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Annusare i tumori: cani da fiuto per la diagnosi del cancro

Il senso dell'olfatto canino è fino a 100.000 volte più potente del nostro. Una dote che permette loro di individuare i tumori e potrebbe portare, in futuro, a strumenti diagnostici bio-ispirati da usare in ambito clinico.


Nell’aprile del 1989, la rivista inglese The Lancet pubblicò una lettera, firmata da due dermatologi, che riportava il caso di un cane in grado di riconoscere, attraverso l’olfatto, la presenza di un melanoma sulla gamba della proprietaria. Quest’ultima, insospettitasi dall’insistenza del cane nell’annusarle una lesione nella gamba, si era rivolta ai medici per un controllo, che ne rivelò la natura cancerosa.

Fu il primo report scientifico a suggerire la possibilità d’impiegare i cani per la diagnosi dei tumori, e aprì la strada a molti altri lavori. Tra gli ultimi, quello presentato a inizio aprile all’Experimental Biology meeting 2019, nel quale a quattro beagle è stato insegnato a riconoscere i campioni di sangue positivi per il tumore maligno al polmone. Con risultati estremamente precisi, riportano i ricercatori, guidati da Heather Junqueira, fondatrice della start-up BioScentDX, che lavora proprio sull’impiego di questi animali per la diagnosi dei tumori: i cani sono stati in grado di individuare i campioni positivi con un’accuratezza quasi del 97 per cento.

Perché un cane per la diagnosi?

Per molti tipi di cancro, le tecniche diagnostiche convenzionali hanno dei limiti. Ad esempio, il test del PSA (prostate-specific antigen) utilizzato per lo screening del tumore alla prostata ha una specificità e un’accuratezza limitate, e si possono riscontrare alti livelli di antigene nel sangue anche in presenza di tumori benigni. Un altro esempio è l’analisi del sangue occulto nelle feci, usato per lo screening del cancro colon-rettale che, pur essendo economico e non invasivo, non è sempre in grado di rivelare la lesione tumorale o, viceversa, può dare esito positivo se vi sono emorroidi o piccole lesioni. Anche la biopsia del tessuto presenta svantaggi: oltre a essere una procedura invasiva, l’accuratezza della prima biopsia può essere limitata (sempre nel caso del tumore alla prostata, l’accuratezza alla prima biopsia è intorno al 30%).

Una tecnica diagnostica precisa, sensibile, in alcuni casi anche in grado di fornire una diagnosi precoce, che per molte forme di cancro può cambiare la prognosi, sarebbe quindi benvenuta, e l’olfatto canino potrebbe essere il punto di partenza.

Un olfatto portentoso

Sebbene ci siano differenza inter-individuali e correlate alla razza, si stima che il senso dell’olfatto dei cani sia dalle 10.000 alle 100.000 volte più potente del nostro e in grado di rilevare, al minimo, composti organici volatili alla concentrazione di una parte per trilione. Come riporta una review pubblicata nel 2018 sulla rivista Frontiers in Veterinary Science, la sensibilità è dovuta alle centinaia di ciglia presenti sulla superficie di ogni singola cellula olfattiva del cane (a fronte delle circa 25 presenti su quelle umane), che permettono la rilevazioni di concentrazioni minime di molecole. Inoltre, ogni cellula olfattiva presenta un solo tipo di recettori: nei cani, questi sono oltre 220 milioni (a fronte dei 5-10 milioni umani), per cui vi si può legare un vasto numero di molecole.

A ciò si aggiunge un organo che nell’essere umano rimane solo come vestigiale, il vomero-nasale o organo di Jacobson, che, presente nei serpenti, nelle lucertole e in molti mammiferi (tra cui appunto il cane), funziona come sito addizionale per la percezione olfattiva. Inoltre, anche l’area della corteccia cerebrale deputata alla percezione olfattiva è molto più sviluppata nei cani rispetto agli esseri umani.

Considerando ciò che sappiamo sul sistema olfattivo del cane in termini anatomici e citologici, nonché sull’esperienza empirica che vede da tempo impiegato il fiuto di questo animale per la ricerca di tartufi, persone disperse e prede abbattute, non dovrebbe quindi stupire che alla lista si possano aggiungere anche i tumori. Ma come, esattamente? Quali sono le molecole rilevate dai cani che permettono loro di discriminare la presenza di un cancro?

L’odore nascosto

«Nessuno sa quali siano i componenti chimici che, prodotti dal tumore, il cane è poi in grado di riconoscere», spiega a OggiScienza Mariangela Albertini, professoressa associata di fisiologia veterinaria all’Università di Milano, che ha collaborato con Medical Detection Dogs Italia e con l’Istituto europeo di oncologia (IEO) a un progetto di ricerca sulla diagnosi del tumore al polmone con i cani da fiuto (i risultati preliminari del loro lavoro sono disponibili qui). «Si parla genericamente di composti organici volatili (VOCs, volatile organic compounds), termine che però indica un vasto numero di molecole accomunate da un certo grado di volatilità».

Concorda il dottor Gianluigi Taverna, responsabile di Urologia presso Humanitas Mater Domini di Castellanza (Varese), che collabora da anni con il tenente colonnello del centro militare veterinario Lorenzo Tidu per la diagnosi del tumore alla prostata impiegando cani da fiuto. Il loro primo lavoro, pubblicato nel 2015 sul Journal of Urology, ha valutato l’abilità di due femmine di pastore tedesco del centro veterinario militare: la sensibilità e la specificità degli animali nell’individuare i campioni positivi si avvicinavano al 100 per cento. «Nonostante gli sforzi, a oggi non sappiamo quale sia lo specifico pool di molecole che compone l’odore del tumore; l’unica cosa nota è che si tratta di odori cancro-specifici, ossia ogni tipo di tumore ha il suo odore caratteristico», spiega Taverna.

Una possibilità per individuare le molecole precise che caratterizzano il tumore è eliminare a uno a uno i componenti del campione e vedere fin quando il cane è comunque in grado di riconoscerlo come positivo.

Quali tumori?

Le ricerche si sono focalizzate su diversi tipi di tumore. Una review del 2017 riporta di ricerche condotte per la diagnosi dei tumori colon-rettali, della mammella, dell’ovaio, della pelle, della prostata e della vescica; altri lavori, come quello descritto al Biology experimental meeting 2019 o quello condotto dallo IEO in collaborazione con il Dipartimento di medicina veterinaria dell’Università di Milano, si sono concentrati sul tumore al polmone.

Per la diagnosi, i cani possono lavorare su diversi tipi di campione; quelli più comunemente usati negli studi sono sangue, aria espirata e urina. Ma è stata soprattutto quest’ultima a essere testata, perché presenta vantaggi importanti per gli studi: il prelievo non è invasivo ed è un campione maneggevole (si pensi ad esempio a quanto facilmente può essere perso un campione di aria espirata). «Inoltre, le urine si sono rivelate molto efficaci dal punto di vista aromatico, ossia contengono cataboliti utili per la diagnosi, sebbene non si sappia quali siano i marker individuati dai cani», spiega Taverna.

Ma il cane non è una macchina

Le ricerche valide pubblicate sono comunque un numero ancora limitato. «Molto dipende anche dall’addestramento del cane. Ad esempio, se il conduttore lo accompagna verso i campioni, può creare un’interferenza con la sua ricerca», spiega Albertini. «Noi abbiamo lavorato lasciando il cane libero; l’addestramento era basato sul clicker, un metodo ampiamente collaudato nel quale, in sostanza, si usa un apparecchio che emette un “click” e che il cane associa al rinforzo positivo. S’iniziava con campione negativo e uno positivo in modo che il cane arrivasse a riconoscere la differenza tra i due, poi man mano venivano aggiunti i campioni negativi».

«Siamo ancora in fase di ricerca e attualmente il cane non può essere impiegato nella routine clinica», spiega Taverna. D’altra parte, anche se vi fossero molti più studi e meta-analisi a confermare l’abilità e la precisione dei cani nel diagnosticare i tumori, è difficile pensare che questi animali possano rappresentare il futuro della diagnosi. La ragione, come spiega un articolo di Scientific American, è che far annusare a un cane migliaia di campioni di cui solo una manciata è positiva offre poco in termini di rinforzo positivo. E anche ai cani può capitare una giornata storta, nella quale possono sbagliare una diagnosi. In sostanza, i cani non sono macchine. Tuttavia, la ricerca condotta sul loro lavoro potrebbe aiutare lo sviluppo di strumenti che replichino la loro abilità, come il naso elettronico, un sistema biomimetico che cerca di replicare l’apparato olfattivo.

«Quando ho iniziato gli studi sull’olfatto dei cani per la diagnosi del tumore alla prostata, nel 2012, gli altri medici mi guardavano come se fossi matto, perché la diagnostica procede su tutt’altre linee. Oggi invece si è capito che il cancro ha un suo odore proprio grazie ai cani, e bisognerà lavorare per creare strumenti che lavorino come loro», conclude Taverna.


Leggi anche: A che punto siamo con i vaccini contro il cancro?

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.