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Ytterby, l’isola svedese “Galapagos della Tavola periodica”

La miniera di Ytterby si trova in un arcipelago al largo di Stoccolma ed è un luogo storico di grande importanza per la scienza e la società moderna.

La targa apposta fuori dalla miniera, fotografia di Uwezi – CC BY-SA 4.0

In Svezia, al largo di Stoccolma, c’è un arcipelago di diverse decine di migliaia tra isole, isolotti e scogli di varie dimensioni, che si estende per circa 80 chilometri a est della capitale svedese. Molte di queste isole sono tappa obbligata per i turisti, specie i più attenti e cultori di varie discipline, come le isole di Fjäderholmarna, ritrovo di artisti e artigiani, l’isola di Utö, molto apprezzata dai ciclisti per la sua viabilità, Sandön, ritrovo del velisti svedesi, Vaxholm dove ha sede la fortezza Fästning, o Grinda, l’isola verde, importante riserva naturalistica.

Sull’isola di Resarö, appena fuori Vaxholm, si può raggiungere il villaggio di Ytterby. Qui, inoltrandosi per i boschi per un’escursione, con le giuste indicazioni ci si può imbattere in una targa commemorativa voluta dalla ASM International (American Society for Metals), la più grande associazione a livello globale di ingegneri e scienziati dei materiali. La targa è piuttosto nascosta, così come l’ingresso della miniera che lì viene celebrata. Eppure, Ytterby gruva (“la miniera di Ytterby”) è un luogo storico importantissimo per la scienza e la società moderna, così come ricordato dalla targa. Sebbene il villaggio di Ytterby passi inosservato tra le altre mete naturalistiche svedesi, qui si trova un sancta sanctorum della chimica e della geologia, noto anche come “Galapagos della tavola periodica”.

Così come l’isola di Darwin, questo luogo è stato infatti foriero di scoperte feconde: a Ytterby gruva sono stati individuati diversi nuovi elementi, almeno quattro dei quali prendono il nome dallo stesso villaggio svedese, caso eccezionale in quello che sarebbe poi stato il mosaico della tavola periodica. Si tratta, inoltre, di elementi naturali piuttosto importanti, soprattutto oggi, le cosiddette terre rare.

Ytterby Gruva, la miniera adorata dai chimici

I primi scavi presso la miniera di Ytterby risalgono al 17esimo secolo, quando in quegli affioramenti svedesi si cercava principalmente il quarzo, minerale utile per la lavorazione del ferro e dell’acciaio. Nel 1600 questo non era ancora un sito di particolare interesse scientifico, le esplorazioni miravano solo a rifornire i carichi dei minatori, che non conoscevano la varietà degli affioramenti ma puntavano a un minerale in particolare, non rimanendo delusi. Più tardi, mentre avanzava e si evolveva l’industria moderna, il ricercato speciale diventò infatti il feldspato, minerale indispensabile per la produzione del vetro e delle porcellane in stile cinese, agognate in Europa fin dai tempi di Marco Polo e particolarmente amate dagli svedesi tra il ‘700 e l’800, anche perché ci si poteva costruire stufe più resistenti ed efficienti.

Nel 1789, il tenente Carl Axel Arrhenius di Stoccolma era di stanza a Vaxholm. Arrhenius era anche un chimico e mineralogista – da non confondere con l’altro, forse più celebre, chimico svedese, Svante Arrhenius, padre dell’equazione omonima e premio Nobel per la Chimica nel 1903. La sua indole scientifica spinse Arrhenius a inoltrarsi per i boschi della vicina Ytterby, alla volta delle miniere dove cercare magari qualche campione di feldspato o di carbone. La roccia nera che portò a casa era però qualcosa di strano, di una consistenza e un peso insolito per essere semplice carbone. Si trattava molto probabilmente di qualche minerale ancora ignoto.

Del resto, la tavola periodica era ancora lontana a venire, e la prima teoria degli elementi di Lavoisier era da poco stata pubblicata (“Traité élémentaire de chimie”). Cominciò presto a spargersi la voce di qualche strano ritrovamento nelle miniere di Ytterby, e Arrhenius decise quindi di inviare questa roccia sconosciuta a quello che era uno dei maggiori esperti in fatto di rocce e minerali, Johan Gadolin, chimico e geologo finlandese presso l’Accademia di Turku. Era il 1792 e Gadolin non era certo in possesso di tutte le tecniche di separazione che conosciamo oggi. Anzi, la chimica di quel tempo era ancora in una fase piuttosto embrionale per quanto concerne le tecniche analitiche, i riferimenti erano pochi e lo stesso Arrhenius sosteneva nella sua pubblicazione che tra gli elementi dovessero essere contemplati anche la luce e il “calorico”, un misterioso fluido che avrebbe spiegato la dinamica del calore. Si andava fondamentalmente per trial and error, a tentativi, senza sapere se un campione contenesse una sola sostanza, un solo elemento o un mix di qualche tipo.

Isolando i primi elementi

Molti furono gli errori, si pensò di aver individuato elementi che poi scomparvero da quella che sarebbe diventata la tavola periodica, perché in realtà inesistenti, come lo Gnomium, il Kosmium, l’Austrium e tanti altri, con il disappunto di Paesi che persero il privilegio di avere il loro nome nella scienza moderna che si andava delineando – una descrizione dettagliata si può trovare in uno studio del 1980 “The Discovery of supposed new elements: two centuries of errors“. Ciononostante, Gadolin fu in grado di isolare dalla roccia nera arrivata da Ytterby almeno un elemento puro, un ossido metallico che battezzò subito Itterbio (Yb).
Si trattava della prima terra rara mai individuata, e furono proprio le sue caratteristiche così inedite che definirono quella rarità geologica che in realtà col tempo non si sarebbe rivelata tale (salvo rischiarla seriamente in tempi più recenti, ne abbiamo parlato qui). Gadolin previde inoltre che da quella stessa roccia – che venne poi chiamata Gadolinite in onore del suo decifratore – sarebbero venuti fuori altri elementi simili all’Ittrio. E infatti, negli anni successivi, insieme ad altri pionieri degli elementi come Carl Gustaf Mosander o lo svizzero Jean Charles Galissard de Marignac, Gadolin individuò altri tre elementi sconosciuti che presero il nome dal villaggio di Ytterby: l’Ittrio, il Terbio e l’Erbio.

La scoperte non finirono qui. In seguito, quando iniziarono a essere disponibili migliori strumenti di analisi, dalle miniere di Ytterby “nacquero” altri sei elementi. La scelta dei nome in questo caso non poté più ricadere ancora su Ytterby (era impossibile “ritagliare” ulteriormente il nome del villaggio per farne dei nuovi), così nacquero l’Olmio, da Stoccolma, il Tulio, derivato della mitologia scandinava, lo Scandio, in onore della stessa penisola, il Gadolinio, il Tantalo, dalla mitologia greca, il Lutezio, dal nome in latino per Parigi, che ospitava i laboratori dove fu analizzato.

A Ytterby sono state conquistate quindi delle tappe fondamentali per la chimica moderna e per la nascita della tavola periodica – anche se Mendeleev in prima battuta non era stato in grado di inserire le terre rare nella sua tavola. Questo è potuto succedere innanzitutto per le favorevoli condizioni geologiche e ambientali del sito. Durante l’ultima glaciazione nell’Europa settentrionale, il “weichseliana”, i depositi mineralogici preesistenti svedesi e finlandesi sfuggirono all’erosione del ghiaccio, rimanendo ben conservati e con una relativamente facile accesso. Il momento di particolare fermento, esplorazione e ricerca è stato certamente favorito dalla presenza di scienziati brillanti come Gadolin.

Oggi il sito della miniera principale è quasi irriconoscibile, coperto in molti punti dalla crescita di vegetazione spontanea (ma i chimici e i curiosi appassionati sanno comunque come arrivarci). La presenza degli elementi lì rinvenuti per la prima volta è tuttavia costante e sempre più importante nelle nostre vite, quotidiane e future, tanto che Yttebry gruva si è meritato l’ EuChemS Historical Landmarks Award nel 2018. Vediamo qualche esempio di come e quando utilizziamo, o utilizzeremo, i minerali di Ytterby:

Terbio

Il terbio è una terra rara piuttosto versatile. Ne abbiamo fatto tutti uso nei schermi televisivi, dove era essenziale per ottenere i colori giallo e verde. Nell’elettronica più moderna, i fosfori di Terbio sono combinati nelle luci LED con il blu e il rosso per ottenere la luce bianca tipica delle lampade a basso consumo. Può essere anche usato come singola molecola, e non in composti, con le proprietà di un minuscolo magnete. Avere a disposizione un magnete delle dimensioni di una molecola è fondamentale per l’ulteriore miniaturizzazione dell’elettronica, in particolare per l’immagazzinamento e codifica dei dati nei computer e nei dispositivi mobili.

Ittrio

L’ossido di Ittrio, bario e rame (YBa2Cu3O7) è un composto con proprietà eccezionali: è un superconduttore, ovvero un materiale che può comportarsi come un potentissimo magnete, ma solo se si raggiungono temperature particolarmente basse, che rasentano i -200 °C. Nella tecnologia del futuro l’Ittrio potrebbe avere un ruolo di primo piano come superconduttore per esempio nella risonanza magnetica e in altre strumentazioni scientifiche, ma c’è ancora da lavorare per gestire questo limite della temperatura, finora raggiungibile solo con scorte di elio liquido.

Erbio

Nel mix della gadolinite rinvenuta a Ytterby, l’erbio si distingueva per il suo colore giallastro, ma sono i suoi sali rosati – che possono essere confusi con il Terbio – a trovare spesso utilizzo per esempio in ottica, nelle lenti polarizzate e colorate. In combinazione con l’Ittrio, biancastro, è il cuore dei laser a stato solido Er:YAG, ovvero un cristallo di Ittrio e Alluminio con aggiunta di Neodimio, che se attraversato da corrente emette una luce innocua per il corpo umano. Per questo, l’Erbio e il suo laser trovano applicazione in dermatologia o in odontoiatria.

Itterbio

Anche l’Itterbio trova applicazione in ottica e elettronica, con i laser Yb:YAG, usato negli orologi atomici. Per definire il secondo attualmente viene utilizzato un orologio atomico al cesio, dove la “lancetta” dei secondi è data dalla vibrazione di un atomo di cesio, appunto. Con un atomo di Itterbio la precisione dello scoccare del tempo aumenta ancora, l’ideale per misurazioni super veloci in astronomia e scienze della terra.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia. 

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Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.