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Abuso di antibiotici: a cosa stare attenti per contrastare l’antibiotico-resistenza

"Gli antibiotici sono come lame: ogni volta che si usano perdono efficacia". L'abuso di antibiotici è un problema enorme, anche in Italia: ne parliamo con il virologo Fabrizio Pregliasco.

L’antibiotico-resistenza è un problema sempre più serio, anno dopo anno: secondo l’OCSE la percentuale di infezioni resistenti in Italia è raddoppiata in 10 anni e quasi 11.000 italiani muoiono ogni anno a causa di un’infezione di uno degli otto batteri resistenti. Siamo il primo paese europeo per numero mediano di infezioni e di morti attribuibili ad antibiotico-resistenza. In Europa, stando agli ultimi dati pubblicati a fine 2018 su The Lancet Infectious Diseases dall’ECDC, sarebbero stati 33mila i morti nel 2015 per infezioni resistenti alle cure, tanti quanti sono stati i decessi per influenza, tubercolosi e HIV/AIDS messi insieme. Il 39% di queste morte è causato da infezioni batteriche resistenti a antibiotici di ultima generazione come carbapenemi e colistina.

Che in Italia le cose non vadano per niente bene lo confermano anche i dati della sorveglianza Ar-Iss, relativi al quinquennio 2012-2016 e pubblicati ad aprile 2019. In Italia in questo periodo la resistenza ai fluorochinoloni è aumentata, passando da 42,5% nel 2012 a 44,4% nel 2016, quella alle cefalosporine di III generazione è passata dal 27,3% al 30,5%, mentre quella ai carbapenemi è rimasta molto bassa in tutto il periodo. Il problema con i carbapenemi emerge per la Kleibsiella pneumoniae, che mostra una resistenza superiore al 30%. La resistenza dello Staphylococcus aureus alla meticillina è intorno al 34% e quella del genere di batteri Acinetobacter ai carbapenemi tocca addirittura quota 80%, più del doppio della media europea.

La resistenza dei batteri è più rapida rispetto alla ricerca scientifica di nuove molecole in grado di contrastare questi batteri più potenti. Secondo quanto riporta il rapporto OMS “Antibacterial agents in clinical development”, nei prossimi cinque anni verranno messi in commercio solo dieci nuovi farmaci, e in genere la percentuale di molecole in fase 1 che supera i controlli successivi diventando un farmaco vero e proprio è intorno al 14%.

Portare sempre a termine la cura prescritta e ragionare come comunità

“Gli antibiotici sono come lame: ogni volta che si usano perdono efficacia” spiega a OggiScienza Fabrizio Pregliasco, virologo presso l’Università di Milano e Direttore sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi. “È evidente che, laddove serve, è necessario assumere l’antibiotico – sempre sotto prescrizione medica – ma è altrettanto vero che ci sono azioni che possiamo fare per ridurre la resistenza. Prima fra tutte portare a termine la cura quando ci viene prescritta: la resistenza infatti ha origine quando i batteri (ricordiamoci che non stiamo parlando di virus) non vengono completamente distrutti dall’antibiotico perché o non lo assumiamo con la frequenza desiderata, oppure interrompiamo la cura prima del tempo. Una caratteristica degli antibiotici è infatti che agiscono velocemente, se il batterio è sensibile, dandoci una sensazione di benessere, anche se in realtà l‘infezione non è stata completamente sconfitta.”

“Un altro aspetto importante”, prosegue Pregliasco, “che non riguarda solo gli antibiotici ma in generale la virologia – pensiamo ai vaccini – è la necessità di assumere uno sguardo che vada oltre il beneficio individuale”. L’antibiotico-resistenza è un problema sociale, che può portare conseguenze diverse a seconda dello stato di salute di una persona. Ognuno è responsabile anche per gli altri. Se io oggi assumo un antibiotico non necessario, per stare tranquillo e sentirmi meglio (anche se ho semplicemente un po’ di febbre di origine potenzialmente non batterica), ho contribuito in qualche modo al problema per qualcun altro.

“Spesso invece ci capitano persone, spesso genitori di bambini piccoli, che implorano noi medici di dare l’antibiotico al bambino, e alcuni medici acconsentono per far stare tranquilli i genitori”. Il rapporto OSMED 2018 di AIFA evidenzia che nel 2017 l’associazione amoxicillina/acido clavulanico (antibiotico) è al primo posto tra i primi 30 principi attivi a maggior consumo nella popolazione pediatrica. “Numeri elevati se pensiamo che questo antibiotico va prescritto unicamente a chi soffre di bronchite cronica”.

Focus: origine degli alimenti, scelta dei farmaci e ruolo degli ospedali

Un altro ambito in cui possiamo fare attenzione sono gli alimenti che scegliamo. Secondo recenti stime dell’OMS , il 60% delle malattie infettive che colpisce gli essere umani ha origine negli animali. Gli antimicrobici vengono usati per promuovere la crescita degli animali e talvolta per prevenire l’infezione, piuttosto che per curare l’animale stesso, portando a una maggiore resistenza ai farmaci tra i microbi. Se gli alimenti non sono stati stoccati e trasportati correttamente, secondo le norme igieniche, possono proliferare.

È frequente, e contribuisce ad aumentare l’antibiotico-resistenza, che i medici propongano farmaci di seconda o addirittura terza linea come prima scelta di fronte a piccole infezioni, per trattare le quali basterebbe un farmaco di prima linea. Gli antibiotici ad esempio non sono tutti ugualmente indicati per il medesimo grado di gravità dell’infezione. Il già citato rapporto OSMED di AIFA mostra che il 40% delle prescrizioni in età pediatrica non riguarda antibiotici di prima linea, come l’amoxicillina (una penicillina semisintetica, indicata per otiti, faringiti, polmoniti), ma di seconda o terza scelta, ad esempio alcune cefalosporine.

Le infezioni ospedaliere sono all’ordine del giorno. In Italia si stima che il 5-8% delle persone ricoverate in un ospedale contragga un’infezione, spesso antibiotico-resistente. La buona notizia, che raccontavamo anche su OggiScienza lo scorso maggio, è che l’Istituto Superiore di Sanità ha lanciato SPINCAR, un nuovo sistema operativo di lotta alla resistenza negli ospedali e nelle comunità, che unisce università, istituzioni regionali e istituti zooprofilattici sotto il coordinamento dell’Università di Udine. L’idea di fondo è studiare l’impatto delle bune pratiche (come lavarsi sempre le mani, secondo il protocollo raccomandato anche quando si va a trovare un malato) e creare delle linee guida in proposito.


Leggi anche: Antibiotico resistenza: Italia prima nell’area OCSE per mortalità e anni persi in salute

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.    Fotografia: Pixabay

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.