AMBIENTE

Numeri che dipingono il futuro #2

Elaborare un modello climatico è un po' come realizzare un quadro, ma al posto di tele e colori ci sono formule e numeri: ce lo racconta il climatologo Gianmaria Sannino.

Immaginiamo di sederci in un prato, pronti a fissare un paesaggio su una piccola tela. Che cosa disegneremmo? L’intero panorama, ricreandone le forme principali attraverso colore e luce, con un stile impressionista? Oppure un piccolo scorcio, ma estremamente dettagliato, come in un dipinto realista? E se invece di disegnare i suoi fiori e i ghiacciai come appaiono ai nostri occhi, desiderassimo raffigurare come potrebbero essere tra cinquant’anni, che stile adotteremmo?

Elaborare un modello climatico è un po’ come realizzare un quadro, attraverso formule e numeri anziché colori, calcolatori in sostituzione delle tele e climatologi al posto degli artisti. In Italia, uno dei paesaggisti del clima è Gianmaria Sannino che, dal 2015, guida il Laboratorio di Modellistica Climatica e Impatti dell’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.

modelli climatici

I modelli climatici

«Di fatto, un modello climatico è una rappresentazione virtuale del nostro clima» che si avvale di super calcolatori ed equazioni «bellissime, ma complicate». Alla base occorre una conoscenza profonda: per ottenere un risultato attendibile, infatti, è necessario capire quali forze considerare e quali no, che cosa accade quando interagiscono fra loro e, soprattutto, come tradurre tutto questo in termini matematici. «I primi modelli prendevano in considerazione solo l’atmosfera. Successivamente sono state aggiunte anche le altre componenti climatiche: gli oceani, il suolo, la criosfera e la biosfera». Per questa ragione è fondamentale disporre di conoscenze sempre più complete sulla fisica dell’atmosfera e degli oceani, ma anche quella dei ghiacci e della terra, legata alle interazioni con gli esseri viventi. È uno studio che nel corso degli anni va raffinandosi, grazie a migliori osservazioni e descrizioni dei fenomeni, ma anche a modelli più efficaci nel gestire la complessità.

Oltre a saper descrivere matematicamente il mondo esterno, però, «è necessaria anche un’altra opera di traduzione, dal linguaggio delle equazioni a quello delle macchine. Queste ultime non possono risolvere i calcoli se prima non si è provveduto a convertire le formule in una serie di somme e sottrazioni». Una volta tradotte, entrano in gioco i processori che, nei calcolatori utilizzati per la modellistica, sono migliaia e necessitano di codici specifici per lavorare coordinati. «Diciamo che interfacciarsi con questi calcolatori non è come usare un personal comuputer…».

Processori potenti consentono di formulare proiezioni future, ma bisogna essere consapevoli dei limiti. Più dettagli si richiedono, più calcoli vanno fatti, più potenti devono essere i calcolatori usati e più tempo impiegheranno per dirci qualcosa. Disponendo di una potenza limitata, si è soliti fare un bilancio tra zona considerata e livello di dettaglio. Per esempio, le proiezioni che vengono impiegate dall’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change), l’ente istituito dalle Nazioni Unite per monitorare la conoscenza sul riscaldamento globale, hanno scala globale, ma sono poco dettagliate. Quelle elaborate dal team di Sannino per il programma di ricerca internazionale sul clima denominato MedCORDEX, invece, arrivano a un dettaglio di 10 chilometri, ma riguardano solo l’area mediterranea.

Inseguire il presente

In gioco c’è anche una seconda questione, che coinvolge l’elasticità dei modelli rispetto alle fluttuazioni del presente. È ormai cronaca il fatto che sia in Russia che in Brasile siano scoppiati incendi capaci di incidere sensibilmente sulla superficie boscosa planetaria e, di conseguenza, sulla composizione atmosferica della Terra. Di fronte a eventi di questo tipo, come dovrebbe comportarsi un climatologo nel mezzo di una proiezione?

In linea teorica, dovrebbe fermare il modello e farlo ripartire,  integrando nei dati iniziali le aree boschive perse, il carbonio liberato con l’incendio, quello non più assorbito dagli alberi lì presenti, eccetera. In pratica «si tiene conto del tempo»ossia del fatto che le poche macchine in grado di gestire le elaborazioni necessarie a far girare un modello impiegano, comunque, «dai cinque ai dodici mesi, a seconda della potenza del calcolatore» per ottenere una proiezione.

Poiché i fenomeni che influiscono sulle condizioni globali sono in costante mutazione e il riscaldamento climatico aumenta il tasso di frequenza degli eventi estremi, un modellista interessato all’aggiornamento costante dei dati iniziali del suo modello si imbarcherebbe in una continua rincorsa del presente. Come una moderna Penelope, non farebbe in tempo a finire la sua tela che dovrebbe già disfarla.

Controllare un modello

Ai tempi necessari ad ottenere una proiezione vanno aggiunte anche le simulazioni di controllo. «Prima di chiedere a un modello una proiezione futura è necessario domandargli di descriverci il passato. Perché? Perché di quello abbiamo i dati e le osservazioni e, perciò, possiamo capire quanto bene li descrive»In sostanza, prima di cimentarsi con quadri futuristici, un bravo paesaggista del clima deve sempre capire quanto è abile nel rappresentare ciò che ha davanti agli occhi.

«C’è anche un’altra forma di controllo legata alle tipologie di modelli». La differenza principale sta nella gestione di due diverse operazioni. La prima, di cui abbiamo già parlato, riguarda la traduzione dal linguaggio delle formule a quello delle macchine. La seconda ha a che vedere con

quelle che gli esperti chiamano parametrizzazioni, ossia equazioni che cercando di rappresentare al meglio quei fenomeni fisici, chimici e biologici che non possono essere direttamente risolti dagli attuali modelli climatici. Un po’ come se ci trovassimo a dipingere in una giornata di nebbia…

Questa molteplicità di moldelli climatici è comunque sia una garanzia: se modelli differenti producono risultati simili, possiamo considerare quest’ultimi affidabili. La domanda conclusiva, a questo punto, è cosa possiamo pretendere da un modello e cosa no? «Ecco, a un modello climatico non si può chiedere la precisione di una previsione meteorologica. Non è pensabile poter sapere che tempo ci sarà al 2100 in una città X. Si può, invece, avere un’idea di come alcune macro variabili come la distribuzione delle precipitazioni o le temperature medie di una regione evolveranno in futuro». Dunque, niente quadri realisti per il futuro, ma solo ritratti impressionisti.

Modelli e cambiamento climatico

«Attenzione, però, a non credere che i limiti tecnici o i margini di imprecisione mettano in discussione il cambiamento climatico. I primi modelli sono stati realizzati negli anni Settanta e, fondamentalmente, tenevano conto soltanto dell’atmosfera. Già allora, però, indicavano che era in corso un riscaldamento del clima. Andando avanti negli anni, realizzando modelli più dettagliati e complessi e avendo a disposizione calcolatori molto più potenti, questo trend non è stato messo in discussione».

Possiamo, perciò, pensare che lo sforzo della comunità scientifica internazionale ci consenta di sapere già molte cose sul futuro che ci attende. Ogni anno che passa, aggiungiamo dettagli a un quadro nato come semplice bozza ed evolutosi in un paesaggio per nulla promettente. Che i modelli siano una sorta di ritratto di Dorian Gray?


Leggi anche: Piantare alberi contro i cambiamenti climatici, uno studio quantitativo

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.    Immagine: Pixabay

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Elisa Baioni
Laureata in Scienze Filosofiche all'Università di Bologna. Frequenta il Master in Comunicazione della Scienza 'Franco Prattico' di Trieste. Ha scritto per Galileonet; per Rickdeckardnet e per Animal Studies. Collabora con le scuole per attività di didattica formale e informale. Appassionata di scienza, etiche ambientali e postumanesimo. Preoccupata per il brutto clima.