AMBIENTEricerca

Corsa all’Artico, dal Canada nuovi dati: una manna per l’oceanografia

Un'iniziativa invita il paese a maggior controllo sull'area dell'Artico ritenuta di "responsabilità" canadese: di fianco ai cambiamenti climatici, il timore è che l'interesse per le risorse del luogo possano risvegliare conflitti geopolitici latenti.

Nel mese di giugno, una commissione speciale del senato canadese ha avanzato la richiesta di rafforzare gli interventi in materia di difesa della sovranità del paese nell’Artico. Nel report intitolato “Northern Lights: A wake up call for the future of the Canada”, la commissione invita il governo di Ottawa, tra le altre cose, ad incrementare la sorveglianza aerea e marittima, ad equipaggiare meglio la guardia costiera con tecnologie rompighiaccio più efficienti e ad addestrare i ranger Inuit per essere preparati e autonomi anche in mare. Insomma, ad avere complessivamente una maggiore tutela e un maggior controllo su tutta quell’area dell’Artico ritenuta di dominio e responsabilità canadese. È qui, del resto, che si gioca una partita decisiva per il futuro non solo dell’artico canadese, ma, sul lungo periodo, dell’intero pianeta.

L’Artico sempre più “a nudo”

Il timore che muove questa iniziativa è che gli appetiti internazionali sulle risorse dell’estremo Nord del pianeta stiano risvegliando conflitti geopolitici latenti, che potrebbero consumarsi proprio nelle acque canadesi.

Non si tratta di un allarme infondato. Il Canada sta soffrendo il riscaldamento globale probabilmente più di altre zone del pianeta. L’aumento delle temperature è preoccupante soprattutto più a Nord, nell’Artico appunto, che si riscalda a una velocità almeno doppia rispetto alle medie globali. Secondo un team dell’Alaska Fairbanks University che ha da poco terminato una spedizione di studio nell’artico canadese, il paesaggio è ormai irriconoscibile, anche rispetto a solo tre anni fa. I dati, pubblicati su Geophisical Research letters a ridosso dei negoziati intermedi sul Clima di Bonn, rivelano che il clima artico non è mai stato così caldo negli ultimi 5000 anni, i ghiacci si ritirano a velocità crescenti e anche il temutissimo permafrost si sta sciogliendo con almeno settant’anni di anticipo sul previsto. Il territorio artico, con le sue preziose risorse energetiche di greggio, gas naturale e metalli preziosi, perde le sue difese naturali di ghiaccio pluriennale e diventa così più esposto, più fragile e più facilmente accessibile (ne abbiamo parlato qui).

Più scienza per conquistare i fondali

Per difendere le sue rivendicazioni territoriali nella nuova corsa al Polo Nord, il Canada è in prima linea in una battaglia cruciale, quella delle esplorazioni scientifiche. Sebbene sia un’area critica per gli equilibri globali, le conoscenze dell’ambiente artico sono infatti ancora relativamente lacunose su diversi aspetti. Studiare i fondali del Mar Glaciale Artico è però essenziale per una prossima, inevitabile spartizione. Secondo il diritto internazionale, la sovranità sui fondali marini si ferma a 200 miglia (circa 370 chilometri) dalla costa del paese rivendicante, la cosiddetta Zona Economica Esclusiva (ZEE).

Questo confine sottomarino è tuttavia in teoria espandibile, ma bisogna poter dimostrare che la piattaforma continentale propria del Paese interessato si estenda effettivamente oltre la ZEE, in base alle norme stabilite nel 1982 dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Questo vuol dire raccogliere e interpretare una mole enorme di dati, dopo aver investito in missioni ad hoc e dispiegato team specializzati con tecnologie avanzate.

A fine maggio, il Canada ha presentato alla Commissione sui Limiti della Piattaforma Continentale delle Nazioni Unite (CLCS), la richiesta aggiornata, sostenuta da un corposo set di dati scientifici, di valutare l’estensione della propria sovranità sull’Artico, fino a toccare il Polo. Per quanto il Canada fosse già piuttosto avanti in fatto di esplorazione sottomarina e gestione sostenibile delle indagini, ora si presenta con maggiore forza tra i primi tre competitor, dopo Russia e Danimarca – in questa gara sarebbero da contemplare anche Norvegia e Stati Uniti.

Principale oggetto della contesa è la dorsale sottomarina di Lomonosov, un sistema montuoso vicino al polo Nord geografico che unisce L’Isola di Ellesmere nel Qikiqtaaluk canadese alla Nuove isole Siberiane russe. Non è affatto semplice stabilire dove finisce una piattaforma e dove ne inizia un’altra lungo la dorsale di Lomonosov. Ma una volta sciolto questo nodo, dovrebbe essere più chiaro chi ha sovranità e dove, in particolare nell’agognato bacino Amerasiano, che secondo i geologi custodisce grandi quantità di petrolio.

Decine di nuovi pockmark

Nel frattempo, il gran daffare di Russia, Danimarca e Canada ha prodotto molti dati con grandi progressi e vantaggi per l’oceanografia e le scienze geologiche: sono state rilevate e mappate diverse montagne sommerse prima ignorate; individuati decine di pockmark, particolari crateri sui fondali marini dovuti alla risalita ed eruzione di fluidi geologici, in particolare sulla piattaforma alaskiana del Chukchi Cap, segnalando pericolose fuoriuscite di metano una volta congelato, un acceleratore del cambiamento climatico; mappate le dorsali sottomarine con tutti i dettagli orografici che influenzano la circolazione delle correnti oceaniche e le dinamiche dei ghiacci.

L’equipaggiamento per raccogliere dati di questo tipo comprende tecnologie ad altissima sensibilità. Per studiare i fondali le squadre canadesi hanno per esempio usato dei sonar per la topografia e la profilazione sismica, hanno effettuato misurazioni gravimetriche ad alta risoluzione di anomalie gravitazionali per caratterizzare la struttura rocciosa della crosta, distinguendola tra oceanica e continentale grazie a diversi quintali di rocce dragate dal fondo.

Per avere un’idea dell’entità di forze dispiegate in Artico e dei vantaggi finora acquisiti in termini di ricerca scientifica, si può consultare l’Arctic Research Map Application. Per dettagliare bene la dorsale di Lomonosov e risolvere tutte le rivendicazioni territoriali ci vorranno ancora molti anni, e quasi certamente ancora molti dati e investimenti. Probabilmente la politica, impaziente, interverrà prima. La ricerca scientifica ringrazia, intanto.


Leggi anche: La ricerca che ascolta la voce dei torrenti

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.    Fotografia: Pixabay

Condividi su
Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.