SPAZIO

I buchi neri non hanno i “capelli”: la conferma dalle onde gravitazionali

L’analisi delle onde gravitazionali rivelate da LIGO dimostra la validità del teorema no-hair: l'ennesima conferma della relatività generale

Un buco nero neonato dalla fusione di due buchi neri massivi

La scoperta delle onde gravitazionali ha aperto una nuova era per l’astrofisica e per la comprensione del cosmo e dei suoi oggetti celesti. Tra questi ci sono i buchi neri, oggetti che esercitano un’attrazione gravitazionale così potente da non lasciar sfuggire via nemmeno la luce. Analizzando i segnali di onde gravitazionali rilevati dagli interferometri di LIGO nel settembre 2015, ora un gruppo di scienziati ha potuto verificare per la prima volta il teorema no-hair, letteralmente “senza capelli”, secondo cui un buco nero può essere descritto da tre semplici parametri nella teoria della relatività generale di Albert Einstein: la massa, lo stato di rotazione e la carica elettrica, che però è trascurabile per oggetti astrofisici così grandi.

Non ci sono dunque altre proprietà o “capelli”, oltre alla massa e allo stato di rotazione, che possano descrivere a oggi i buchi neri, ma soprattutto le onde gravitazionali che emettono hanno un suono caratteristico e hanno una forma che trasporta importanti e preziose informazioni, cioè rivelano la massa e la rotazione del buco nero che le emette.

Il risultato si deve a Maximiliano Isi, ricercatore del Massachusetts Institute of Technology, e allo studio condotto insieme ai suoi colleghi del California Institute of Technology e del Flatiron Institute che è stato pubblicato sulla rivista Physical Review Letters. Misurando il caratteristico “chirp” o cinguettio emesso dalla fusione di due buchi neri massivi, che hanno dato vita a un nuovo buco nero rotante di Kerr, i ricercatori sono riusciti a determinarne la massa e la rotazione. Un risultato che quindi non solo dimostra la validità del teorema no-hair, ma che rappresenta anche l’ennesima conferma alla teoria della relatività generale elaborata da Einstein.

Buchi neri “senza capelli”: il teorema no-hair

Il termine buco nero per descrivere la singolarità prevista dalla teoria della relatività generale di Albert Einstein, creata da un oggetto così massivo da deformare lo spazio-tempo, si deve al fisico John Wheeler, che negli anni Sessanta lo introdusse nella comunità astrofisica. Anche il nome del teorema no-hair si deve a Wheeler, che scherzando definì i buchi neri “senza capelli”, per esprimere il concetto che dopo il collasso gravitazionale tutte le informazioni, o “capelli”, sull’oggetto finissero dentro l’orizzonte degli eventi diventando così inaccessibili, e gli unici parametri per descriverli sono massa e stato di rotazione.

Secondo la teoria della relatività generale, un buco nero nato dalla collisione di due massivi buchi neri, risuona nello spazio producendo onde gravitazionali, cioè increspature dello spazio-tempo, proprio come avviene per una campana che viene colpita e riverbera le onde sonore. Se la teoria è corretta, il tono e il decadimento di queste onde gravitazionali fornirebbe una informazione diretta sulla massa e sulla rotazione del buco nero neonato.

Dalla caccia ai “capelli” alla spettroscopia del buco nero

Il team di ricercatori coordinati da Isi nello studio pubblicato su Physical Review Letters ha analizzato a fondo le onde gravitazionali del segnale GW150914, emesso proprio dalla fusione di due buchi neri massivi in uno nuovo. L’analisi delle onde gravitazionali e del suo suono caratteristico, noto come “chirp” o cinguettio”, ha permesso di verificare la validità del teorema no-hair.

L’onda gravitazionale infatti viene emessa dalla rapida spiralizzazione dei due buchi neri e il picco del suono emesso è legato al primo momento in cui essi collidono, fondendosi in un nuovo buco nero. Gli scienziati fino ad oggi ritenevano che il suono del buco nero neonato fosse troppo debole da individuare nel frastuono della collisione cataclismatica di due buchi neri massivi, e che per questo motivo potesse essere rilevato solo nella parte più debole del segnale dell’onda gravitazionale, con strumenti di una sensibilità di cui ad oggi non disponiamo.

Il nuovo studio invece dimostra che ascoltare e decodificare il segnale è possibile già ora e con strumenti esistenti. I ricercatori guidati da Isi hanno trovato un modo di “estrarre” il riverbero del buco nero neonato subito dopo il picco, che contiene degli “ovetones”, cioè dei suoni armonici che sono forti e di breve durata. Tenendo conto di questi suoni, è stato possibile isolare lo schema del suono emesso dall’oggetto appena nato.

Isi ha spiegato: “Il segnale di onda gravitazionale nella sua completezza è costituito da multiple frequenze che si smorzano con differenti velocità, come differenti sono i toni che compongono un suono. Ogni frequenza e ogni tono corrispondono quindi a una specifica frequenza vibrazionale del nuovo buco nero”.

Se in studi precedenti si riteneva che le dinamiche del segnale che segue immediatamente dopo la fusione dei due oggetti celesti massivi fossero troppo complesse per essere analizzate, il team guidato da Isi ha deciso di concentrarsi sul segnale nei primi millisecondi dopo il picco e ha scoperto che questo può essere descritto da una semplice combinazione lineare di due modi oscillanti smorzati. Il segnale quindi è composto da un modo fondamentale e più longevo, e da almeno un altro modo che decade rapidamente.

I ricercatori hanno individuato uno schema per il risuonare del buco nero, ottenuto dalle equazioni di campo di Einstein, e hanno stimato la massa e la rotazione che questo oggetto avrebbe dovuto avere. Confrontando i risultati del calcolo con il segnale rivelato da LIGO, i ricercatori hanno ottenuto valori di massa e rotazione per il neonato buco nero che erano coerenti tra loro.

Questo risultato fornisce quindi una prima verifica del teorema no-hair, confermando in questo caso che i suoni emessi dai buchi neri sono una firma diretta della loro massa e rotazione, ed escludendo che possano esserci altri “capelli” o proprietà che li descrivano. Isi, autore dello studio, ha spiegato: “E’ naturale attendersi che la relatività generale è corretta, ma questa è la prima volta che ne abbiamo una conferma così evidente. Il risultato rappresenta la prima misura sperimentale in grado di testare la validità del teorema no-hair, che non implica che i buchi neri non abbiano “capelli” in assoluto, ma che almeno fino a nuove scoperte, è così che possiamo immaginarli”.

Il futuro dei buchi neri

Le analisi dei ricercatori guidati da Isi ha permesso una prima verifica del teorema no-hair e apre la strada alla spettroscopia dei buchi neri, come spiegato in un secondo articolo sulla rivista Physical Review Letters. Analizzando altri oggetti celesti massivi con strumenti che, in futuro, saranno sempre più sensibili permetterà di svelare la natura anche degli “imitatori” di buchi neri, oggetti che non rispettano le previsioni della teoria della relatività generale e del teorema no-hair.

Per Isi quindi ci ritroveremo ad ottenere informazioni su oggetti come le stelle di bosoni o anche le gravastar, stelle di energia oscura, che simulano un buco nero ma non sono dotate di orizzonte degli eventi: “In futuro avremo a disposizione i dati dai migliori rivelatori sulla Terra e nello spazio e saremo in grado di vedere non solo due, ma decine di modi, e definire con precisione le proprietà degli oggetti che osserviamo. Se questi non rispetteranno le previsioni della teoria di Einstein, allora ci troveremo davanti a oggetti esotici come i wormhole o le stelle di bosoni, che emetterebbero un suono diverso da quello ascoltato e avremo un’occasione unica per osservarli e studiarli”.


Leggi anche: Onde gravitazionali, dall’alert di Ligo verso una nuova fisica

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Maximiliano Isi/MIT

Condividi su
Veronica Nicosia
Aspirante astronauta, astrofisica per formazione, giornalista scientifica per passione. Laureata in Fisica e Astrofisica all'Università La Sapienza, vincitrice del Premio giornalistico Riccardo Tomassetti 2012 con una inchiesta sull'Hiv e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi 2019 nella sezione Under 35. Content manager SEO di Cultur-e, scrive di scienza, tecnologia, salute, ambiente ed energia. Tra le sue collaborazioni giornalistiche Blitz Quotidiano, Oggiscienza, 'O Magazine e Il Giornale.