GRAVIDANZA E DINTORNI

Meno fili, più coccole per i neonati in terapia intensiva

Nuovi sensori wireless per il monitoraggio dei parametri vitali dei neonati critici potrebbero ridurre alcuni effetti collaterali dei sensori tradizionali e facilitare il contatto pelle a pelle con i genitori.

Un sensore wireless applicato sul torace di un neonato (accanto ai sensori tradizionali, con fili) / Fotografia: Northwestern University

Un corpicino minuscolo, avvolto da un groviglio di fili: è l’immagine tipica di un bimbo ricoverato in un reparto di terapia intensiva neonatale, specie se estremamente prematuro. I fili sono quelli dei sensori che servono per il monitoraggio dei suoi parametri vitali (battito cardiaco, respiro, ossigenazione del sangue), una tecnologia necessaria per mantenere in vita un’esistenza tanto precaria, ma non priva di qualche effetto collaterale.

I sensori, per esempio, potrebbero provocare microlesioni alla delicatissima pelle del neonato, soprattutto per via dell’adesivo con il quale sono appiccicati, con conseguente rischio di infezione. I fili, invece, possono intralciare le attività di cura e assistenza degli operatori sanitari o i primi approcci dei genitori al loro bambino. “Vederlo così letteralmente appeso a un filo può essere traumatico, e rischia di far apparire il piccolo ancora meno accessibile di quanto effettivamente sia, anche perché c’è sempre l’idea di fare danni irreparabili non appena si sfiora qualcosa” racconta a OggiScienza Rosa Maria Quatraro, psicologa perinatale presso il reparto di ostetricia dell’Ospedale San Bortolo di Berica (Vicenza).

Nuovi sensori wireless per i neonati

Presto, però, tutto questo potrebbe scomparire, grazie a nuovi sensori wireless (senza fili) messi a punto da un team di ingegneri biomedici della Northwestern University di Chicago e descritti il primo marzo scorso sulla rivista Science. “Una soluzione brillante a un problema concreto” li definisce Alberto Eugenio Tozzi, responsabile della struttura di innovazione e percorsi clinici dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, sottolineando che è proprio così che dovrebbero emergere le innovazioni in ambito clinico: come risposte confezionate su misura per esigenze precise.

I nuovi sensori sono una coppia di dispositivi di piccole dimensioni (la lunghezza massima è di 5 cm, per 2,5 cm di larghezza) da collocare uno sul torace e l’altro sotto un piedino. L’aspetto è quello di cerottini trasparenti, ma si tratta di sottili fogli di silicone (lo spessore è quello di un foglio di carta) contenenti un sistema di microfluidica che permette di raccogliere vari parametri: non solo quelli rilevati dai sensori tradizionali, ma altri in più come la temperatura centrale e periferica del corpo o la pressione arteriosa, che di norma viene misurata attraverso bracciali speciali per bambini così piccoli, che potrebbero a loro volta essere fonte di microtraumi.

I sensori wireless sono più delicati per la pelle di quelli tradizionali (essendo più leggeri, per tenerli in sede basta un adesivo più blando), sono naturalmente elastici, per cui riescono a seguire i movimenti del corpo, e sono alimentati da microantenne a radiofrequenza che servono anche per la trasmissione dei dati raccolti. A questo proposito, gli sviluppatori precisano che le onde radio messe in gioco non superano le soglie di sicurezza previste dagli enti regolatori americani. “Del resto stiamo parlando di quantità irrisorie rispetto a quelle già emesse dai dispositivi elettronici presenti in una Tin” commenta Tozzi.

I nuovi sensori sono già stati testati con alcune decine di neonati presso un paio di ospedali pediatrici di Chicago e i risultati sembrano del tutto positivi: i dati raccolti con la tecnologia senza fili sono accurati e precisi quanto quelli ottenuti con i dispositivi tradizionali. Inoltre, i sensori wireless hanno permesso di rilevare con facilità e in un colpo solo parametri altrimenti più difficili da ottenere, come la variazione di temperatura tra zone differenti del corpo, la pressione, le caratteristiche del flusso sanguigno. “Un risultato davvero importante – commenta Tozzi – perché più informazioni si riescono a raccogliere in modo integrato, migliore diventa la capacità di prevedere l’arrivo di eventuali criticità e, dunque, di intervenire in tempo. Non caso, quello della massima integrazione possibile delle informazioni è uno dei principali obiettivi di ricerca nell’ambito della terapia intensiva neonatale”.

Pelle a pelle, neonati e genitori

E ancora: i nuovi cerottini hi-tech hanno mostrato effetti positivi rispetto all’impatto sulla pelle e alla possibilità di contatto pelle a pelle tra genitori e bambini. “È vero che ci si abitua a gestire il groviglio di fili che circonda il bambino, ma è indubbio che sia un intralcio per noi e per i genitori” racconta Elisabetta Dioni, coordinatrice infermieristica della Tin degli Spedali Civili di Brescia. “Soprattutto le prime volte che una mamma o un papà cercano di prendere in braccio il loro piccolo è tutto un susseguirsi di avvertimenti: attenzione a questo o a quel filo, aspetti che sistemo questo elettrodo e così via. Non è semplice, ed eliminare questa componente migliorerebbe le interazioni”.

Non è cosa da poco, visto che il contatto pelle a pelle del neonato con la mamma o il papà, la famosa marsupio-terapia, è ormai considerato una pratica fondamentale in terapia intensiva neonatale. Può sembrare strano, visto che non c’è niente di meno tecnologico: in effetti la pratica è stata formalizzata come terapie medica alla fine degli anni settanta in un ospedale di una delle aree più povere di Bogotà, in Colombia, per far fronte alle disastrose condizioni del punto nascita, così sovraffollato che le incubatrici per i prematuri spesso accoglievano più bambini contemporaneamente (qui un articolo di The Atlantic che racconta tutta la storia).

Con l’avvento della marsupio-terapia si invitavano le mamme a tenersi sul petto i loro bimbi (importantissimo che ci fosse un vero contatto pelle a pelle, senza il minimo pezzetto di stoffa tra i due corpi), si spiegava loro come allattarli e come gestire eventuali emergenze, dopo di che la coppia veniva dimessa. I benefici sono apparsi subito eclatanti e sono stati confermati da decenni di ricerca. Una revisione dei dati di letteratura pubblicata nel 2016 dalla rivista Pediatrics ricorda per esempio che la marsupio terapia praticata con bambini prematuri è associata a una riduzione della mortalità e dei rischi di sepsi, ipotermia, ipoglicemia e difficoltà respiratorie, oltre che a un miglioramento del controllo della temperatura, dell’ossigenazione nel sangue e del tasso di allattamento esclusivo al seno.

“Un aspetto, quest’ultimo, a sua volta molto importante, sia per gli effetti positivi – anche questi ampiamente dimostrati – del latte materno per la salute dei prematuri, sia per le ricadute positive per le mamme, che vivono questo gesto come una delle poche cose concrete che possono fare per i loro piccolini, dopo il trauma della nascita prematura” spiega Quatraro. Sottolineando che, infine, con il contatto pelle a pelle prolungato ci sono benefici anche in termini di bonding, quel legame affettivo speciale che si crea tra una mamma (o un papà) e il suo bambino, fatto di tutti gli atteggiamenti e le attenzioni che consentono di prendersene cura in modo adeguato, facendolo sentire amato e al sicuro.

Insomma, i presupposti per la diffusione dei nuovi sensori wireless sembrano ottimi, anche perché il loro costo è relativamente limitato: secondo gli sviluppatori potrebbero arrivare negli ospedali americani nel giro di un paio d’anni, ma c’è anche la prospettiva di inviarne una prima fornitura a paesi in via di sviluppo già l’anno prossimo, nell’ambito di un progetto internazionale che coinvolge la Bill & Melinda Gates Foundation.


Leggi anche: Sequenziare il DNA dei neonati. Oppure no?

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

 

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance