AMBIENTE

Misteriosa nube radioattiva del 2017 in Europa: un altro incidente nucleare in Russia?

La nube radioattiva de 2017 proveniva dagli Urali, forse dal sito russo di Majak, ma le autorità lo negano. Cosa succede col nucleare in Russia?

Pochi giorni prima dell’incidente nucleare nella base militare russa di Nyonoksa dell’8 agosto, uno studio pubblicato sulla rivista PNAS e condotto dall’università TU di Vienna dimostrava il passaggio sull’Europa di una nube radioattiva nel settembre 2017. A oggi nessuno, dal luogo di provenienza della nube formata da rutenio-106, che non era pericolosa per la salute dell’uomo, ha rilasciato dichiarazioni ufficiali sul possibile incidente.

I ricercatori guidati da Dieter Hainz e Paul Saey, delll’Institute of Atomic and Subatomic Physics dell’Università di Vienna, hanno però analizzato la nube e la sua distribuzione grazie a una rete di osservatori e stazioni, individuandone la composizione e la provenienza: una zona nel sud degli Urali, dove si trova un impianto di ritrattamento dei rifiuti nucleari russo Majak. Anche se i ricercatori si dicono convinti che quello possa essere il sito da cui sia fuoriuscita la nube radioattiva, la Russia ha smentito ogni possibile coinvolgimento.

La mappa delle concentrazioni di radiazioni rivelate dalle stazioni in Europa (Credit TU Wien/PNAS)

La più grande nube radioattiva dopo Fukushima

La nube di rutenio-106 rilevata in Europa, Asia e fin nella penisola arabica nel settembre 2017 rappresenta il più grande rilascio di materiale radioattivo dal disastro nucleare di Fukushima, avvenuto nel 2011. Un incidente nucleare, però, di cui nessuno sembra aver avuto notizia. Il motivo è semplice, nessuno Stato ha dichiarato l’incidente e i livelli di radioattività della nube si sono comunque rivelati inferiori a quelli che rappresentano un pericolo per la salute.

Uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) a fine luglio 2019, partendo dalle caratteristiche della nube ottenute analizzando oltre 1300 misurazioni effettuate in Europa e nel mondo, ha scoperto le cause dell’incidente e la regione da dove essa è nata e si è diffusa.

La buona notizia, sottolineano i ricercatori, è che la nube non è stata prodotta dall’esplosione di un reattore, come nel caso della centrale nucleare di Chernobyl nell’aprile 1986, ma da un rilascio di materiale radioattivo in un impianto di ritrattamento nucleare. Anche se determinare l’esatta origine del rilascio è difficile, i dati suggeriscono che esso sia avvenuto in un sito nel sud degli Urali, dove si trova la struttura nucleare russa di Majak, tra il pomeriggio del 25 settembre e la sera del 26 settembre 2017.

Nube di rutenio: la storia dalla prima osservazione a oggi

I primi ad accorgersi della presenza della nube e lanciare un’allerta informale il 2 ottobre 2017 sono stati i laboratori italiani da una stazione di Milano. Subito sono scattate le altre rivelazioni, che hanno portato a individuare la nube in Austria, Repubblica Ceca e Norvegia. Le altre misurazioni hanno permesso di valutare la presenza della nube radioattiva in tutta l’Europa dell’Est e Centrale, fino all’Asia e alla penisola arabica, con rilevamenti anche nei Caraibi.

Per questo motivo il 7 ottobre 2017 la IAEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, ha richiesto i dati e la possibile sorgente dell’evento a tutti e 43 gli stati membri. In un primo momento, le autorità regionali di Chelyabinsk and Sverdlovsk hanno dichiarato il 9 ottobre che la nube potesse provenire da una regione russa, ma il 21 novembre 2017 questa dichiarazione è stata smentita dal Rosgidromet, l’agenzia meteorologica statale russa, che in dicembre ha ribadito come il sito di Majak, l’unico vicino al punto di origine stimato dai dati, non fosse coinvolto.

Dopo le smentite russe, c’è chi ha ipotizzato che il rutenio fosse stato emesso dall’esplosione della batteria di un satellite al rientro in atmosfera, ma nell’aprile 2018, dopo la seconda commissione di inchiesta sul caso, si stabilì che non era possibile determinare con certezza la sorgente della nube radioattiva.

Da allora oltre 70 esperti da tutta Europa hanno contribuito all’analisi dei dati sulla nube, coordinati da Hainz e Saey della TU di Vienna, con l’aiuto del professor Georg Steinhauser, dell’Università di Hannover, insieme a dottor Olivier Masson dell’Institut de Radioprotection et de Sûreté Nucléair della Francia.

Nube radioattiva: i risultati delle misurazioni

Le misurazioni condotte da 176 stazioni di 29 Paesi hanno permesso di determinare l’enorme estensione geografica della nube. Il valore massimo delle radiazioni rilevato è stato di 176 millibecquerels per metro cubo nell’aria. Un valore circa 100 volte superiore alla concentrazione di radiazioni misurata in Europa dopo il disastro nucleare di Fukushima, ma comunque non pericoloso per l’uomo.

Steinhauser, uno degli autori dello studio, ha spiegato che la presenza nella nube di solo rutenio-106 indicava che il rilascio radioattivo fosse avvenuto da un impianto di ritrattamento nucleare e che si fosse trattato di un rilascio impulsivo che si è concluso velocemente, al contrario di quanto accaduto con i disastri di Chernobyl e Fukushima, dove il rilascio si è protratto per giorni.

I dati evidenziano che si è trattato di un rilascio tra i 250 e i 400 terabecquerel prodotti dal rutenio-106, come spiegato dal professore dell’università di Hannover: “Siamo stati in grado di mostrare che l’incidente è avvenuto durante il ritrattamento di combustibili esauriti, in uno stadio molto avanzato, proprio poco prima della fine della catena di processamento. Anche se ad oggi non esiste una dichiarazione ufficiale sull’incidente, abbiamo un’idea molto chiara di quello che potrebbe essere successo”. Le radiazioni emesse, hanno comunque rassicurato gli scienziati, non hanno rappresentato un pericolo per la salute umana.

Da dove viene la nube radioattiva?

Le ipotesi circa la sorgente radioattiva della nube ad oggi sono state molte, ma il nuovo studio della TU di Vienna ha permesso di escludere vari scenari tra quelli presi in esame. Per gli scienziati la nube non può essere stata prodotta né dall’incenerimento di una sorgente medica radionuclide, né dall’esplosione in cielo di un satellite al momento del rientro. Per gli scienziati, l’origine più probabile è quella dal ritrattamento dei rifiuti nucleari e il sito individuato come “candidato ideale” è quello dell’impianto di Majak negli Urali.

Proprio nello stesso sito, nel settembre 1957, fu registrato uno dei più grandi rilasci radioattivi della storia dell’umanità, inferiore solo a Chernobyl e Fukushima per gli scienziati, quando un serbatoio contenente rifiuti liquidi derivati dal plutonio esplose, causando una massiva contaminazione dell’area.

Anche se gli scienziati, che nello studio si proponevano l’obiettivo di rispondere proprio alle domande sulle origini della nube, sono convinti dei loro risultati, a oggi non esiste una dichiarazione ufficiale, né c’è alcuno Stato che si sia assunto formalmente la responsabilità per l’incidente nucleare avvenuto.

Russia e nucleare, cosa sta succedendo?

Per gli scienziati e autori dell’articolo, la responsabilità della nube radioattiva del 2017 è da imputarsi al sito russo di Majak. La presa di posizione della Russia, che declina ogni responsabilità, a oggi però non stupisce. Già nel 1986, con il disastro nucleare di Chernobyl, molte informazioni sono state taciute e non condivise con gli altri Stati più vicini, nonostante la contaminazione e le radiazioni rappresentino un pericolo e una minaccia per la salute non solo del luogo in cui l’incidente avviene, come anche la nube del 2017 dimostra.

A preoccupare di recente però è l’incidente dell’8 agosto nella base di Nyonoksa, con le radiazioni registrate nella città di Severodvinsk. L’incidente sarebbe stato provocato da un’esplosione durante un test missilistico su una piattaforma marina e sette persone, 5 scienziati e 2 militari, hanno perso la vita. Il numero dei feriti, che sarebbe pari a 6 secondo quanto riferito dalla Bbc, resta incerto. Anche in questo caso, la Russia si rifiuta di condividere dati e informazioni, rivendicando che la causa dell’incidente sia legata a test militari riservati.

Resta l’incognita anche per questo evento sul pericolo radiazioni. Se infatti il ministro della Difesa russa aveva definito i livelli nella norma. Il picco registrato dalle autorità locali di Severodvinsk e da Greenpeace va da 16 a 20 volte i valori normali. Se davanti all’evidenza come nel caso dell’esplosione dell’8 agosto e di Chernobyl, la Russia non condivide le informazioni in suo possesso facilmente, la verità sul rilascio della nube radioattiva del 2017 è destinata a rimanere solo un’ipotesi ancora a lungo.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Veronica Nicosia
Aspirante astronauta, astrofisica per formazione, giornalista scientifica per passione. Laureata in Fisica e Astrofisica all'Università La Sapienza, vincitrice del Premio giornalistico Riccardo Tomassetti 2012 con una inchiesta sull'Hiv e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi 2019 nella sezione Under 35. Content manager SEO di Cultur-e, scrive di scienza, tecnologia, salute, ambiente ed energia. Tra le sue collaborazioni giornalistiche Blitz Quotidiano, Oggiscienza, 'O Magazine e Il Giornale.