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Chernobyl: una serie che fa paura, inquieta. Ed è giusto così

La nuova serie Sky, in collaborazione con HBO, colpisce nel profondo. Con i toni da film dell'orrore che si addicono al drammatico incidente del 1986.

Un grande costruttore di storie come Stephen King ha immaginato molti modi di inquietare, terrorizzare e in un certo senso far male allo spettatore. Non serve molto, a dire il vero: basta un gioco di coppia finito male, un pagliaccio assassino, una strana nebbia che pervade una città. Chiunque abbia visto o letto Il gioco di Gerald, It o The Mist, probabilmente ritroverà molte di quelle sensazioni che smuovono le viscere in Chernobyl. La nuova serie Sky, prodotta in collaborazione con HBO e in onda in Italia dal 10 giugno su Sky Atlantic, è decisamente affine alle storie di Stephen King. Fa paura, inquieta, fa dormire male, colpisce nel profondo. Con la differenza che è una storia ispirata a una vicenda vera, drammaticamente vera.

Una grande storia tratta dalla Storia

Sgombriamo subito il campo: Chernobyl non è un documentario. Pertanto sì, ci sono errori scientifici (per questi, rimandiamo alla puntata di Radio 3 Scienza dedicata alla serie) e licenze poetiche, ci sono personaggi fittizi, ci sono fatti veri, altri presunti e altri semplicemente inventati, c’è talvolta da soprassedere su scelte discutibili – prima fra tutta la lingua inglese parlata da tutti i personaggi che anglofoni non sono, quando invece annunci e telegiornali sono in russo.

Tutto questo rovina la fruizione? Assolutamente no. Chernobyl è una serie televisiva, e come tutte le serie televisive è frutto di un lavoro di scrittura che è anche e soprattutto adattamento, com’è inevitabile. E l’adattamento di Craig Mazin fa subito una scelta di campo: la serie, sin dai primi minuti, sveste i panni del documentario e del crudo resoconto per assumere quelli del racconto dell’orrore, della paura e dell’angoscia. Sceglie subito un punto di partenza forte: il suicidio di un personaggio. Che, lo scopriremo poi, ha un ruolo fondamentale. Vogliamo sapere chi è, vogliamo sapere perché lo fa, e vogliamo sapere come quella morte è legata a una tragedia che conosciamo.

Il terrore di chi guarda chi non sa

Come raccontare una storia che, a parte i dettagli, è in buona parte assai nota al mondo intero? Mazin gioca sullo straniamento e sull’ansia che chi guarda proietta nei personaggi: lo spettatore sa che è successa una tragedia, i personaggi no, devono scoprirlo, lo scopriranno. Gli addetti alla centrale lo sanno? Forse inizialmente no, forse sottostimano quanto è successo, forse sono in malafede. Due di loro ripetono ossessivamente “Abbiamo fatto tutto bene, non abbiamo sbagliato niente” ma chi guarda sa che non è così, che errori ce ne sono stati e che è appena accaduto qualcosa che va al di là di ogni immaginazione.

L’essere umano ha appena generato una catastrofe mai accaduta prima nella storia, come afferma nella serie anche lo scienziato Valery Legasov, uno dei primi a rendersi conto ma soprattutto a dire a voce alta, davanti a Mikhail Gorbachev in persona, che l’ottimismo mostrato dopo le prime ricostruzioni dei fatti era del tutto ingiustificato. Per cui noi che guardiamo sappiamo che intorno alla centrale una sorta di nebbia invisibile e assassina, ovvero le radiazioni, sta sgorgando dal luogo del disastro. Nei primi minuti i personaggi non lo sanno, o forse solo alcuni di loro lo intuiscono. E qui subentrano le presunte forzature sugli effetti di radiazioni mostrate dalla serie, ma la licenza poetica serve a dare una forma concreta alla paura e alla minaccia portata da qualcosa di invisibile ma potente oltre ogni immaginazione.  

Il ruolo della scienza

Il grande successo della serie è probabilmente da ricercarsi nella capacità degli autori di far risaltare dal disastro tanti elementi narrativi che, come fruitori, amiamo vedere o leggere nelle storie: della paura abbiamo detto, ma Chernobyl è una serie che non fa solo paura, fa proprio male. Inoltre, getta grande inquietudini sul presente. Fa male perché, ancora una volta, noi sappiamo e molti ignari personaggi non sanno. Prendiamo istintivamente le parti di chi invece ha capito e vuole parlare, vuole informare, vuole aiutare. Innegabilmente, chi ha capito e chi sa ma decide di tacere – accadrà spesso, nella serie – usa la conoscenza come un’arma di oppressione.

Quello di schierarsi dalla parte di pochi contro molti è assai lontano dai valori fondativi della scienza moderna: da strumento e metodo che punta a rafforzare il benessere e la libertà degli individui, la scienza di Chernobyl è una scienza divisa fra chi davvero ne incarna i valori e chi invece la tradisce sull’altare della ragion di stato. Tuttavia, come ben sappiamo oggi trentatré anni dopo il disastro, sapere non basta. Serve anche fare. Per cui il dramma di Chernobyl rivive oggi con le decisioni che (non) stiamo prendendo per limitare gli effetti del cambiamento climatico: sappiamo, gli scienziati parlano eccome, ma a livello pratico non si fa abbastanza. La serie è di fatto un angosciante promemoria che ci mostra senza fronzoli (al netto dell’eroismo e della generosità estrema e toccante di pochi) fino a che punto l’essere umano possa essere autodistruttivo, per giunta senza scomodare la fantasia degli scrittori.


Leggi anche: Il lungo viaggio di un lupo di Chernobyl

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.    Immagini: Sky-HBO Chernobyl

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Enrico Bergianti
Giornalista pubblicista. Scrive di scienza, sport e serie televisive. Adora l'estate e la bicicletta.