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Quello che abbiamo fatto in 25 anni contro l’epilessia non basta

Di epilessia si muore ancora in tutto il mondo e il gap fra paesi ricchi e poveri è enorme. In Italia la mortalità è cresciuta dell'11% in 25 anni.

Un’ampia revisione sistematica su 195 paesi, pubblicata su The Lancet, mostra che l’epilessia è ancora una causa importante di disabilità e mortalità, specie nei paesi più poveri del mondo. Questo nonostante tra il 1990 e il 2016 sia diminuito il carico di malattia, burden of disease, ovvero una misura dello scarto tra lo stato di salute effettivo di una popolazione e quello atteso – in cui tutta la popolazione raggiunge l’aspettativa di vita prevista senza i più importanti problemi di salute -.

Questi cambiamenti non sono tanto il risultato di una differenza nella prevalenza dell’epilessia, quando della riduzione del tasso di mortalità e della gravità della malattia. Il basso tasso di mortalità nei paesi ad alto SDI (Status Socio Economico) ci fa capire che le tante morti per epilessia idiopatica nei paesi a basso reddito sono evitabili.

I numeri dell’epilessia

Nel 2016 le persone con epilessia attiva di natura idiopatica o secondaria a livello globale erano 45,9 milioni (621,5 persone ogni 100.000 abitanti) e sono stati 126.055 i decessi correlati all’epilessia: 1,74 ogni 100mila donne e 2,09 ogni 100mila uomini. Oltre a questo, sono 3,5 i milioni di anni persi in salute a causa della patologia: secondo le stime relative del Global Burden of Diseases sul 2015, l’epilessia è responsabile dello 0,5% degli anni di vita persi per disabilità (DALY) per tutte le malattie e del 5% dei DALY attribuibili a disturbi neurologici.


Nei paesi ricchi la prevalenza della malattia è aumentata di più rispetto ai paesi più poveri ma è diminuita la mortalità, segno che l’epilessia è ancora un tarlo tangibile per le popolazioni meno abbienti. Solo 25 persone su 100mila nei paesi a basso reddito del mondo vengono trattate con successo senza che sussistano crisi epilettiche, mentre nel segmento più ricco del mondo sono 137 i casi trattati in questo modo su 100 mila abitanti. Il gradiente a seconda dello status socio economico è evidente. Le convulsioni e le loro conseguenze contribuiscono al peso dell’epilessia perché possono causare perdita di salute, in termini di mortalità prematura e di disabilità residua.

Il gap è ancora importante nella prevalenza dell’epilessia grave: 179 casi su 100mila abitanti nei paesi poveri contro i 108 dei paesi ricchi. Rispetto a questo dato, bisogna ricordare che i paesi più poveri hanno in genere meno casi rispetto ai paesi ricchi.

L’epilessia in Italia

Lo studio riporta anche i dati italiani, non molto positivi: dal 1990 a oggi si è registrato un aumento dell’11% delle morti correlate all’epilessia (730 decessi solo nel 2016), nonostante la diminuzione del numero di casi (-14% dal 1990) e di anni persi in salute. La buona notizia è che i decessi correlati alla malattia nel nostro paese sono molti meno rispetto a quanti se ne registrano ogni anno nei paesi dell’Europa Occidentale con un numero simile di abitanti come Francia (1700 morti), Germania (2300 morti) e Gran Bretagna (1123 morti). In Germania in particolare dal 1990 a oggi la mortalità per epilessia è aumentata del 50%, così come il numero di persone che convivono con la malattia.

Il messaggio che emerge da questi dati riguarda soprattutto la progettazione dei servizi sanitari. La diminuzione dei tassi di mortalità e di DALY nei pazienti con epilessia tra il 1990 e il 2016 è incoraggiante ma non basta, anche nelle aree economicamente più avvantaggiate. È necessario essere sempre più attivamente consapevoli del fatto che i pazienti con epilessia sono più spesso poveri ed emarginati a causa dello stigma dovuto alla malattia. La conseguenza è che lo sforzo per raggiungerli è maggiore rispetto  a quello richiesto per molte altre patologie.

Le cause dell’epilessia secondaria, per esempio, sono più sensibili alla prevenzione, sebbene i trattamenti possano portare allo stesso controllo positivo delle crisi. Anche detta epilessia sintomatica, può dipendere da malformazioni del cervello o dalla presenza di altre patologie come tumori, ictus, infezioni. Migliorare l’accesso alle cure è la chiave per il successo nel ridurre l’onere dell’epilessia idiopatica.


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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.