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Come stanno le spiagge italiane?

Esistono esempi positivi, ma dall'inquinamento alla fruibilità dei litorali i dati del rapporto Legambiente 2019 non sono incoraggianti.

Nell’estate 2019 le spiagge non sono state solo uno dei più frequentati e tradizionali luoghi di vacanza, ma anche occasione di dibattito ambientale e, a ben vedere, anche terreno di scontro politico, visti i comizi del Ministro dell’Interno fra gli ombrelloni. Ma al di là dell’uso a cui vengono adibite, qual è lo stato di salute delle nostre spiagge? Secondo Legambiente non stanno benissimo. Al centro dell’attenzione dell’associazione ambientalista ci sono diversi aspetti. Innanzitutto le scarse spiagge libere e la bassa resa economica delle concessioni, quindi l’inquinamento che rende di fatto non raggiungibili 700 km di costa sugli 8.000 totali lungo tutto la nazione.

Gli scenari per le coste italiane che emergono dal rapporto di Legambiente sulle spiagge non sono incoraggianti, ma non mancano aspetti positivi, come il fenomeno degli “stabilimenti green” che combattono la diffusione delle plastiche sui litorali, oltre ad alcune esperienze di conservazione di successo che coniugano tutela della natura e sinergia con i territori e la cultura.

Quante spiagge sono in concessione?

I litorali dell’Italia sono lunghi complessivamente circa 8.000 chilometri. Le coste sabbiose oggetto dell’indagine di Legambiente sono circa 3346 km. Di queste, Legambiente calcola un 42% sono compresi in stabilimenti balneari, che in tutto in Italia sarebbero più di 11mila su un totale di più di 52mila concessioni demaniali marittime, Tuttavia, considerando anche altre forme di occupazione e i differenti usi degli spazi demaniali sulla costa, secondo Legambiente più della metà delle coste sabbiose italiane non sarebbe liberamente fruibile dal pubblico, e in alcuni casi ciò avverrebbe anche in deroga ai regolamenti. Infatti, sebbene non esista una legge nazionale che regoli quanta spiaggia libera debba essere mantenuta, alcune regioni hanno deliberato standard propri.

Puglia e Sardegna hanno stabilito che il 60% delle spiagge deve essere libero, seguite dal Lazio al 50% e dalla Liguria al 40%. La situazione ligure però è paradossale, afferma Legambiente, poiché le spiagge libere sono ben al di sotto di questa quota, visto che la legge regionale non impone sanzioni in caso di mancato rispetto del limite. Le spiagge libere, infine, presentano anche un altro problema: spesso quelle libere sono spiagge che Legambiente definisce “di serie b” poiché alcune vicine a foci o torrenti o comunque relegate in zone di qualità inferiore rispetto a quelle date in concessione. Non basta che le spiagge siano libere, dunque: Legambiente ribadisce che va garantita la pari qualità dei litorali non concessi, che devono anche essere resi raggiungibili con facilità senza ostacoli e costruzioni che ne limitino la visibilità. 

Limitandosi ai soli stabilimenti, Legambiente mostra una situazione molto diversa da regione a regione: Liguria (69,8%) ed Emilia-Romagna (69,3%) sono le regioni la cui costa sabbiosa è maggiormente occupata da stabilimenti, campeggi, circoli sportivi e turistici. Al contrario, il Molise (19%), il Friuli Venezia Giulia e la Sardegna (entrambe al 20% circa) sono le regioni con il minor impatto degli stabilimenti sui chilometri di costa sabbiosa. Secondo Legambiente il sistema delle concessioni – ovvero la cessione a privati di un bene pubblico come le spiagge – deve essere riformato, promuovendo una logica che coniughi aspetti economici e ambientali a tutela degli ecosistemi delle spiagge, come accade ad esempio in Spagna. Non è solo una questione di rispetto dei luoghi, ma anche economica. Per Legambiente il giro d’affari legato alle spiagge in Italia si attesta sui 15 miliardi di euro annui (fonte: Nomisma, 2016) e al contempo lo Stato incasserebbe sui 100 milioni di euro: una sproporzione evidente, per altro con dati non aggiornati.

Coste e inquinamento

Più di 700 chilometri di costa (9,5% sul totale dei litoranei) non sono frequentabili per ragioni legate all’inquinamento e al rischio ambientale. Le cause sono principalmente tre. La prima è la presenza di foci, torrenti e canali da cui consegue un abbandono della spiaggia a ridosso di questi scarichi. La seconda è invece l’interdizione stabilita in base ai test sulla qualità delle acque. La terza ragione è la chiusura preventiva di tratti di costa di cui, sebbene assenti foci o canali, non si hanno però rilevazioni chimiche e monitoraggi ambientali sufficienti da parte degli enti preposti al controllo. 

A livello regionale, in assoluto è la Sicilia è la regione più interessata da queste chiusure, mentre se consideriamo la percentuale di costa interdetta in rapporto al totale dei chilometri di ciascuna regione allora è il Veneto quella con più tratti di spiaggia non balneabile (27%), con la Sicilia al secondo posto (15,9%).

Conservazione e “stabilimenti green”

Ma Legambiente non riporta solo dati allarmanti. Il report cita anche casi di conservazione e recupero delle coste, oltre a una lista di stabilimenti che puntano a ridurre l’impatto ambientale dell’attività turistica attraverso l’attuazione di pratiche di sostegno all’ambiente. A Capaccio-Paestum, nel Cilento, nei pressi del parco archeologico si estende un parco naturale di 16 ettari, l’Oasi dunale, che da 20 anni è oggetto di attività di tutela sia della pineta (11 ettari) sia della spiaggia (5 ettari). La zona, che mostrava danni all’ecosistema con conseguente erosione, è stata inserita in un programma di conservazione attraverso la collaborazione di privati, università e scuole, in sinergia anche con l’attiguo parco archeologico. In questo modo è stata evitata la distruzione delle piante che vivono nella sabbia. Il terreno, non più protetto dalle radici, era più soggetto ai fenomeni erosivi, altra seria minaccia che già oggi agisce nel Mediterraneo e che è prevista in accelerazione da qui al 2100. Nel caso di Paestum, però, il rispetto della flora e dell’ecosistema ha così innescato un processo virtuoso di rispetto dell’ambiente della spiaggia.

Questo è solo uno degli esempi di conservazione dell’ambiente delle coste: un programma analogo di tutela delle dune avviene anche a Posada, in Sardegna, mentre in Puglia, all’Archeolido, viene replicata la sinergia tra ambiente marino e parco archeologico con una grande attenzione dedicata anche al ruolo degli insetti nell’ecosistema costiero. A San Vito lo Capo, in Sicilia, le spiagge libere sono numerose e al contempo sono stati implementati sistemi di mobilità che tengono lontane le auto dalle spiagge favorendo spostamenti pedonali. Nei lidi ravennati si è coniugato il chilometro zero e la collaborazione tra aziende agroalimentari dell’entroterra con la Riviera, per promuovere entrambe le anime della Romagna. Molti stabilimenti, dalla Liguria all’Abruzzo, dalla Toscana al Veneto, hanno bandito l’utilizzo di plastica e vietato il fumo, hanno predisposto aree per gli animali e hanno limitato la possibilità di sostare e calpestare le dune e promosso anche una maggiore attenzione all’acustica, a dimostrazione che le buone pratiche ci sono e possono essere già intraprese senza allontanare i turisti.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.    Fotografia anteprima: Pixabay

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Enrico Bergianti
Giornalista pubblicista. Scrive di scienza, sport e serie televisive. Adora l'estate e la bicicletta.