STRANIMONDI

Come si è concluso The Man in the High Castle?

Amazon Prime ha pubblicato lo scorso 15 novembre la quarta e ultima stagione di The Man in the High Castle, una delle produzioni più seguite tra quelle realizzate dagli Amazon Studios.

La serie ha ampliato le vicende e l’universo (parola quanto mai pertinente, in questo caso) immaginato dallo scrittore Philip K. Dick nel suo romanzo ucronico omonimo del 1962. Nella prima stagione della serie il multiverso era solo un’ipotesi, ma terza e quarta stagione levano ogni dubbio e portano la storia alternativa in un quadro pienamente fantascientifico. 

Dove eravamo rimasti

Riepiloghiamo per sommi capi la situazione all’inizio della stagione 4 (ciò che accade entro la fine della stagione 3, quindi, lo diamo per assodato e non lo consideriamo come spoiler). 

Siamo negli anni Sessanta del Novecento. L’Asse ha vinto la Seconda Guerra Mondiale e gli equilibri geopolitici sono praticamente speculari a quelli dei nostri anni Sessanta. La Germania è il paese che guida il mondo insieme al Giappone, contro il quale combatte una vera e propria Guerra Fredda, soprattutto sul territorio americano, spaccato in due zone di influenza (est sotto il giogo nazista, ovest controllato dall’Impero nipponico) con un “cuscinetto” neutrale a metà a dividere le due superpotenze ormai rivali.

Mentre l’erede di Adolf Hitler, il nuovo Reichsführer Heinrich Himmler, ha mire aggressive ed espansionistiche sugli Stati Giapponesi del Pacifico, cresce di rilevanza la figura del Reichmarshall americano John Smith (Rufus Sewell). Se pubblicamente l’uomo è una delle figure più imponenti del Reich, fedele ai valori nazisti e a Himmler, in privato vive una pesante crisi familiare con la moglie Helen successiva alla drammatica morte del figlio primogenito e amatissimo Thomas, l’unico maschio, sacrificatosi volontariamente consegnandosi tra le mani dei medici del Reich dopo aver scoperto di avere una malattia genetica. I medici lo avevano così soppresso in nome del programma eugenetico di purezza della razza. Un evento drammatico che fa vacillare sempre di più le convinzioni della famiglia Smith nei valori nazisti. 

John Smith, la sua sete di potere e i suoi demoni diventano con lo scorrere delle stagioni i protagonisti indiscussi della serie. In parallelo si sviluppano le vicende, più o meno vicine a Smith, della ribelle americana Juliana Crane (Alexa Davalos), dell’Ispettore capo della Kempeitai Takashi Kido (Joel de la Fuente) e del mercante d’arte Robert Childan (Brennan Brown). Inoltre, il territorio americano è fondamentale non solo per ragioni geopolitiche, ma anche per ragioni scientifiche: sul territorio americano i nazisti hanno scoperto e studiato a fondo un portale per entrare in un universo parallelo nel quale a vincere la guerra erano stati gli Alleati. Quell’universo è il nostro. 

Guida galattica per autostoppisti di universi

I nazisti scoprono ben presto che il loro mondo (cioè il mondo della serie) è solo uno dei tantissimi mondi possibili. La serie concretizza l’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica. Il fisico teorico Hugh Everett la elaborò in alternativa all’interpretazione di Copenhagen di Niels Bohr e Werner Heisenberg. Semplificando molto, questo porta a dire che, in riferimento all’esperimento mentale del gatto di Schroedinger, in un universo il gatto è vivo e in un altro è morto. Togliete il gatto e mettete la Seconda Guerra Mondiale: in una realtà, la nostra, la Guerra è stata vinta dagli Alleati, in un’altra – quella della serie – è stata vinta dall’Asse. 

Ma la scoperta del portale mette in comunicazione i due mondi, che quindi possono parlarsi direttamente. Tanto che Himmler vuole colonizzare e conquistare il nostro mondo, trasportando attraverso il portale i suoi militari. Dopo aver conquistato il nostro mondo, Himmler vuole conquistare anche gli altri mondi, tutti quelli in cui può arrivare. Ha in mente un nazismo totale e al potere in ogni universo. Una costante dei molti mondi. Allo stesso tempo, però, l’esistenza di un mondo dove l’Asse ha perso è una risorsa per la Resistenza, guidata da Juliana Crane: quello della serie non è l’unico mondo, non è certo il migliore, tanto che ce n’è uno che mostra come il nazismo sia un accidente della storia, una variabile e non una costante ineliminabile. 

Una storia quantistica

Nella miriade di meme che ci capitano sotto gli occhi ogni giorno mentre scorriamo social o pagine web se ne possono vedere alcuni (come quello qui sotto) che ironizzano su come sceneggiatori e scrittori di film e serie televisivi si affidino alla fisica quantistica e alle bizzarrie del mondo atomico per (non) spiegare passaggi della trama particolarmente oscuri.

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Lo abbiamo visto anche più volte in questa rubrica: succede nella serie Lost, succede anche in un film del franchise Cloverfield, ovvero Cloverfield Paradox. Succede anche in The Man in The High Castle.

The Man in The High Castle non si limita ad avvalersi della meccanica quantistica, ma in un certo senso è una storia quantistica. Gli autori sono bravissimi a giocare sui riferimenti e sui dettagli. Un esempio su tutti: il personaggio di John Edgar Hoover. Nel nostro mondo Hoover è stato il capo dell’FBI, il Federal Bureau of Investigation americano. Nella serie, quindi nell’universo parallelo, Hoover esiste ed è il capo dell’American Reich Bureau of Investigation. Hoover è una costante: nel suo destino era scritto che avrebbe dovuto essere a capo di un’agenzia investigativa, a prescindere dal vincitore della Guerra. Molto diversa la situazione di John Smith: è uno spietato funzionario nazista in un mondo dominato dall’Asse, mentre è un pacifico commesso viaggiatore nel nostro. 

Visto che i due mondi comunicano, sono ancora due mondi o sono diventati uno, “collassando” su loro stessi? Oppure le regole di viaggio e di ingaggio tra i due mondi li tengono ben separati? Come mostra la serie un personaggio può influenzare lo scorrere degli eventi dell’altro. Anche questo è un chiaro meccanismo quantistico: come lo scienziato che osserva il sistema fisico operando una misura perturba il sistema stesso e contribuisce a determinare il collasso della funzione d’onda in uno stato o in un altro, l’osservatore di un altro universo contribuisce a cambiare lo stato di quell’universo.

Il complicato e oscuro finale messo in scena dagli autori lascia molti dubbi, forse troppi. Ed ecco che forse in questo caso il rimando alla fisica diventa un po’ come quello dei meme: The Man in The High Castle ha troppe domande a cui non sa dar seguito e affida il “mi avvalgo della facoltà di non rispondere” a un dialogo molto sbrigativo tra John Smith e Hawthorne Abendsen (ovvero l’uomo nell’alto castello) sul mondo dei quanti. Peccato, perché la quarta stagione procede con un ritmo notevole e, sul piano fantastorico, continua a pennellare un dipinto vivido e spaventoso di come le cose sarebbero potute andare. Un’opera che si conferma capace di far venire i brividi a ogni singolo fotogramma.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Enrico Bergianti
Giornalista pubblicista. Scrive di scienza, sport e serie televisive. Adora l'estate e la bicicletta.