019) si vuole ricordare il lavoro di Mendeleev con lo scopo di riconoscere, valorizzare e divulgare il prezioso e vasto patrimonio di conoscenza che ruota attorno alla chimica e agli elementi, protagonisti costanti delle nostre vite, anche se spesso inavvertiti o ignorati.

Quella di Mendeleev è infatti riconosciuta come l’antenata della moderna tavola periodica. Il suo nome del resto è subito associato a un’immagine nota non solo ai chimici o a chi bazzica i laboratori, ma a chiunque abbia studiato o solo sfogliato un libro di chimica a scuola, dove peraltro è spesso esposta nelle aule di lezione. Col tempo poi, la tavola periodica è anche diventata un’icona quasi pop, comparendo su gadget di vario tipo o nei titoli di testa di celebri serie televisive.

La prima tavola periodica

Nonostante sia ormai così familiare come “la Tavola di Mendeleev”, il chimico russo non fu in realtà il solo a studiare come caratterizzare e sistematizzare gli elementi, per quanto il suo fu un contributo decisivo.
La genialità del contributo di Mendeleev sta nell’aver dato l’interpretazione corretta a quella ripetizione periodica delle proprietà chimiche degli elementi che anche i suoi predecessori, come Stanislao Cannizzaro o John Newlands, avevano già fiutato. Sulla base dei dati ottenuti da Cannizzaro e analogamente a come aveva fatto Newlands prima di lui, il chimico russo organizzò gli elementi in righe per valori crescenti di massa atomica, con la prima fila contenente i primi sette elementi, dal litio al fluoro. Ben presto si rese però conto che non tutte le righe potevano contenerne sette: il criterio della periodicità andava seguito anche per colonne. Il suo intuito, inoltre, gli suggerì che, oltre a ordinare gli elementi allora noti, era necessario fare un ulteriore balzo in avanti, prevedendo addirittura degli elementi allora ignoti. Nella sua tavola mancavano infatti ancora quaranta elementi, ma Mendeleev sapeva che dovevano esserci e lasciò quindi degli spazi vuoti, che in effetti si cominciarono a riempire subito di lì a poco con le prime scoperte, del Gallio (1874), dello Scandio (1879) e del Germanio (1885).

Quanto abbiamo a disposizione di ogni elemento?

Quello che Mendeleev probabilmente non avrebbe mai potuto prevedere, è che molti degli elementi della sua tavola, noti e ancora ignoti, sarebbero stati utili e necessari per rivoluzionare la vita dell’uomo, fino a diventare vitali, introvabili e in via di esaurimento. Così come siamo abituati a vederla e a usarla, difficilmente guardiamo alla tavola cercando informazioni sulle riserve degli elementi. Che aspetto avrebbe invece se ci potesse dire anche quanto abbiamo già consumato di tutto il silicio, l’oro, il magnesio o l’elio presenti sul pianeta?A tal proposito, l’EuChems (European Chemical Society) ha avuto un’idea in occasione di IYPT2019: realizzare una “tavola periodica dell’abbondanza relativa degli elementi chimici“.

Crediti immagine: EuChems

L’idea è venuta a Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del CNR a Bologna, esperto di conversione di energia solare e materiali luminescenti, che l’ha proposta per la prima volta al consiglio direttivo di EuChems di cui fa parte. Questo progetto si è concretizzato, prima con un seminario sul tema tenuto al Parlamento Europeo nel 2015 dallo stesso Armaroli, l’evento di quest’anno ha dato l’occasione preziosa di realizzare la tavola dell’abbondanza per le scuole. La versione italiana è stata elaborata dalla Società Chimica Italiana in collaborazione con Zanichelli Editore, ed è consultabile e scaricabile gratuitamente.

La tavola dell’abbondanza è in sostanza una versione grafica alternativa della tavola periodica classica, rappresenta i 90 principali elementi che “fanno tutto” incasellati in box con aree e colori diversi a seconda della quantità relativa ancora disponibile tra le risorse terrestri, e del rischio che questi si esauriscano in fretta. L’effetto visivo finale non è molto diverso da quei cartogrammi dove i territori nella mappa geografica sono deformati in base a specifici parametri di interesse.

“È una tavola periodica un po’ particolare e insolita” – spiega Armaroli “non ci sono numeri, elettroni, livelli, orbitali, pesi atomici, ma un solo dato: la quantità di risorse. Viviamo in una società che ha una intensificazione della dimensione materiale straordinaria e preoccupante. C’è quindi una certa urgenza di allargare la visione della tavola ai temi sempre più attuali delle risorse e della sostenibilità ambientale”.

Tavola periodica e scarsità di risorse, partiamo dalle scuole

Il tema della scarsità delle risorse è tornato spesso a galla negli ultimi anni (ne abbiamo parlato per esempio qui e qui). La ragione di questa “fobia” è strettamente legata alla crescita eccezionale della produzione tecnologica degli ultimi quindici anni circa. Per avere subito chiara l’idea del rischio che corriamo, basta fare un esempio ormai abbastanza noto: per produrre un comune smartphone c’è bisogno di circa 40 elementi, dal Carbonio (C) e l’Idrogeno (H) per le guarnizioni in plastica, passando per il Silicio (Si) e il Germanio (Ge) dei microprocessori fino all’Oro (Au) dei contatti. La “tavola dell’abbondanza” li segnala infatti con un’icona specifica, dalla forma inequivocabile.

La scuola, frequentata ormai da studenti nativi digitali cresciuti con almeno un dispositivo mobile in tasca, è il luogo ideale dove iniziare questo nuovo percorso scientifico-culturale. Con questa iniziativa, l’intenzione è far arrivare il nuovo paradigma della tavola dell’abbondanza nelle scuole superiori edi tutta Europa. Al momento la tavola sta facendo un tour di presentazione nelle scuole italiane, raggiungendo così migliaia di docenti. “Nei nostri incontri con gli insegnanti, facciamo innanzitutto notare che nel 1990 in una casa media si contavano circa venti elementi chimici – continua Armaroli – mentre oggi ne abbiamo una quarantina solo nel palmo di una mano. Lo smartphone è quindi da un lato un caso interessante di dematerializzazione tecnologica, perché sostituisce in unica soluzione moltissimi oggetti. D’altro canto, per realizzare questa meraviglia dobbiamo scavare, letteralmente, nella tavola periodica”.
Gli insegnati sono entusiasti di questa nuova prospettiva aperta dalla tavola dell’abbondanza, anche perché così si comprende più facilmente quanto sbagliata e paradossale sia la nostra idea di prosperità: noi europei abbiamo quasi zero risorse di questo tipo da cui attingere, mentre dipendiamo quasi interamente dall’Asia o dall’Africa. Questo costringe anche a riflettere sui nostri rapporti con altri Paesi, su quanto siano sbagliati certi atteggiamenti di chiusura.

Tra gli elementi indispensabili per uno smartphone, ci sono molti metalli già scarsi e introvabili per loro natura, appartenenti al gruppo delle cosiddette terre rare – chiamate così nel 19° secolo, terre in quanto non potevano essere lavorati col calore come altri minerali, e rare perché meno abbondanti rispetto ad altri elementi analoghi – un gruppo di 17 elementi cruciali per diversi settori chiave nell’industria moderna, dalla mobilità elettrica all’energia e l’aerospazio, altre ai telefonini, appunto. Sebbene alcuni di questi siano in realtà più abbondanti di metalli più comuni come Piombo (Pb), Platino (Pt) o Argento (Ag), hanno tuttavia una concentrazione molto bassa nei loro depositi, rendendo l’estrazione un’impresa ardua e costosissima.

Per esempio il Litio (Li) e il Cobalto (Co), essenziali per le moderne batterie e le auto elettriche. Oppure l’Indio (In), un super elemento con una proprietà davvero magica: se combinato con Stagno (Sn) e Ossigeno (O), diventa un conduttore elettrico trasparente, l’ingrediente fondamentale per i nostri schermi touch, la stessa invenzione che ha fatto schizzare alle stelle la produzione dei nuovi telefoni. Peccato che l’Indio si trovi a fatica in natura, in genere legato a rocce di altri minerali come lo Zinco (Zn), da cui se ne estraggono minuscole quantità con processi lunghi e complessi – per questa ragione viene anche definito dai chimici “metallo autostoppista”. È il caso più emblematico di rischio per le supply chain: se per assurdo lo Zinco non servisse più, saremmo anche a corto di Indio. Questa vulnerabilità è tipica di tutti i metalli rari, per l’Indio in particolare non siamo neanche certi di quanto ne rimanga ancora – “unknown” secondo l’USGS, dieci anni ancora di scorte per le stime più pessimistiche. Non ci sono inoltre ancora dei sostituti validi e non esiste una catena di riciclo per questi materiali.

Il problema della scarsità riguarda tanti altri elementi, anche non necessariamente metallici, come l’Elio. Il pubblico, a cominciare dalle scuole, ha tutto il diritto, e a questo punto il dovere, di saperne di più: “Una maggiore trasparenza nei prodotti che compriamo sarebbe più che legittima, così come accade per gli alimenti” conclude Armaroli “È giusto sapere cosa mangiamo, per le stesse ragioni è anche giusto sapere cosa usiamo e che impatto hanno questi oggetti sull’economia, sull’ambiente, sulla salute”. In definitiva, sulla nostra vita.


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Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.