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Apollo 8 e le altre missioni che precedono l’allunaggio

Le ultime tappe del programma Apollo prima del "grande balzo" del 20 luglio 1969 hanno un simbolo: la fotografia Earthrise, scattata dall'astronauta William Anders in orbita intorno alla Luna.

C’è una vecchia fotografia, scattata più di cinquant’anni fa, che è in grado di suscitare emozione e meraviglia ogni volta che la si guarda. Nell’immagine si vede un piccolo pianeta azzurro emergere dal buio dello spazio, sopra l’orizzonte di un corpo celeste di colore grigio. È la Terra che sorge dalla Luna.

L’immagine, etichettata dalla NASA con il codice AS08-14-2383, ma universalmente nota col nome di Earthrise, “il sorgere della Terra”, è stata scattata dall’astronauta William Anders il 24 dicembre 1968 durante la missione Apollo 8, il primo viaggio con equipaggio in orbita attorno alla Luna. Earthrise è divenuta subito una foto iconica, una delle immagini più amate, riprodotte e commentate della storia. In un’edizione speciale della rivista Life dedicata alle cento fotografie che hanno cambiato il mondo, il fotografo naturalista Galen Rowell ha definito Earthrise “la fotografia ambientale più influente mai realizzata”, fonte di ispirazione per i movimenti ecologisti di tutto il mondo.

Un’immagine simile, anche se in bianco e nero, era stata scattata nel 1966 da Lunar Orbiter 1, la prima sonda spaziale americana a orbitare attorno alla Luna, senza suscitare le stesse emozioni né avere lo stesso impatto sull’immaginario collettivo. Non solo per la mancanza di colori e per la risoluzione più bassa, ma anche e soprattutto perché a scattarla non era stato un essere umano, ma una sonda automatica. La vigilia di Natale del 1968 l’umanità si è vista per la prima volta allo specchio.

Il viaggio dell’Apollo 8

Sono trascorsi meno di due anni dalla tragedia dell’Apollo 1. Il 21 dicembre 1968 una capsula contenente tre uomini, caricata in cima al vettore Saturn V – il più grande razzo mai costruito, un vero e proprio grattacielo alto oltre 100 metri – viene lanciata nello spazio a oltre 20.000 chilometri orari. I tre membri dell’equipaggio sono Frank Borman, comandante, Jim Lovell, pilota del modulo di comando e William Anders, pilota del modulo lunare. Sono i primi uomini ad abbandonare la confortevole cintura dell’orbita bassa terrestre e ad avventurarsi verso l’ignoto. È la missione più importante prima dell’allunaggio, le sorti dell’intero programma dipendono dalla riuscita di questo viaggio. Il lancio avviene perfettamente. L’obiettivo è orbitare circa dieci volte attorno al nostro satellite e raccogliere quanti più dati telemetrici.

Dopo due giorni di volo, la capsula entra in orbita mentre attraversa il lato nascosto della Luna. È “essenzialmente grigia, senza colore”, dice Lovell in collegamento col centro controllo missione di Houston, “come l’intonaco dei palazzi di Parigi o una specie di sabbia grigiastra”. La vigilia di Natale viene effettuata un’emozionante diretta televisiva, seguita da circa mezzo miliardo di persone in tutto il mondo. Durante la quarta orbita, i tre uomini assistono a uno spettacolo che li lascia a bocca aperta: dietro quella grande distesa di sabbia grigia vedono un pianeta azzurro che sorge. È la Terra, è casa.

“Dio mio! Guarda lì!”. È la voce di Anders. L’astronauta tenta di cogliere l’attimo scattando una serie di foto in bianco e nero, mentre Lovell è impegnato a cercare il contenitore della pellicola a colori. Trascorrono quaranta lunghi secondi, l’alba della Terra non si vede più. “L’abbiamo persa”, dice Anders. Poco dopo, però, il pianeta riappare in un punto leggermente diverso, altrettanto suggestivo. Anders non si fa sfuggire la scena ed esegue numerosi altri scatti, stavolta a colori, cambiando più volte esposizione e inquadratura. Usa una fotocamera Hasselblad 500 EL con una pellicola Ektachrome sviluppata da Kodak. Una di quelle foto è destinata a passare alla storia. “Eravamo partiti per esplorare la Luna e invece avevamo scoperto la Terra”, Sanders scriverà queste parole in un articolo pubblicato in occasione del cinquantesimo anniversario di quello scatto.

Il 27 dicembre la navicella ammara correttamente sul nostro pianeta. I tre astronauti possono festeggiare il capodanno del 1969 sulla Terra, accolti in modo trionfale. La rivista Time li proclama “Men of the year” del 1968.

Prima dell’Apollo 8: le ultime missioni senza equipaggio

Facciamo un piccolo passo indietro. Nel novembre del 1967, poco più di nove mesi dopo la tragedia dell’Apollo 1, la NASA è ancora scossa. Si tratta di un momento cruciale per il programma Apollo e per lo stesso ente spaziale. Tutti sono pronti a ripartire, ma un eventuale fallimento del lancio, a distanza ravvicinata dall’incidente che ha portato tre uomini a perdere la vita, sarebbe la pietra tombale dell’intero progetto. Si decide di testare, in un’unica soluzione, sia il razzo vettore Saturn V che la capsula, in questo caso senza equipaggio. Il lancio dell’Apollo 4 avviene il 9 novembre, in un clima di fibrillazione e attesa. Il Saturn V si stacca per la prima volta dal suolo con un boato percepito a chilometri di distanza. La navetta, carica come se dovesse raggiungere la Luna, viene rilasciata in orbita terrestre. Tutto fila liscio, la missione è un successo.

Nel gennaio e nell’aprile del 1968 vengono effettuati i lanci di altre due capsule senza equipaggio, Apollo 5 e Apollo 6. Nel primo caso si usa il razzo vettore Saturn IB, meno potente, per testare la funzionalità del modulo lunare in orbita terrestre. Per Apollo 6, invece, è utilizzato di nuovo Saturn V. Quest’ultima simulazione prevede il lancio in orbita della navicella completa; durante il decollo si verificano alcune anomalie, tra cui forti vibrazioni e il distacco di un piccolo frammento del veicolo, ma tutto viene risolto in tempi rapidi. Il programma prosegue a ritmi serrati.

Apollo 7: raffreddore e nervosismo

Ci siamo, il momento tanto atteso è sempre più vicino. Nell’ottobre del 1968 parte finalmente la prima missione del programma Apollo con equipaggio. Gli astronauti non andranno oltre l’orbita bassa del nostro pianeta, ma durante il viaggio – che durerà ben undici giorni – saranno simulate tutte le attività da compiere nelle missioni dirette verso la Luna. Walter Cunningham, uno dei tre membri dell’equipaggio – a bordo in qualità di ingegnere di volo – è il primo civile nello spazio; gli altri due astronauti sono Donn Eisele, pilota del modulo di comando, e il comandante Walter Schirra, uno dei Mercury Seven. Apollo 7 non ospita un vero e proprio modulo lunare, ma un disco bianco, collocato nel terzo stadio del razzo vettore, che funge da bersaglio per eseguire la simulazione di rendezvous e docking, avvicinamento e aggancio. Il modulo di comando e servizio esegue questa manovra diverse volte, senza difficoltà.

Il viaggio, però, non è esente da problemi. Schirra si ammala e contagia i due compagni; si tratta di un banale raffreddore, ma in assenza di gravità anche un semplice naso che cola può essere complicato da gestire. La vita all’interno di un abitacolo di pochi metri quadrati, inoltre, presenta numerose altre insidie. Il cibo liofilizzato, contenuto in confezioni sottovuoto idratate con acqua, suscita i malumori dei tre astronauti, così come il sistema di smaltimento dei rifiuti e il tubo di aspirazione delle urine.

Stanchi, raffreddati e nervosi, i tre uomini si scontrano più volte con il controllo missione a terra. Il collegamento televisivo in diretta – il primo in assoluto da una navicella spaziale, previsto per il secondo giorno – viene posticipato perché Schirra non lo considera una priorità. Il motivo principale di attrito è però un altro: considerato il loro raffreddore, gli uomini hanno paura che in fase di rientro l’enorme pressione all’interno dell’abitacolo possa compromettere il funzionamento dei timpani, sino a farli esplodere. Schirra chiede più volte che lui e i suoi compagni vengano autorizzati a tornare a terra senza indossare il casco. Ne nasce una discussione che si protrae per giorni, finché la NASA, dopo attente valutazioni, decide di acconsentire alle richieste. La manovra di rientro avviene senza problemi, ma i rapporti tra l’equipaggio dell’Apollo 7 e l’ente spaziale americano sono definitivamente compromessi. Nessuno dei tre astronauti volerà di nuovo nello spazio.

Dopo l’Apollo 8: a un passo dalla meta

Dopo il successo dell’Apollo 8 l’entusiasmo è palpabile. Ora il sogno di Kennedy – far arrivare un essere umano sulla Luna entro la fine del decennio e riportarlo sano e salvo sulla Terra – sembra davvero a portata di mano, ma prima di mettere in scena il grande spettacolo è necessario effettuare le prove generali. Nel marzo del 1969, a bordo dell’Apollo 9, gli astronauti James McDivitt, David Scott e Russell Schweickart effettuano ancora una volta la manovra di rendezvous e l’aggancio tra modulo di comando e modulo lunare; questa volta realmente presente, il veicolo è ancorato all’interno del terzo stadio del Saturn V in attesa di essere estratto. Per la prima volta, il trasferimento di due membri dell’equipaggio dalla capsula al modulo lunare viene effettuato senza dover uscire dalla navicella, ma utilizzando un tunnel di collegamento. Tutto va per il verso giusto.

Due mesi dopo è il turno dell’ultima prova prima del grande balzo. Questa volta l’obiettivo è di nuovo l’orbita lunare. L’Apollo 10 decolla da Cape Canaveral il 18 maggio. La navicella è dotata di tutte le dotazioni utili a effettuare lo sbarco, ma i membri dell’equipaggio – Thomas Stafford, comandante, John W. Young, pilota del modulo di comando ed Eugene Cernan, pilota del modulo lunare – non sono autorizzati ad allunare.

Il modulo lunare, chiamato Snoopy, viene sganciato dal resto della navicella e fatto scendere sino a 15 chilometri dalla superficie del nostro satellite, più o meno sopra il punto in cui è previsto lo sbarco dell’Apollo 11. A bordo ci sono Cernan e Stafford, mentre Young resta all’interno di Charlie Brown, il modulo di comando. Al momento di effettuare la risalita, però, Snoopy non rispetta la traiettoria prevista dal pilota automatico e si avvita su se stesso. Sono attimi concitati. Cernan e Stafford si lasciano sfuggire numerose imprecazioni in diretta televisiva mondiale, ma alla fine riescono a prendere il controllo manuale del veicolo e ad effettuare correttamente l’aggancio con Charlie Brown.

Dopo il rientro dei due uomini all’interno del modulo di comando, Snoopy è stato abbandonato nello spazio. La sua traiettoria non è stata tracciata e la sua posizione è rimasta sconosciuta per decenni, finché nel giugno del 2019 la Royal Astronomical Society ha annunciato di averlo trovato. Al 98% il vecchio Snoopy è 2018 AV2, un piccolo asteroide che compie un’orbita attorno al Sole ogni 382 giorni.


Leggi anche: La selezione degli astronauti del programma Apollo

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.     Fotografia NASA/ Bill Anders – Public Domain

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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.