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Viaggi nel tempo, paranoia e malattia mentale: Undone

La serie disponibile dal 13 settembre anche in Italia è stata creata dagli autori di BoJack Horseman ed è una delle migliori in circolazione.

Alma, una ventottenne messicana americana, ha appena litigato con la sorella minore Becca. Sull’orlo di una crisi di nervi, mentre torna verso casa con la propria auto, si distrae alla guida perché ha l’impressione di vedere il padre, morto da anni, che la guarda dal marciapiede. Alma passa un periodo in coma, con la famiglia preoccupata al suo capezzale. Al suo risveglio, a fianco del letto c’è suo padre morto quando lei aveva otto anni che cerca di spiegarle come governare il suo potenziale per manipolare il tempo e lo spazio in modo da tornare alla propria, di morte, ed evitarla. Ma è un fantasma o un’allucinazione? Si tratta di un sogno a occhi aperti conseguenza del trauma cranico o è l’ombra della schizofrenia della nonna che si insinua anche nella sua vita?

Comincia così la serie già considerata da una parte della critica come una delle migliori della stagione. A produrla e distribuirla è Amazon Prime Video. Già con il primo episodio lo spettatore viene proiettato all’interno di un mondo che sembra essere uscito da un miscuglio di Philip Dick, per l’atmosfera di paranoia e l’incertezza sulla sanità mentale di molti dei personaggi, e Kurt Vonnegut, per un tagliente senso dello humor e un’ironia nera, nerissima. A inventarsi questo mondo è stata una coppia già molto nota nel mondo della serialità indie americana. Si tratta di Raphael Bob-Waksberg, il creatore di BoJack Horseman, e una delle autrici della medesima serie animata, Kate Purdy.

Una famiglia complicata

Nel corso della breve parabola della serie, per un totale di poco più di tre ore spalmate in 8 episodi appena più lunghi di venti minuti, Undone riesce a costruire personaggi perfettamente credibili, con una profondità che potrebbe lasciare a bocca aperta chi è abituato alle serie più mainstream, dove i personaggi tendono alla monodimensionalità. Alma è una ragazza complessa, come una persona estremamente vera. Da bambina ha subito la morte del padre come un momento determinante della propria vita futura.

Un trauma che si somma alla perdita dell’udito a tre anni per le conseguenze di una polmonite e il riacquisto dell’abilità di udire grazie a un impianto cocleare quando ha circa otto anni. In più è figlia di una madre messicana legatissima alla chiesa locale, in una San Antonio in cui il pregiudizio razziale continua a essere un leitmotiv nemmeno troppo subdolo. Ha un fidanzato, Sam, immigrato dall’India quando era ragazzino, che ama, ma è spaventata dalla prospettiva della famiglia felice. Una prospettiva che si rispecchia nella sorella minore, Becca, che sta per sposarsi con un ragazzo bianco, bianchissimo, ricco e un po’ tonto. Ma questa rete di relazioni complicate – “fucked up”, direbbe Alma – sono solo lo sfondo su cui si adagia il suo personale senso di straniamento quando si ritrova a parlare con il padre morto da vent’anni.

Jacob, il padre, ha un ruolo fondamentale nella vicenda. Jacob era uno scienziato, un fisico teorico che si stava occupando di teorie sulla manipolazione del continuum spazio-temporale. La sua morte è circondata da un mistero, il mistero apparente al centro della storia: un’oscura azienda potrebbe essere la mandante del suo assassinio, perché si rifiutava di cedere i risultati dei suoi studi. 

Un’indagine dentro a un’indagine

Le cose sono ben più complicate di così, ma proprio indagando sulla morte del padre, Alma compie invece la più importante indagine, quella su di sé e la sua salute mentale (schizofrenia, stress post-traumatico, depressione, altro?), il vero mistero al centro di Undone. Sono le domande che la stessa sceneggiatrice Purdy ha confessato aver mosso l’intero progetto. Nel 2012, ha raccontato a Variety, ha avuto un crollo nervoso e per un periodo è stata depressa. Una situazione che ha risvegliato la paura che quella malattia mentale che, come per Alma, si era già manifestata nella famiglia potesse toccare anche lei. È proprio qui che si annida la bellezza della serie, nel far esperire allo spettatore la stessa incertezza, la stessa paranoia, la stessa claustrofobia mentale di chi si trova a vivere esperienze emotive intense che lasciano segni profondi su chi siamo.

Dal punto di vista narrativo, tutto questo è reso sfruttando al meglio le possibilità di una narrazione non-lineare, in cui la manipolazione del tempo rende possibile rivivere le stesse scene più e più volte. Come quando rimuginiamo su quello che è stato e ci domandiamo come sarebbe stato se avessimo agito diversamente, detto una cosa diversa. In questo senso, Undone sfrutta al massimo il suo muoversi fuori dagli schemi della serialità mainstream, avvicinandosi invece di più al mondo indie americano.

Una tecnica già vista sfruttata al meglio

Per sostenere questo sforzo di scrittura, però, serviva qualcosa che anche visivamente creasse continuità tra la (supposta) realtà e il mondo onirico/mentale di Alma. La scelta è ricaduta sulla tecnica del rotoscope, in cui attori in carne e ossa vengono animati graficamente dopo essere stati registrati dal vivo. Una soluzione resa celebre da A Scanner Darkly di Richard Linklater. Ma dal 2006 a oggi la tecnica ha fatto passi avanti che rendono questi passaggi tra i vari mondi di Undone estremamente fluidi, non creando cioè quel momento di distacco che avrebbe avuto l’effetto controproducente di far uscire lo spettatore dal flusso narrativo, anche solo per un secondo, rendendo vano lo sforzo fatto in sede di sceneggiatura.

Rosa Salazar nei panni della protagonista Alma resa con il rotoscoping.

Sono scelte inusuali come questa che fanno funzionare fino in fondo il progetto, al quale Amazon Studios ha il merito di aver creduto, lasciando libertà di movimento ai suoi creatori. Che hanno anche potuto sfruttare un cast in cui spiccano Rosa Salazar nei panni di Alma e Bob Odenkirk (l’avvocato Saul Goodman di Breaking Bad) nel ruolo del padre Jacob. Ma Undone ha anche molti altri meriti. Trattando il tema della salute mentale ci ricorda come per la società in cui viviamo, nonostante una certa de-stigmatizzazione della malattia mentale, continui a essere ostile nei confronti delle persone che necessitano di curare la propria salute mentale. Condizioni come depressione e lo stress post traumatico sono spesso accompagnate da una colpevolizzazione infondata e nascoste più che curate. Anche per questo, Undone non è una serie come la maggior parte di quello che passa in televisione o nei servizi di streaming. Forse non è per tutti i palati, ma è tra le migliori idee che sono state partorite nelle ultime stagioni.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it