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Non tutto è come appare. La recensione di “Incanto”, di Michele Bellone

Nel fantasy e nei giochi di ruolo non ti aspetti certo di trovare coerenza e coesione logica. Eppure è così: anche per sospendere l'incredulità, serve un mondo fantastico che sia coerente e verosimile.

L’aneddoto è celebre, ma non per questo meno emblematico. Nel 1936 Sotheby’s mette all’asta 332 lotti di carte varie appartenute a Isaac Newton. In sala, tra gli interessati all’acquisto c’è anche John Maynard Keynes, uno dei più importanti economisti del Novecento. Keynes era un appassionato di Newton e, soprattutto, ne ammirava la capacità logica, il metodo applicato alla deduzione delle leggi della gravitazione universale. Spera, l’economista, di ritrovare nelle carte appartenute al celebre scienziato indizi ulteriori del suo modo di procedere, del suo pensiero scientifico, della sua competenza matematica. Così da Sotheby’s spende una cifra importante, ma non impossibile, per portarsi a casa quelli che riteneva essere con tutta probabilità gli appunti preparatori dei Principia o dell’Opticks.

Tra l’asta e una serie di trattative con altri collezionisti, alla fine Keynes si porta a casa 130 lotti di quelle carte. E una volta ritiratosi nel suo studio a leggerle in santa pace non vi trova praticamente nulla di quello che si aspettava: cronologie bibliche, dissertazioni alchemiche alla ricerca della pietra filosofale, disputazioni teologiche sulle eresie cristiane. Ma come, si domanda Keynes, la più grande mente scientifica moderna si dilettava nel tempo libero, con pari dedizione, a temi così poco… scientifici?

Ebbene sì, al punto che sulla faccenda è stato scritto un famoso libro che si intitola semplicemente Newton. L’ultimo mago.

Tutta colpa delle vertebre…

Se volete saperne di più sul rapporto tra magia e Newton, meglio che vi leggiate l’articolo di Andrea Albini sul sito del CICAP. Se invece volete cercare di capire perché la delusione di Keynes (e di molti altri con lui) non ha molto senso, potete invece leggere il nuovo libro Incanto. Storie di draghi, stregoni e scienziati (Codice Edizioni, 249 pagine, 20 €) di Michele Bellone, co-autore di questa rubrica fin dalla sua nascita. La vicenda di Keynes ovviamente c’è, in buona compagnia con molte altre in cui i confini tra quello che consideriamo “magia” e quello che consideriamo “scienza” non sono affatto netti come crediamo. E non perché ci sia una ripresa del pensiero magico, come sostiene qualche oltranzista dello scientismo a tutti i costi, ma perché credere alla possibilità di tramutare il piombo in oro ed essere un eccellente scienziato, vedi Newton, non sono attività necessariamente in contrasto l’una con l’altra.

Questo è sicuramente un punto di partenza, ma Michele Bellone non è interessato al rapporto tra pensiero magico e pensiero scientifico, non ha scritto una dotta analisi di come possa percolare nella scienza qualche stilla di fantasy. No, a lui interessano i draghi. Almeno da quando, alcuni anni fa è entrato in un negozio di giochi di ruolo e vi ha trovato Draconomicon, un manuale di Dungeons & Dragons in cui si precisa il numero delle vertebre di tutti i draghi (di D&D, ovviamente): 13 cervicali, 12 toraciche, 7 lombari e 36 caudali. Cioè, qualcuno si era preso la briga di applicare i principi della tassonomia (e della biologia e di molte altre discipline scientifiche) ai draghi. Perché?

Ecco, si potrebbe dire che questo è l’interrogativo che lo ha spinto a fare ricerche, intervistare diversi esperti (scrittori, scienziati, comunicatori scientifici, esperti di giochi). Certamente è andato a caccia di situazioni in cui la scienza è entrata, direttamente o indirettamente, nella letteratura fantastica. È questo il passaggio più diretto, quello che ci si aspetta dalla lettura di un libro come Incanto. Si può cominciare da un grande classico degli stratagemmi narrativi di fantascienza, la terza legge di Arthur C. Clarke, che dice che «qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia», per trovarci tra le mani un congegno capace di generare potenzialmente un numero infinito di storie fantastiche e, allo stesso tempo, farci cortocircuitare il pensiero con l’immagine di Newton chino a fare conti sulla cronologia della Bibbia e domandarci quanto di quello che riteniamo impossibile oggi, domani non sarà parte della nostra tecnologia di uso quotidiano.

Un esempio? I comunicatori di Star Trek sono molto simili ai cellulari che oggi abbiamo tutti, compreso un sistema di localizzazione che rende possibile individuare le persone da teletrasportare, un po’ come il GPS sul nostro telefono ci permette di accedere a una serie di servizi geolocalizzati e personalizzati.

Il worldbuilder che è in noi

L’aspetto più stimolante del libro però non è questo, per quanto sia molto divertente. Incanto è particolarmente interessante quando ci mostra come anche ciò che per definizione è fittizio (la fiction, appunto) funziona se si basa su principi realistici che, molto spesso, significa scientificamente se non veri, almeno sensati. Facile pensarlo delle tre leggi della robotica di Isaac Asimov e paragonarle alle discussioni sull’intelligenza artificiale di oggi. Ma ancora di più è interessante riflettere sulla necessità di scrittori e inventori di giochi di creare mondi fantastici (il worldbuilding) che rispondano a criteri di verosimiglianza, che rendano cioè accettabile per la nostra mente, con tutto il suo bagaglio di esperienze e riferimenti, accettare che un drago possa prendere il volo senza rincorsa (mmhmm…) oppure dover fornire un sistema coerente per la magia all’interno di una storia.

Insomma, ed è una semplificazione brutale che non rende conto delle mille sfumature della questione, anche quando ci divertiamo con gnomi, elfi, vampiri e quant’altro tendiamo a sospendere la nostra incredulità se quel mondo in cui ci stiamo immergendo è coerente, coeso e in qualche modo sensato. Altrimenti la narrazione ne risentirebbe, al punto da alienare il fruitore stesso della storia. Ed è per questo aspetto che il libro di Bellone non è una banale “scienza del fantasy” o simile: perché ci fa vedere ancora una volta come la “furia” classificatoria, l’ansia di spiegazione di come va il mondo che ha mosso e continua a muovere gli scienziati di tutto il mondo non sia così diversa da quelle che, inconsapevolmente e con gradi differenti, mettiamo in campo come lettori e fruitori di fiction.


Leggi anche: La fanciulla e il drago. Scienza e fantasy nella divulgazione di Licia Troisi

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it