AMBIENTEIN EVIDENZA

Newtok, la cittadina destinata a scomparire a causa del cambiamento climatico

La storia di un villaggio dell'Alaska che combatte da anni contro burocrazia e mancati finanziamenti per scappare dalle conseguenze del cambiamento climatico.

Lezioni scolastiche, squadre di basket, classi di canto e musica. Tutto questo è racchiuso nell’unica scuola di Newtok, un piccolo villaggio nel sud ovest dell’Alaska. Le porte della scuola rimangono aperte tutto il giorno, ospitando attività di bambini e adulti, adolescenti e anziani. Una realtà, purtroppo, destinata letteralmente a scomparire a causa del cambiamento climatico. La scuola infatti, centro vitale per l’intera comunità, è posta costantemente a rischio dalle frequenti inondazioni e potrebbe essere sommersa entro breve.

Ormai per molti nativi Yupik questa rappresenta la triste normalità. E la naturalezza con cui si affronta l’incertezza sul proprio futuro si respira già fra i banchi di scuola. “Cosa faresti se un’inondazione colpisse il villaggio?”, “Cosa porteresti con te se fossi costretto a traslocare all’istante?”, sono alcuni dei temi svolti come compiti in classe dagli alunni. Purtroppo, questo non è solo un semplice esercizio pensato per stimolare la fantasia dei bambini di Newtok: sono domande che la restante parte del villaggio si pone quotidianamente quando, affacciandosi alle finestre delle proprie abitazioni, vede l’acqua del fiume Ninglick mangiarsi la propria terra, ogni giorno un po’ di più.

La semplicità di un villaggio Yupik

Poche decine di case in legno e qualche altra costruzione compongono l’intera Newtok. Il villaggio conta circa 350 abitanti di origine Yupik, di cui quasi la metà hanno meno di 17 anni. Siamo lontani dalla vita frenetica delle grandi città americane. Quando arriva la bella stagione e le giornate si fanno più lunghe, gli uomini si preparano alla pesca e alla caccia di alci, mentre donne e bambini riempiono intere ceste di bacche, mirtilli e more. Questi si andranno ad aggiungere a una miscela di grasso di renna e olio di foca per formare l’“akutaq”, il famoso “gelato eschimese”. Tuttavia, l’ingannevole tranquillità della vita del villaggio, si contrappone al suo lento ma inesorabile deterioramento.

Come la storia ci insegna attraverso innumerevoli esempi, costruire una cittadina vicino a un fiume può trasformarsi in una risorsa preziosa. Così, anche il villaggio di Newtok è nato e cresciuto arroccato sui ciuffi di terra senza alberi lungo il fiume Ninglick, proprio in quell’ansa prima che si apra al freddo mare di Bering. Una benedizione, quella dell’acqua, che il progressivo riscaldamento globale sta trasformando in una vera e propria catastrofe.

Un disastro al rallentatore

A partire dagli anni Novanta il fiume Ninglick erode il terreno su cui è costruito Newtok a un ritmo medio di circa 22 metri all’anno, inghiottendo quei campi che la popolazione Yupik sfrutta per la propria sopravvivenza. Secondo l’Alaska Center for Climate Assessment and Policy, le temperature invernali del 2019 hanno superato tutti i record precedenti in Alaska, e le comunità indigene di queste zone, la cui sussistenza è immediatamente legata alla terra e ai suoi frutti, sono le più vulnerabili. Fra queste, il piccolo villaggio di Newtok.

Qui il cambiamento climatico ha causato da una parte la riduzione dello spessore e dell’estensione del ghiaccio artico, e dall’altra lo scongelamento del permafrost. Come in una reazione a catena, questi fattori hanno accelerato l’erosione del terreno su cui il villaggio è costruito e provocato inondazioni in tutto il territorio. Nel 1996 la discarica del paese è andata persa a causa dell’erosione, e lo stesso è accaduto nel 2005 alla pista di atterraggio.

Ma l’erosione non danneggia solo costruzioni pubbliche, centrali energetiche, strade e aeroporti. L’erosione penetra nel corpo e nell’anima dei cittadini di Newtok e dei suoi bambini. Fra il 1994 e il 2004, il 29 per cento dei bambini sono stati ospedalizzati per infezioni del tratto respiratorio inferiore. Secondo gli studi condotti dall’Alaska Native Tribal Health Consortium (ANTHC), il villaggio di Newtok presenta il più alto tasso di infezioni di tutta l’Alaska. Ancora una volta è il fiume Ninglick la causa: oltre a portare con sé il rischio di una salinizzazione permanente dell’acqua potabile, le continue inondazioni causano sversamenti fognari all’interno delle forniture utilizzate per gli usi domestici.

Il piano di ricollocamento

Così come sembrava di un’altra epoca l’immagine di donne raccoglitrici e uomini cacciatori, allo stesso modo è ormai raro trovare un popolo tanto umile quanto unito e risoluto. Fu nel 1994 che l’intera comunità di Newtok decise che combattere contro la natura e il cambiamento climatico era inutile, e tutti votarono a favore del trasferimento dell’intero villaggio in aree più sicure. Dopo aver analizzato diversi siti possibili, si concentrarono su una zona a circa 9 miglia a sud da Newtok, dove erano soliti passare le estati per dedicarsi alla pesca. Due anni dopo si prese la decisione: Mertavik (che in lingua Yupik significa “prendere acqua dalla fonte”) sarebbe diventata la loro nuova casa. Sarebbe diventata nemmeno troppo presto, perché fu solo nel 2003 che lo scambio di terre venne effettivamente approvato dal Dipartimento degli Interni americano.

“Non fu di certo facile prendere la decisione di lasciarsi alle spalle il luogo dove molti di noi sono nati e cresciuti, ma non avevamo scelta. Il cambiamento del nostro ambiente naturale causava troppe notti insonni durante le tempeste autunnali che colpivano le nostre coste e minacciavano il nostro sostentamento” racconta Andrew John, il Presidente del Consiglio tribale di Newtok. Nel 2006 la comunità di Newtok insieme con le agenzie federali di governo, le organizzazioni no-profit e alcuni rappresentanti della legislatura, formarono il Newtok Planning Group, che ebbe (e ha tuttora) lo scopo di occuparsi dell’intero trasferimento. Fino ad oggi ha pubblicato più di 40 report, comprensivi di valutazioni ambientali, studi geotecnici e progetti per case e infrastrutture pubbliche.

Un sogno a metà

Ineccepibili sul piano teorico, le complicazioni pratiche non hanno però tardato a manifestarsi. Dopo più di vent’anni, la realizzazione del nuovo villaggio è appena iniziata. Solo durante l’estate 2019 sono state costruite le infrastrutture di base necessarie per il trasferimento di un primo gruppo di persone: 21 case, qualche strada, una pista di atterraggio, una clinica sanitaria temporanea, sistemi elettrici e impianti idrici. E per quanto riguarda la scuola, almeno per il primo anno si andrà a lezione all’interno del centro di evacuazione. Secondo la legge vigente, infatti, è necessario che vi siano almeno 25 studenti affinché si possano richiedere finanziamenti per costruire una nuova scuola. A essere catapultati nella nuova realtà – la data prevista è il prossimo 15 ottobre – saranno 140 abitanti, tra adulti e bambini, scelti secondo severi criteri di selezione, primo fra tutti la vicinanza a inondazioni ed erosioni.

Finanziamenti frammentati e burocrazia ingombrante

Purtroppo, alla velocità con cui avviene il deterioramento del terreno intorno a Newtok non corrisponde un’adeguata risposta delle istituzioni. “Il piano di trasferimento dell’intero villaggio è un processo molto lento, e il governo è altrettanto lento a rispondere a questi bisogni, soprattutto perché i costi sono elevati”, afferma tristemente Andrew John. Non esiste alcuna istituzione pubblica che sia interamente responsabile del piano di ricollocamento, e ci si ritrova a lottare con le varie agenzie federali di governo affinché vengano date risposte e sovvenzioni necessarie. Costi elevati (circa 130 milioni di dollari) a beneficio di poche centinaia di persone non sono certamente un segnale positivo per politici e amministratori.

A stroncare ulteriormente gli entusiasmi della comunità era arrivato anche il “no” dall’ex-presidente Barack Obama, a pochi giorni dalla scadenza del suo mandato. Nel 2015 Obama aveva acceso gli animi di speranza affermando che quello che stava accadendo in Alaska doveva considerarsi una vera e propria “wake-up call”, una sveglia ad agire. Purtroppo, questa sveglia non è suonata: è dal 2017 che l’Agenzia di Gestione delle Emergenze Americana nega la richiesta di Newtok di “dichiarazione di disastro” (concessa esclusivamente per eventi catastrofici), necessaria per rendere una comunità beneficiaria di immediati finanziamenti federali. “Nonostante questo, non abbiamo mai smesso di lavorare per cercare di spostare il nostro villaggio, pezzo per pezzo. Oggi, anche grazie all’onorevole senatrice Lisa Murkowski, possiamo contare sull’aiuto di diversi enti, dall’ANTHC allo stesso Dipartimento della Difesa americano” sottolinea Andrew John.

Una pietra miliare

In effetti la richiesta di Newtok è stata alquanto inusuale. A differenza di distruzioni causate da eventi catastrofici improvvisi, come tsunami e terremoti, Newtok è il paradigma di ciò che viene comunemente definito uno “slow motion disaster”, un disastro al rallentatore. Tuttavia, è solo negli ultimi anni che tale concetto sta assumendo tutta la sua preoccupante importanza. L’inesistenza o l’inadeguatezza di progetti di sostenibilità ambientale a lungo termine nei tempi passati obbligano ora a una lotta contro il tempo: urgono politiche ambientali di adattamento e risposte immediate.

Secondo Rob Verchick, professore di legge a New Orleans, la richiesta di “dichiarazione di disastro” da parte della comunità di Newtok è da considerarsi una pietra miliare: Newtok è stato il primo villaggio ad avanzare tale tipo di richiesta, ma certamente non è il solo che sta vivendo in prima persona le difficoltà legate al cambiamento climatico. Ad oggi, metà delle comunità della zona hanno deciso di spostarsi per gli stessi motivi.

Più che una guerra contro il clima, la storia di questo piccolo villaggio sembra essersi trasformata nel racconto di una guerra contro burocrazia e mancati finanziamenti.


Leggi anche: Più mercurio nel pesce con il cambiamento climatico

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagini: Department of Commerce, Community and Economic Development; Division of Community and Regional Affairs’ Community Photo Library

Condividi su