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Un buco nero costruttore di stelle

Una ricerca guidata da un gruppo di astronomi dell'INAF ha permesso una singolare scoperta: un buco nero capace di favorire la formazione di nuove stelle a una grandissima distanza

Può un buco nero favorire la formazione di nuove stelle a una distanza di un milione di anni luce? In circostanze particolari sembra proprio di sì, come sembra indicare uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Astronomy and Astrophysics. La scoperta è il risultato di una collaborazione internazionale guidata da un team di ricercatori italiani dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

Di solito si pensa ai buchi neri come pozzi gravitazionali senza fondo, in grado di inghiottire qualsiasi cosa passi nelle vicinanze, persino la luce, se finisce entro l’orizzonte degli eventi. È questo il limite oltre il quale la gravità è così forte che nulla può più sfuggire, e dove lo spazio-tempo viene curvato al punto che, per un osservatore esterno, il tempo stesso si ferma. Ma non occorre finire dentro l’orizzonte degli eventi per risentire del suo campo gravitazionale, basta infatti avvicinarsi abbastanza per sentire il suo fortissimo effetto di marea capace di distruggere e disgregare intere stelle. Come fanno dunque delle stelle a formarsi proprio grazie all’azione di un oggetto simile e per giunta a una distanza così grande?

Buchi neri supermassivi

Innanzitutto il buco nero di cui stiamo parlando non è un comune buco nero di massa stellare, residuo di una grande stella esplosa in supernova. Quello in azione nello studio è un cosiddetto buco nero supermassivo, un oggetto la cui massa può andare dai milioni a diversi miliardi di masse solari. Sul come si formino, si brancola ancora nel buio. Potrebbero essere il residuo di primissime stelle molto massicce che sono rapidamente cresciuti nell’universo primordiale o addirittura potrebbero nascere già molto grandi da nubi di gas freddo dalla massa di centinaia di migliaia o milioni di masse solari che nelle particolari condizioni dell’universo primordiale collasserebbero interamente in buchi neri. Quello che si sa per certo è che, qualunque sia il loro meccanismo di formazione, per raggiungere le dimensioni che osserviamo ci deve essere un accrescimento continuo o molto efficiente di materia.

Questi buchi neri, contrariamente al loro nome, possono in realtà diventare le sorgenti di radiazione più luminose e potenti dell’universo. Questo perché l’emissione di radiazione avviene ben al di fuori dell’orizzonte degli eventi ed è dovuta alla materia che sta cadendo su di esso. Si pensa che ciò avvenga attraverso la formazione di un disco di accrescimento che spiraleggia verso il buco nero circondato da nubi di gas molto caldo. Man mano che il gas cade verso il buco nero sotto l’effetto della gravità, la sua energia potenziale viene in parte convertita in energia cinetica portando a un suo progressivo riscaldamento e a una forte emissione attraverso vari meccanismi di radiazione in tutte le lunghezze d’onda. Questa attività può comportare anche l’emissione di una piccola parte della materia che sta cadendo. Una modalità è sotto forma di venti, ossia il rilascio di particelle con velocità che possono raggiungere anche centinaia di migliaia di chilometri al secondo e possono spingersi a distanze fino a decine di migliaia di anni luce, fino a coprire l’intera galassia ospite. Un’altra modalità è invece sotto forma di getti relativistici. Circa il 10% – ma forse anche di più – dei buchi neri attivi produce getti di materia che si muovono a velocità prossime a quella della luce e sono molto visibili nella banda radio. Sono estremamente collimati, cioè hanno un angolo di apertura molto piccolo attorno ai poli e possono raggiungere delle distanze molto grandi dal buco nero, fino a un milione di anni luce.

I buchi neri supermassivi si trovano in luoghi ben precisi, i nuclei delle galassie. I più grandi in particolare si trovano nelle galassie giganti che si trovano al centro di strutture cosmiche dette ammassi che possono contare migliaia di galassie. Più in generale i dati mostrano che, più è grande la massa delle stelle di una galassia (escludendo quindi il gas che può essere una componente molto importante), più è grande la massa del buco nero al loro centro. Questo indica la presenza di un legame tra l’evoluzione dei due oggetti. In particolare, la stessa attività di emissione di radiazione e particelle da parte del buco nero può influenzare la galassia ospite attraverso vari meccanismi di feedback, ad esempio spazzando via il gas freddo da cui si formano nuove stelle.

Proprio questi meccanismi, grazie a osservazioni nelle varie bande dello spettro elettromagnetico sempre più dettagliate, sono oggetto di indagine per cercare di capire l’evoluzione di questi buchi neri e i suoi possibili effetti. Ed è nell’ambito di questa filone di ricerca che è stata fatta la recente scoperta di un effetto positivo sulla formazione stellare molto intenso e a una distanza davvero ragguardevole. Per farci spiegare il quadro della situazione e capire come ciò sia possibile abbiamo intervistato Roberto Gilli ricercatore dell’INAF di Bologna e leader del team che ha condotto la ricerca.

Qual è il suo campo di ricerca?

Mi occupo prevalentemente di buchi neri supermassivi al centro delle galassie nelle fasi in cui accrescono materia. Queste fasi sono di norma accompagnate da un rilascio di energia che è tracciabile sotto forma di radiazione elettromagnetica e di emissione di particelle ad alta energia. Per questo motivo in queste fasi si dicono attivi e vengono chiamati comunemente quasar o nuclei galattici attivi.

In particolare assieme al gruppo di ricerche che c’è qui all’INAF di Bologna e al dipartimento di astronomia dell’Università di Bologna ci concentriamo sulla ricerca di AGN tramite l’osservazione nella banda dei raggi-x che ha il vantaggio di poter tracciare questi fenomeni di accrescimento nucleare anche quando questi vengono occultati da forti quantitativi di gas e di polveri che ne schermano la radiazione ad altre frequenze.

Nel nostro gruppo di ricerca stiamo cercando di capire quale effetto possono avere i buchi neri supermassivi, non solo sulla galassia ospite, ma anche sull’ambiente al di fuori di essa e quindi se può in qualche modo avere un effetto sul gruppo o l’ammasso di galassie in cui esso stesso si trova. Si pensa infatti che ci sia una interazione fra quello che succede durante l’accrescimento del buco nero e quello che succede alla formazione della galassia. Ad esempio le stelle si formano da gas freddo che collassa sotto l’effetto della gravità, ma si pensa che l’energia che viene rilasciata dal buco nero sotto forma di materia e radiazione possa riscaldare o anche rimuovere il gas presente all’interno della galassia e così facendo può rallentare o addirittura bloccare la formazione stellare. Su questa parte c’è un consenso più o meno generale. È un processo che è stato già discusso e portato in evidenza una ventina di anni fa. In anni più recenti si è cominciato invece a pensare che accanto a questi effetti di feedback negativo i buchi neri possano avere anche effetti di feedback positivo sulla formazione stellare nella galassia che lo ospita. Questo perché l’emissione di particelle sotto forma di venti di materia può causare una compressione del gas all’interno della galassia stessa con un aumento della densità delle nubi di gas molecolare da cui si formano le stelle. In questo modo il loro tempo di collasso si riduce determinando un incremento della velocità dei processi di formazione stellare. Ci sono alcuni esempi osservativi che danno forse supporto a questa teoria. Si tratta di aumenti di formazione stellare nella galassia che ospita il buco nero attivo o al più in una galassia nelle immediate vicinanze e sono dell’ordine di qualche decina di unità di tasso percentuale.

La vostra ultima ricerca sembra invece mostrare che l’attività di un buco nero supermassivo favorisca la formazione stellare a distanza di milioni di anni luce, ben oltre quanto si era osservato e in contrasto con quanto si osserva di solito. Ci racconta come siete arrivati a tale scoperta?

Come spesso accade è una scoperta casuale. Stavamo studiando un campo di cielo in una zona in cui si trova un buco nero molto lontano, a circa 12 miliardi anni luce, ossia una zona dove l’universo aveva appena un miliardo di anni. In questo tentativo abbiamo puntato una serie di strumenti su uno di questi oggetti e abbiamo raccolto informazioni in diverse lunghezze d’onda, dalla banda radio a quella x, poiché volevamo studiare anche il loro ambiente circostante e vedere se vi erano altre galassie e buchi neri e fare così un confronto con le teorie dell’accrescimento dei buchi neri primordiali.

Un’osservazione così profonda sta durando da diversi anni e comporta l’uso diversi telescopi sia da terra che da satelliti in orbita. Abbiamo in particolare usato Chandra che al momento è il satellite più sensibile in assoluto per le osservazioni profonde nella banda X. Ci siamo però accorti che fra noi e questo oggetto lontano c’è una struttura altrettanto interessante. Vi è infatti una zona di emissione di raggi-x diffusa, cosa che spesso è un tracciante di gas a temperature dell’ordine di decine o centinaia di migliaia di gradi. Inizialmente pensavamo addirittura che questa emissione potesse essere associata con il quasar lontanissimo e quindi pensavamo di aver trovato evidenza di processi di feedback. Questo gas così caldo poteva essere dovuto infatti a un fenomeno di riscaldamento tramite onde d’urto dovute all’attività del buco nero. Successivamente abbiamo capito che questa emissione diffusa era associata a una struttura più vicina, a quasi 10 miliardi di anni luce, una distanza cosmologica comunque molto significativa. Ci siamo accorti prima di tutto che questa emissione X diffusa coincideva con una bolla di emissione diffusa anche nella banda radio e poi che nelle vicinanze c’era una radiogalassia potente, ossia una galassia con una forte emissione radio legata alla presenza al suo centro di un buco nero attivo che sta emettendo getti di materia.

Tramite osservazioni con il Large Binocular Telescope, un telescopio che sta in Arizona in cui l’INAF ha una quota di osservazioni, e tramite altri dati raccolti con il telescopio principe della banda ottica, il Very Large Telescope dell’ESO, cui anche l’Italia ha accesso, siamo riusciti a determinare la distanza di questa radiogalassia e di altre galassie nel campo osservato, vedendo che si trovano esattamente alla stessa distanza. Come spesso accade quindi la potente radiogalassia è il tracciante di una struttura a larga scala che potenzialmente è il progenitore di uno degli ammassi di galassie che si vedono nell’universo locale. Ma ancora più interessante è il fatto che alcune delle galassie appartenenti a questo proto ammasso, quattro delle sette galassie che abbiamo individuato nella struttura – ma ce ne sono molte di più che stanno man mano emergendo dai dati – si trovano esattamente al bordo della bolla di emissione X. Hanno una formazione stellare elevata e perciò sono molto brillanti nell’ultravioletto. La collocazione spaziale era abbastanza curiosa e abbiamo verificato che non è dovuta a effetti casuali.

Questo vuol dire che ci essere una relazione fra queste galassie brillanti e il bordo di questa struttura. Questa bolla X che contiene al suo interno gas a temperature dell’ordine di milioni di gradi pensiamo sia legata all’espansione di una onda d’urto connessa all’emissione dell’AGN. Il fenomeno che potrebbe essere in atto è questo: la radiogalassia emette un getto radio che a circa un milione gli anni luce collide con una zona di gas presente nel proto ammasso. Questa collisione produce uno shock che si propaga formando una bolla costituita da una uno strato sottile di gas abbastanza freddo, che non riusciamo a rivelare con gli strumenti, mentre l’interno è riempito da gas poco denso, ma molto caldo che invece riusciamo a vedere con con Chandra. L’idea è che questa onda d’urto produca una compressione del gas presente nell’ammasso e in particolare quello di quello di queste quattro galassie che si trovano al suo bordo e che stanno per essere investite completamente dall’onda d’urto stessa.

A causa di questa compressione la densità del gas aumenta e il tempo di collasso delle nubi si riduce, incentivando così la formazione stellare. Effettivamente siamo riusciti a misurare i tassi di formazione stellare di queste galassie e sono risultati da 2 a 5 volte più alti rispetto alla media delle altre galassie del proto ammasso e delle galassie simili alla stessa distanza cosmica. La grande novità rispetto ai casi fin’ora conosciuti è che si tratta di un feedback positivo estremo sotto tutti i punti di vista: estremo nelle distanze, almeno 10 volte maggiori rispetto a quanto si conosceva, nel numero di oggetti che sono coinvolti contemporaneamente e nell’aumento della formazione stellare, notevolmente maggiore rispetto a quanto osservato fino ad oggi. Quello che ora vogliamo fare è capire se anche all’interno della bolla vi sono galassie del proto ammasso in cui però la formazione stellare si è spenta e sono perciò meno luminose e più difficili da rivelare. Se ne trovassimo una presenza significativa, avremo una buona indicazione che il feedback del buco nero passa da positivo a negativo una volta che l’onda d’urto è passata e la zona viene invasa dal gas caldo.

È un caso particolare o potrebbe essere una fase di sviluppo degli ammassi? In una zona più vicina vi aspettate qualcosa di simile?

Questa scoperta su un oggetto a così grande distanza è stata possibile solo grazie al fatto che in maniera casuale avevamo un’osservazione molto profonda nei raggi X. Oggi non abbiamo osservazioni di sistemi simili altrettanto profonde quindi al momento non possiamo dire molto a riguardo. Una prima risposta ce la potrebbe fornire un’osservazione in cui siamo coinvolti e che è in corso d’opera e verrà ultimata la primavera prossimo. E’ su un sistema simile al nostro e a una distanza un po’ maggiore. Siamo molto curiosi di vedere come andrà. Quando avremo una panoramica di un campione statisticamente rilevante di questi proto ammassi potremo avere un’indicazione sul fatto che questo fenomeno di feedback positivo sia un processo importante nell’evoluzione degli ammassi di galassie. Per quanto riguarda l’universo locale si tratta di oggetti vicini e quindi più facili da studiare però sono sistemi che sono probabilmente già passati attraverso queste fasi di feedback primario. Mediamente negli ammassi vicini la potenza dei getti radio dei buchi neri è minore e la formazione stellare nelle galassie che si trovano al centro dell’ammasso si è in gran parte spenta, dato che il gas che si trova diffuso nell’ammasso è ormai già molto caldo e questo non l’aiuta.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: NASA/CXC/INAF/R. Gilli et al.; Radio NRAO/VLA; Optical: NASA/STScI

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Vincenzo Senzatela
Appassionato di scienze fin da giovane ho studiato astrofisica e cosmologia a Bologna. In seguito ho conseguito il master in Comunicazione della Scienza alla SISSA e ora mi occupo di divulgazione scientifica e giornalismo ambientale