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HIV, paziente di Londra in remissione: riapre la ricerca di cure con trapianto di staminali

Nel 2007 un uomo sieropositivo annunciava di essere in remissione dall’infezione del virus HIV. Un risultato ottenuto grazie a un trapianto di cellule staminali con mutazione del gene CCR5 Δ32, ricevuto per curare una leucemia. Il paziente di Berlino, così Timothy Brown era stato soprannominato, ha aperto una nuova strada nella ricerca di cure contro l’HIV e l’AIDS. Altri gruppi di ricerca hanno tentato di replicare questo risultato, senza successo. Ora il caso clinico pubblicato sulla rivista Nature dal professore Ravindra Gupta, che ha coordinato i ricercatori dello University College di Londra, dell’Imperial College, di Oxford e Cambridge, riapre una strada che non sembrava percorribile con il secondo caso registrato al mondo.

Il paziente di Londra, che ha chiesto di rimanere anonimo, risulta in remissione dal virus HIV dopo un trapianto di cellule staminali, anch’esse da un donatore portatore della mutazione genetica che “protegge” dall’HIV. L’uomo si è scoperto sieropositivo nel 2003 e ha iniziato la terapia antiretrovirale (ART) nel 2012. Nello stesso anno, gli è stato diagnosticato un linfoma di Hodgkin e ha iniziato la chemioterapia.

Nel 2016, dopo il trapianto, è iniziata la remissione: per i primi 16 mesi, il paziente ha continuato ad assumere la terapia ART, poi l’ha interrotta e dopo 18 mesi (35 contando dal trapianto) è ancora in remissione dal virus. Una conferma che la storia clinica del paziente di Berlino non è stata un’anomalia non replicabile e che riapre il filone di ricerca dei trapianti da cellule staminali.

Il progetto ICISTEM

Una strada percorsa anche dal progetto internazionale ICISTEM, che raccoglie le storie cliniche nel mondo dei pazienti trapiantati con staminali che presentano la mutazione e che sono in remissione, per svelare come il gene CCR5 agisce. A spiegare a OggiScienza perché la mutazione di questo gene è importante per sviluppare una cura per l’HIV è il professor Adriano Lazzarin, primario della Clinica di Malattie Infettive dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

“Il gene CCR5 porta alla configurazione della superficie cellulare dei linfociti bersaglio del virus, che sono i linfociti CD4, esponendo sulla superficie un co-recettore, chiamato CCR5, che è quello di cui il virus si serve per entrare nella cellula sana e infettarla. In caso di delezione Δ32 del gene, il recettore non è integro e questo non consente al virus di entrare nella cellula e di infettarla. La delezione Δ32 è una situazione non comune, ma non così rara, dato che è presente in circa l’1% della popolazione europea”, ci spiega Lazzarin.

“Questo significa che raccogliendo cellule staminali per il trapianto, ad esempio per le terapie di linfomi o leucemie, abbiamo la possibilità di trovare cellule con queste caratteristiche tra i donatori. Il nostro obiettivo è capire come funziona questo meccanismo nei singoli casi e lo stiamo facendo da un punto di vista pratico nell’ambito del progetto internazionale ICISTEM, che studia i pazienti sieropositivi e che sono e sono stati sottoposti a trapianti per leucemie e/o linfomi”.

Il paziente di Berlino è stato sottoposto a trapianto di cellule staminali da donatore con CCR5 per una leucemia dopo una chemioterapia. Il paziente di Londra invece ha subito il trapianto per un linfoma di Hodgkin ed è stato sottoposto a chemioterapia tradizionale. Quali sono le differenze tra i due casi e i passi da fare – per verificare che un trapianto di staminali possa essere un approccio terapeutico efficace per la remissione del virus HIV-?

“Il paziente di Berlino fino ad oggi ha rappresentato un caso unico. Timothy Brown infatti è in remissione dal virus da 12 anni, ma verosimilmente non l’ha eradicato. Il paziente di Londra è un secondo caso e rappresenta uno stimolo eccezionale per andare avanti su questa strada, l’entusiasmo si stava un po’ spegnendo per la mancanza di conferme. Ci sono però alcune premesse da fare. La prima è che Brown  aveva risposto bene alla terapia antiretrovirale, che peraltro è efficace in più del 90% dei soggetti trattati”.

La seconda, continua Lazzarin,  “è che il paziente di Berlino era stato sottoposto a una radioterapia che aveva distrutto tutte le sue ‘vecchie’ cellule infette recettive. Infine, il trapianto non era avvenuto da donatore sconosciuto, ma da un consanguineo di Brown, quindi l’attecchimento delle nuove cellule per ricostituire il sistema immunitario era particolarmente favorito. Nonostante tutti questi aspetti a suo favore, va sottolineato che dopo 12 anni per Brown parliamo ancora di remissione del virus, non di eradicazione di Hiv dal suo organismo”.

Un approccio complesso

Dopo il caso di Berlino, l’attenzione della ricerca si era nuovamente diretta verso questo approccio ma senza risultati abbastanza soddisfacenti da proseguire. “Un gruppo di ricercatori di Boston aveva trattato un campione di circa 30 pazienti sottoponendoli al trapianto di cellule staminali con gene in cui era stata indotta la mutazione Δ32. Le cellule staminali trasdotte però non hanno funzionato e per i pazienti la remissione è stata parziale: solo in tre casi è durata pochi mesi”, conferma Lazzarin.

Il motivo dietro a questa remissione parziale, probabilmente, è che “il terreno su cui erano impiantate le cellule non era stato ‘distrutto’ dalla radioterapia come quello del paziente di Berlino e che le cellule non provenivano da donatori super compatibili, come il fratello, quindi l’attecchimento delle staminali non ha avuto l’efficacia riscontrata e sperata.

Il caso di Londra ora riaccende la speranza. La notizia infatti non va sottovalutata perché il contesto è molto diverso dal caso clinico di Timothy Brown: in primo luogo il paziente di Londra ha ricevuto le staminali da donatori che rientrano tra l’1% della popolazione con mutazione CCR5 Δ32 e non da consanguinei, in secondo luogo non è stato sottoposto a radioterapia, ma il linfoma di Hodgkin di cui era affetto è stato trattato con la consueta chemioterapia”.

Sia per il paziente di Londra che per quello di Berlino non si può parlare di eradicazione, ma solo di remissione. Il virus nell’organismo dei pazienti non è stato debellato e non si può parlare di una cura definitiva, ma entrambi i casi permettono di trarre alcune conclusioni importanti per nuovi passi in avanti nella ricerca. “Per parlare di eradicazione solo 18 mesi sono ancora pochi, ma è un periodo di remissione lungo. Il risultato ottenuto però non rende il paziente di Londra unico nel suo genere”, conferma Lazzarin.

Oggi in tutto il mondo sono circa 20 milioni le persone con HIV che seguono la terapia ART. In circa 100, dopo l’interruzione della terapia il virus è andato in remissione per un paio d’anni per poi ricomparire nuovamente nel sangue.

“Se un paziente inizia la terapia in tempo e i serbatoi del virus sono ridotti ai minimi termini, vi sono alcuni casi in cui interrompendo l’ART osserviamo una remissione”, prosegue l’esperto. “Tra i pochi pazienti trapiantati quello di Londra – secondo caso che conferma quello di Berlino che è in remissione da 12 anni – rappresenta un segnale importantissimo che porta nuovo impulso nello studio di terapie da cellule staminali”.

Esistono altri potenziali pazienti, come quelli di Londra e Berlino, che fanno ben sperare nella lotta all’HIV. Di loro si occupa proprio il progetto ICISTEM, che fissa i prossimi passi per la ricerca. “Si tratta di un gruppo internazionale di ricerca coordinato da San Francisco e da Barcellona di cui fanno parte anche i ricercatori del San Raffaele di Milano e del San Gerardo di Monza.

Il progetto ICISTEM sta raccogliendo informazioni su tutti i casi di pazienti affetti da HIV e sottoposti a trapianti di cellule staminali difettive Δ32 del gene CCR5. Al momento ne sono stati trovati circa 50 e il paziente di Londra è proprio uno di loro. L’obiettivo è capire quali siano i meccanismi immunitari che hanno fatto sì che il trapianto abbia funzionato per i due pazienti di Berlino e Londra e preparare per pazienti con storie cliniche analoghe un percorso di sospensione della terapia antiretrovirale, nei casi più idonei, per verificare se ci siano i presupposti per la remissione dell’infezione da HIV”.

Il futuro della lotta all’HIV

ART e trapianti di staminali, ma anche vaccino terapeutico TAT. La lotta al virus dell’HIV si arricchisce di importanti tasselli e di speranze per il futuro dei pazienti sieropositivi, sia verso la possibilità di trovare una cura che quella di migliorare la loro qualità della vita nonostante l’infezione del virus. Le remissioni dei due pazienti sono incoraggianti, ma per l’obiettivo dell’eradicazione c’è ancora strada da fare, dice Lazzarin. “Il messaggio che ad oggi va diffuso è che assumere la terapia antiretrovirale è il primo e fondamentale passaggio per raggiungere l’eradicazione del virus. I nuovi approcci terapeutici non devono alimentare la speranza che si possa andare nella direzione della sospensione o interruzione dell’ART in tutti i casi – oggi è disponibile solo per 20 milioni dei 36 milioni di pazienti candidabili-.

L’obiettivo finale è quello dell’eradicazione dell’HIV. Per dare un’idea della situazione italiana, secondo i dati del Ministero della Sanità sono 3.443 le nuove diagnosi di infezione da HIV registrate nel nostro paese solo nel 2017. Dopo un calo di nuove infezioni tra il 2012 e il 2015, negli ultimi due anni l’incidenza è rimasta stabile e la fine dell’epidemia non sembra all’orizzonte.

Per eradicare il virus, “la comunità scientifica si sta muovendo su più fronti”, dice Lazzarin. “Trapianto di cellule staminali, vaccini terapeutici, anticorpi monoclonali e ancora gene therapy sono gli approcci che appaiono nelle centinaia di ricerche che ogni anno vengono pubblicate. L’obiettivo è capire cosa succede quando un paziente interrompe il trattamento con antiretrovirali – una terapia da fare per tutta la vita – quando, nei casi che hanno interrotto il trattamento, la viremia è rimasta negativa in media per circa un mese”.

Ogni notizia positiva, come quella del paziente di Berlino, alimenta la passione degli scienziati e l’entusiasmo dei pazienti. “Si tratta di segnali incoraggianti, ma nei nuovi studi e trial clinici non va mai dimenticato l’aspetto etico che preservi la salute e il benessere del paziente. Non possiamo infatti presentarci da una persona con HIV e semplicemente dire ‘oggi smettiamo la terapia e vediamo cosa succede’”, conclude Lazzarin.

Gli studi clinici che prevedono la sospensione della terapia vanno progettati con le dovute cautele – a oggi un comitato internazionale multidisciplinare di ‘garanti’ ne ha approvati una quarantina -. Non tutti i pazienti infatti possono essere coinvolti, dato che la sospensione strutturata del trattamento deve essere meditata e proposta solo a coloro che hanno prospettive di successo. Dopo il paziente di Londra, nutriamo buone speranze di ottenere risultati più convincenti di quelli visti finora, che potrebbero migliorare la qualità della vita dei malati di HIV per cui la terapia antiretrovirale a lungo termine resta al momento una convincente soluzione”.


Leggi anche: HIV, scoperto come persiste nel nostro sistema immunitario

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   Crediti immagine: Val Altounian / Science Translational Medicine (2016)

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Veronica Nicosia
Aspirante astronauta, astrofisica per formazione, giornalista scientifica per passione. Laureata in Fisica e Astrofisica all'Università La Sapienza, vincitrice del Premio giornalistico Riccardo Tomassetti 2012 con una inchiesta sull'Hiv e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi 2019 nella sezione Under 35. Content manager SEO di Cultur-e, scrive di scienza, tecnologia, salute, ambiente ed energia. Tra le sue collaborazioni giornalistiche Blitz Quotidiano, Oggiscienza, 'O Magazine e Il Giornale.