RICERCANDO ALL'ESTERO

Progettare nuovi materiali per applicazioni tecnologiche

Caratterizzare le interazioni tra le singole unità di un materiale permette di ottenere strutture innovative con proprietà personalizzate.

Ciò che oggi caratterizza maggiormente l’innovazione tecnologica è la richiesta di nuovi materiali con specifiche architetture e simmetrie che, a livello micro- e nanoscopico, conferiscano precise proprietà fisiche alle strutture di interesse. Nell’ultimo decennio la ricerca si è concentrata sui sistemi colloidali e polimerici in grado di autoassemblarsi.

Emanuela Bianchi, la nuova protagonista della nostra rubrica Ricercando all’Estero, è a Vienna per progettare nuovi materiali con specifiche funzioni, a partire dalla caratterizzazione delle proprietà delle singole unità costitutive. In particolare, Bianchi studia unità colloidali dotate di eterogeneità di carica, le cui applicazioni possono spaziare da nuovi filtri e catalizzatori ai cristalli fotonici.


Nome: Emanuela Bianchi
Età: 37 anni
Nata a: Roma
Vivo a: Vienna (Austria)
Dottorato in: fisica (Roma)
Ricerca: Disegno razionale di nuovi materiali
Istituto: Institut für Theoretische Physik Technische, Universität Wien (Austria)
Interessi: leggere, scrivere, fumetti, fiction
Di Vienna mi piace: l’inverno freddo, la facilità con cui si vive
Di Vienna non mi piace: è noiosa
Pensiero: Se sei in dubbio, pianta una grana. (Lucy Van Pelt)


Da dove si parte per disegnare materiali innovativi?

Ci sono diversi approcci, quello che seguo io è progettare i materiali andando a disegnare i mattoncini costitutivi, in modo simile a quello che succede con i Lego. Per costruire un muro di Lego, partiamo da un certo numero di pezzi rettangolari, li impiliamo uno sopra l’altro e affianchiamo le colonne così ottenute. Alla fine abbiamo un oggetto la cui funzione, essere un ostacolo, è definita dalla sua struttura, cioè qualcosa di compatto e chiuso.

Se cambiamo le caratteristiche dell’unità di base, otteniamo un materiale con una funzione diversa. Se al posto dei pezzi rettangolari di Lego prendiamo delle semilune, le impiliamo una sopra all’altra e affianchiamo le colonne così ottenute, avremo una struttura non più compatta ma con dei buchi all’interno. Il muro non avrà più la funzione di ostacolo ma piuttosto di qualcosa che può far passare gli oggetti a seconda della loro dimensione, un filtro per esempio.

Il mio obiettivo è costruire materiali innovativi con proprietà potenzialmente interessanti andando ad assemblare strutture le cui singole unità hanno caratteristiche ben specifiche.
È importante che questi materiali siano economicamente accessibili quindi, per esempio, che non sia necessario impilare i rettangoli/semilune di persona ma trovare un modo affinché i blocchetti lo facciano spontaneamente da soli. Si chiama autoassemblamento e si può ottenere per esempio per agitazione termica (moto browniano).

I sistemi più promettenti sono quelli colloidali. Di che cosa si tratta?

I colloidi sono sospensioni di particelle di dimensioni dal nanometro al micrometro disperse in un mezzo di natura atomica-molecolare. Molti dei prodotti di cui facciamo esperienza tutti i giorni sono colloidi: il bagnoschiuma, il fumo di sigaretta, la spuma della birra, i dentifrici; anche il sangue è un colloide, ha una base di acqua con disperse le cellule, vedi i globuli rossi.

Tra i colloidi più interessanti, ci sono le strutture cosiddette aperte, strutture che per essere stabilizzate hanno bisogno di una certa anisotropia, cioè le interazioni efficaci tra le particelle devono in qualche modo dipendere dal loro orientamento reciproco. Pensiamo a delle biglie su cui mettiamo dei piccoli cerchietti di velcro appiccicoso: se le biglie si scontrano a livello della parte dura si respingono mentre se si toccano a livello del velcro si forma un legame. Si chiamano interazioni direzionali.

In particolare, studio le particelle con eterogeneità di carica che, appunto, si respingono nelle zone a carica uguale e si attraggono se la carica è opposta. L’obiettivo finale è capire a quali strutture queste particelle possono dare origine. La più bella struttura che abbiamo visto finora è formata da tanti strati planari, molto compatti, tra i quali ci sono delle particelle che, in base alla temperatura, possono muoversi liberamente come se fossero un fluido oppure rimanere bloccate come un solido. Abbiamo paragonato questa struttura a un biscotto Loacker, che ha le cialde parallele e in mezzo la cioccolata che ad alte temperature quasi si liquefà.

Quindi sono sistemi in grado di rispondere all’ambiente esterno.

Esatto ed è una caratteristica molto importante. In una soluzione, se modifichiamo il pH o la concentrazione di sali, cambiamo la carica totale del sistema o comunque il rapporto tra le varie cariche. Ed è questo rapporto a determinare le strutture finali.

La nostra idea è avere un sistema con una certa struttura tale per cui, variando l’ambiente esterno, si possa indurre un riarrangiamento delle sue particelle e ottenere una struttura diversa da quella di partenza.
Finora abbiamo visto che se agiamo sul pH potremmo riuscire a cambiare la dimensione dei pori della struttura e formare, per esempio, un filtro che lascia passare specifici elementi. Un po’ come una spugna, che chiude e apre i pori a seconda della situazione in cui si trova.

Le applicazioni che si possono pensare sono davvero tantissime e dipendono dalla natura specifica dei sistemi e delle strutture. Alcune potrebbero avere proprietà interessanti a livello fotonico: per esempio, i cristalli fotonici sono strutture periodiche mesoscopiche in grado di trasportare la luce, proprio come i conduttori trasportano gli elettroni. Se ne parla tanto ultimamente perché potrebbe essere un modo innovativo, più economico e molto più veloce di trasmettere informazioni.

Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?

Innanzitutto riuscire a ottenere strutture porose che si aprano e chiudano in base al pH: possono fungere da filtro ma anche da supercondensatori (sistemi che accumulano cariche elettriche).

Stiamo lavorando anche su sistemi più biofisici, come le proteine globulari a bassa densità. Per loro natura, le proteine possono essere considerate particelle con eterogeneità di carica che stringono interazioni direzionali e quindi correlate ai sistemi colloidi. Riuscire a modellizzare il comportamento di queste proteine e a spiegare il loro ripiegamento può contribuire enormemente alla ricerca in chimica, scienze dei materiali e medicina.


Leggi anche: Alla scoperta di nuovi materiali quantistici

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Luisa Alessio
Biotecnologa di formazione, ho lasciato la ricerca quando mi sono innamorata della comunicazione e divulgazione scientifica. Ho un master in comunicazione della scienza e sono convinta che la conoscenza passi attraverso la sperimentazione in prima persona. Scrivo articoli, intervisto ricercatori, mi occupo della dissemination di progetti europei, metto a punto attività hands-on, faccio formazione nelle scuole. E adoro perdermi nei musei scientifici.