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Da loro a noi: l’età dei cani in anni umani

Il mito vuole che a ogni anno umano ne corrispondano sette canini, ma c'è poco di scientifico. Per una stima più solida ci viene in aiuto l'epigenetica.

“Che età avrebbe il mio cane se fosse un essere umano?”. Tutti, almeno una volta, ci siamo ritrovati a chiedercelo. E tutti abbiamo probabilmente sentito il vecchio mito secondo cui a un anno umano corrispondono approssimativamente sette anni canini. Come ricorda qui lo Smithsonian Magazine, la formula ha davvero ben poco di solido dietro. Più interessante, invece, il lavoro proposto sulla rivista bioRxiv: si tratta di un pre-print*, non ancora sottoposto a peer-review, nel quale gli autori hanno analizzato un particolare tipo di modifiche epigenetiche correlate all’invecchiamento nel cane, confrontandole con ciò che sappiamo di quanto avviene nella nostra specie. Dal loro lavoro emerge un pattern simile d’invecchiamento che, se la ricerca venisse confermata, permetterebbe di traslare con maggior accuratezza l’età canina a quella umana.

Lo studio sui pattern di metilazione del DNA

La metilazione di alcune sequenze di DNA (più nello specifico, le CpG islands, regioni del genoma in cui le basi azotate citosine sono vicine alle guanine) è correlata all’invecchiamento degli esseri umani e di altri vertebrati, tanto da essere usata per la costruzione dei cosiddetti “orologi epigenetici”. Non è del tutto noto, però, quanto queste modifiche siano simili tra una specie e l’altra; ad esempio l’orologio biologico umano è poco predittivo dell’età di altri mammiferi. I cani, scrivono gli autori dell’articolo, offrono un’opportunità unica per indagare questi aspetti, sia per la selezione che abbiamo compiuto sulle razze, che determina una certa omogeneità genetica, sia perché – almeno per quanto riguarda i pet – condividono con noi il nostro ambiente, fornendo quindi la possibilità d’indagarne l’effetto sull’invecchiamento.

I ricercatori hanno quindi analizzato i pattern di metilazione del DNA di 104 labrador di diversa età, dalle quattro settimane ai 16 anni di vita, e li hanno confrontati con quelli di oltre 300 umani di età compresa fra uno e 103 anni. Questo ha permesso di evidenziare alcune somiglianze tra la metilazione del DNA canino e quello umano, più marcate quando si considerano cani e umani giovani e anziani. Le modifiche coincidono, in alcuni casi, con alcune “pietre miliari” dello sviluppo: dalle modifiche epigentiche, scrivono gli autori, le sette settimane canine corrispondono ai nove mesi umani (quando entrambi i piccoli iniziano a mettere i denti). La corrispondenza diventa più approssimativa quando si guarda al periodo dell’adolescenza e all’età matura, inoltre – per quanto riguarda il cane – la metilazione del DNA sembra seguire un pattern più rapido nei primi anni di vita.

Una nuova formula (e i suoi limiti)

Gli autori propongono una nuova formula per calcolare la corrispondenza tra gli anni umani e quelli canini. Secondo la formula, gli anni umani corrispondono al prodotto tra una costante (16) e il logaritmo naturale dell’età del cane, più una seconda costante (31) (età umana= 16xln[età del cane]+31). Può stupire che, facendo il calcolo, da questa formula risulti che i due anni di un labrador corrispondono ai quarant’anni umani. Questo dipenderebbe da quanto evidenziato dagli autori dello studio, ossia che il pattern di metilazione dei cani è accelerato rispetto a quello umano nei primi anni di vita, ma le cose cambiano con l’avanzare del tempo.

È bene ricordare, come fa la nota del coordinatore dello studio Trey Ideker – ripresa qui dal Washington Post– che il calcolo è basato su un singolo aspetto molecolare; inoltre non tiene in considerazione la dimensione né la razza del cane, perché il lavoro è basato solo sull’analisi della metilazione nei labrador, scelti per avere un campione quanto più possibile omogeneo dal punto di vista genetico. Eppure, tanto la razza quanto la dimensione sono fattori che influenzano l’aspettativa di vita dei nostri cani.

Infine, i riferimenti sono sull’aspettativa media di vita: i 12 anni del labrador corrispondono a circa 70 anni umani (laddove per la nostra specie l’aspettativa media globale di vita è indicata di 72 anni).

L’età anagrafica conta solo fino a un certo punto

Ma ha davvero senso cercare la corrispondenza tra gli anni umani e quelli canini? «Quasi tutti i proprietari di cani con cui ho lavorato, prima o poi, mi hanno chiesto quanti anni umani avrebbe il loro compagno», commenta a OggiScienza Valeria Fasce, veterinaria genovese. «Questa corrispondenza può forse aiutarci a ricordare che gli anni passano anche per i cani, che spesso vediamo come “eterni cuccioli”, e la considerazione, a sua volta, può aiutarci nella gestione dell’animale, perché non possiamo fare a un cane anziano le stesse richieste che faremmo a uno giovane». Ad esempio non è il caso di trascinare in camminate lunghe e impegnative un vegliardo che comincia a risentire della fatica degli anni. D’altro canto, qualsiasi tipo di corrispondenza è necessariamente niente più di un’indicazione generica.

L’invecchiamento è un processo complesso influenzato di diversi fattori. Tanto che, come abbiamo ricordato in quest’articolo sull’invecchiamento canino, non è semplice da caratterizzare e i limiti per definire l’anzianità sono necessariamente arbitrari. «Ecco perché dal punto di vista veterinario quella che conta non è tanto l’età anagrafica, quanto la condizione generale del cane che abbiamo davanti», continua Fasce. «Dobbiamo, insomma, concentrarci sull’individuo: si possono trovare cani di dieci anni assolutamente in forma e coetanei sui quali l’età pesa di più. Solo sulla base dello stato di salute dell’individuo possiamo stabilire, ad esempio, se è il caso o meno di intraprendere un intervento o un percorso riabilitativo, o se sia invece il caso di cambiare lo stile di vita, oppure se tutte queste iniziative non rappresentino invece uno stress non necessario per l’animale».

Il nuovo studio, se confermato, offrirebbe importanti informazioni su come l’epigenetica si associ all’invecchiamento dei nostri cani. Come ricordato, però, la metilazione del DNA non è che uno dei tanto aspetti da considerare quando si parla d’invecchiamento. Vale la pena, in questo campo, citare quello che a oggi è uno dei più vasti studi di questo processo nei cani: si tratta del Dog Aging Project, un progetto statunitense iniziato nel 2016 che mira a raccogliere 10.000 cani per capire come geni e ambiente influenzino l’invecchiamento e quali fattori siano associati a una vita più lunga e sana.

 

*L’articolo è stato pubblicato il 2 luglio 2020 sulla rivista Cell Systems


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.