SALUTE

Fumo passivo: non facciamoci rubare l’aria

Quasi 900mila persone muoiono ogni anno perché esposte a fumo "di seconda mano". È un rischio per la salute, da quella respiratoria a quella riproduttiva, che continuiamo a sottovalutare.

Ci fa male anche il fumo della sigaretta dell’amico che  arriva dall’altra parte del tavolino, mentre siamo seduti insieme al bar. Questo è un fatto risaputo, ma quanto ci fa male? Che cosa dicono gli studi più recenti e qual è la situazione italiana in merito all’esposizione al fumo passivo? Abbiamo approfondito la questione anche grazie al supporto di esperti.

Che cos’è il fumo passivo

Il fumo passivo è quello che non si aspira direttamente da una sigaretta, una pipa, un sigaro, ma quello che si inala perché presente nell’ambiente. È la combinazione del fumo che fuoriesce dalla sigaretta accesa e di quello espirato dal fumatore, che si trasferiscono all’aria circostante. Meno nota è invece la definizione di “fumo di terza mano”, cioè quello che si deposita su tende, tappeti, tessuti e, in generale, in un ambiente chiuso esposto al fumo.

Considerato da molti solo una semplice seccatura per via del cattivo odore che ne deriva, è oggi oggetto di studi che ne mettono in luce la pericolosità per la salute. Così come il fumo “di prima mano”, il fumo passivo contiene una serie di composti dannosi. Come sottolinea l’Organizzazione Mondiale della Sanità, almeno 250 delle sostanze contenute nel fumo di tabacco sono nocive e più di 50 sono cancerogene. Non bisogna, poi, dimenticare l’effetto della nicotina, che causa forte dipendenza psicofisica.

Quanto ci fa male il fumo passivo?

Gli  studi sui danni provocati dal fumo passivo sono ormai tantissimi: i dati che si accumulano anno dopo anno contribuiscono a rafforzare l’idea dell’importanza di non essere esposti al fumo negli ambienti in cui si svolge la nostra vita. L’Organizzazione Mondiale della Sanità attribuisce al fumo passivo circa 890.000 morti l’anno, un dato impressionante e superiore a quello di precedenti rilevazioni.

Accanto alle singole indagini si stanno accumulando diverse meta-analisi e revisioni sistematiche, che mettendo insieme i dati provenienti da molti studi ci permettono di avere un’idea più precisa dello stato della ricerca sul tema. Per esempio, un’ampia revisione degli studi epidemiologici sugli effetti del fumo passivo, pubblicata nel 2015, sottolinea il collegamento tra fumo passivo e aumento del rischio di alcuni tipi di cancro, di allergie, di malattie dei bambini etc.

Un’altra meta-analisi del 2015 mette in evidenza l’associazione tra fumo passivo e l’aumento del rischio di cancro al seno, mentre un’altra del 2018 sottolinea l’aumento del rischio di cancro della cervice uterina. Ancora, una meta-analisi degli studi epidemiologici del 2018 ha esaminato l’impatto del fumo passivo su persone che non hanno mai fumato, concludendo che comporta un aumento del rischio di cancro, soprattutto del polmone e del seno, e soprattutto tra le donne. Il collegamento con malattie tipicamente femminili e dell’infanzia evidenzia come il fumo passivo metta ancor più in pericolo donne e bambini.

I rischi in gravidanza

Un momento particolarmente delicato è quello della gravidanza, relativamente al quale i rischi del fumo passivo sono ben documentati. «I danni del fumo in gravidanza sono noti e dimostrati: sappiamo, infatti, che il neonato di fumatrice ha un basso peso alla nascita, è più a rischio di parto prematuro ma anche di sviluppare patologie respiratorie e cardiache da adulto. Sembra anche che ci sia un legame con problemi dello sviluppo cerebrale e neurologico», spiega a OggiScienza Salvo Di Grazia, ginecologo e divulgatore scientifico.

Tra gli studi più recenti al riguardo troviamo una meta-analisi del 2018 che mette in relazione  il fumo passivo e le malformazioni congenite e una del 2019 che collega il fumo passivo dei genitori e i difetti cardiaci congeniti. Un’altra revisione sistematica e meta-analisi collega anche il fumo passivo al quale sono esposte donne gravide non fumatrici all’aumento del rischio di sviluppare sintomi depressivi. La necessità di proteggere le donne incinte dall’esposizione al fumo ambientale emerge, quindi, con grande chiarezza.

Continua Di Grazia: «L’altro elemento che non bisogna trascurare in questo senso è che i danni da fumo passivo sono praticamente sovrapponibili a quelli del fumo diretto. Certamente dipende anche dalle quantità e dal tempo di esposizione, ma non possiamo dire che i due tipi di assunzione del fumo siano particolarmente diversi».

Esposizione al fumo passivo

Quello che conta è la quantità di fumo inalata, in genere maggiore quando si fuma in prima persona, ma può che essere elevata anche in presenza di una continuativa esposizione al fumo di altri. Soprattutto quando ci si trova in un ambiente chiuso.

«In Italia una concreta riduzione dell’esposizione al fumo passivo si è avuta con l’entrata in vigore, nel 2003, della legge che vieta il fumo negli spazi pubblici e nei posti di lavoro, la cosiddetta ‘legge Sirchia’», dice a OggiScienza Roberta Pacifici, che dirige l’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga (OssFAD) dell’Istituto Superiore di Sanità. «La legge Sirchia ha anche avuto, nel tempo, l’esito di aumentare la sensibilità e l’attenzione al tema, dimostrando di avere una funzione educativa. Sembra anche aumentata la consapevolezza, da parte del fumatore, della necessità di proteggere gli altri dagli effetti del proprio fumo».

«I dati ci dicono, infatti, che sono molti i fumatori che oggi scelgono di non fumare in casa. Allo stesso modo, sembra cambiato significativamente il comportamento nei riguardi degli ospiti: una decina di anni fa il 70% delle famiglie permetteva agli ospiti di fumare in casa propria; oggi lo permette meno del 10%», sottolinea Pacifici, che rimarca  l’importanza di impegnarsi a ridurre l’esposizione al fumo passivo, che, oltre ai rischi più noti, ha anche un effetto diretto sulla fertilità maschile e femminile.

I dati sull’applicazione della legge contro il fumo e, in generale, sull’esposizione al fumo ambientale nel territorio nazionale sono abbastanza incoraggianti, anche se ci sono ampi margini di miglioramento. A questo link è possibile farsi un’idea sulla base degli ultimi rilevamenti, anche se parziali. Possiamo notare come la situazione dei locali pubblici sia decisamente migliore rispetto a quella dei luoghi di lavoro e dell’ambiente domestico.

Promossi ma con riserva, quindi, e, decisamente, vale la pena di impegnarsi di più. Ne va dell’aria che respiriamo.


Leggi anche: È vero che fumare poco non fa male?

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Anna Rita Longo
Insegnante, dottoressa di ricerca e science writer. Membro del board di SWIM - Science Writers in Italy e socia effettiva del CICAP - Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze