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Le nuove frontiere della tavola periodica

Il 2019 è stato l'anno dedicato alla tavola periodica, in questo inizio del 2020 chiudiamo la nostra serie di approfondimenti cercando di capire se possiamo aspettarci nuovi elementi chimici.

Nel gennaio 2016, l’Unione internazionale per la chimica pura e applicata (IUPAC) battezzava quattro nuovi elementi scoperti pochi anni prima, assegnando loro un posto nella Tavola Periodica. Si tratta di elementi non metallici cosiddetti “superpesanti”, che non si osservano in natura se non grazie a particolari acceleratori di particelle – dove, più che scoprirli si fabbricano, letteralmente, confermando le previsioni teoriche – e che hanno riempito le caselle mancanti della settima e ultima riga della tavola (numeri atomici 113, 115, 117 e 118).
Questo che si appena concluso è stato un decennio piuttosto prolifico nella produzione in laboratorio di elementi simili, sei in tutto. Così come siamo abituati a vederla, sembrerebbe che con l’Organessum (il n° 118) la schematizzazione introdotta da Demetri Mendeleev 150 anni fa, adesso trova finalmente un suo ordine definitivo. Ma, in realtà, i chimici e i fisici delle particelle sono già a caccia dell’elemento 119 e oltre.

Per esempio, i ricercatori del centro GSI di Darmstadt, la “città delle scienze” dell’Assia in Germania, sono salpati sulla SHIP (Separator for Heavy Ion reaction Product), una struttura di uno dei più importanti acceleratori di particelle, alla volta di un luogo virtuale che potrebbe rivoluzionare ulteriormente l’aspetto della Tavola Periodica, una vera e propria Atlantide degli elementi: l’isola di stabilità.

Cosa ci aspetta su quest’isola? La tavola periodica degli elementi ci riserva altre sorprese?
Come spesso capita quando si tratta di grandi avventure scientifiche, è utile fare prima un balzo indietro nel tempo.

nuovi elementi chimici

Glenn Seaborg e la caccia ai transuranici

Nell’estate del 1940, senza fare troppo rumore, gli Stati Uniti d’America iniziavano a collaborare allo sforzo bellico. Il fronte scelto per aiutare gli alleati era quello della ricerca tecnologica. Il governo federale, che in quei mesi autorizzava la nascita del National Defense Research Commitee (NDRC), chiamò a raccolta le menti più brillanti della scienza civile per metterle a lavoro su progetti più strettamente militari. L’obiettivo principale era ottimizzare i radar, strumenti già messi in campo dagli inglesi nei primi mesi di guerra. Tuttavia, in quel periodo ben altre novità bollivano nella pentola della comunità scientifica.

Tra gli scienziati arruolati c’era Edward McMillan, fisico californiano del Lawrence Berkeley National Laboratory, che proprio quell’anno aveva battuto tutti sul tempo nella creazione del primo elemento transuranico, il numero 93, battezzato Nettunio in onore di Nettuno, ovvero il pianeta del sistema solare dopo Urano. Era infatti la prima volta che veniva aggiunta una casella alla tavola periodica dopo la numero 92, l’Uranio, appunto.

Come ci riuscì? Torniamo alla rappresentazione più tradizionale e schematica della struttura atomica. Il nucleo contiene protoni (carica positiva) e neutroni (particelle prive di carica). Il numero atomico di un elemento indica il numero di protoni, che è pari al numero di elettroni (carica negativa). Un isotopo di un elemento è un atomo con stesso numero di protoni ma differente numero di neutroni. Per ottenere un nuovo elemento, semplificando, bisogna aggiungere o sottrarre protoni dal nucleo. Più facile a dirsi che a farsi, ma il gruppo di Berkley guidato da McMillan vinse la sfida bombardando di neutroni un isotopo dell’Uranio in una reazione di fissione.

Fonte: Wikimedia Commons

Come l’Uranio, anche il nuovo elemento ottenuto risultò decisamente instabile e McMillan capì quindi che il Nettunio, nelle giuste condizioni, poteva anche tramutarsi nel successivo del gruppo, il numero 94.
A questo ci pensò il suo giovane collaboratore, Glenn Seaborg, un chimico del Michigan con radici svedesi, all’epoca ventottenne, che in quei mesi concitati si trovò così da solo nei laboratori di Berkley. Libero di armeggiare con gli isotopi e le radiazioni e spinto dalla curiosità e dall’ambizione, Seaborg approfittò di quella occasione irripetibile e, completando il lavoro di McMillan, riuscì a sintetizzare un campione dell’elemento 94, il Plutonio. A differenza del suo omologo planetario, il Plutonio non era di certo l’ultimo della serie.

La caccia grossa ad altri, nuovi elementi transuranici era appena cominciata. Glenn Seaborg diventò subito una celebrità e iniziò a collezionare record mondiali uno dietro l’altro.
Intanto, grazie a queste scoperte le strategie del fronte tecnologico cambiarono, drammaticamente, volto. Dopo i radar si passò al progetto Manhattan, in cui Seaborg fu ovviamente coinvolto, per la messa a punto degli ordigni atomici poi sganciati su Hiroshima e Nagasaki. Finita la guerra, Seaborg, nel frattempo rientrato a Berkley, continuò su quella strada per andare oltre il Plutonio. Con una nuova tecnica di bombardamento della materia tramite particelle alfa, il team californiano nel giro di pochi anni sintetizzo l’Americio (95), il Curio (96), il Berkelio (97), per poi proseguire la corsa per tutti gli anni ’50 fino al Laurenzio (103).

Era la prima volta che nuovi elementi venivano creati e non solo osservati, e a una velocità tale che l’impresa non mancò di destare timori e polemiche di vario genere, compresi incidenti diplomatici per la scelta dei nomi da dare agli ultimi arrivati. In questa atmosfera effervescente, Glenn Seaborg raggiunse il record di ben dieci elementi transuranici sintetizzati, oltre a diversi isotopi che usiamo abitualmente per esempio in medicina; vinse il premio Nobel per la chimica a soli 39 anni, condiviso con McMillan, nel 1951; diventò consigliere in materia di energia atomica di dieci presidenti (da Truman a Clinton); ebbe il privilegio di veder battezzare uno degli elementi super pesanti col suo nome (il Seaborghio, 106) mentre era ancora in vita. E, soprattutto, aprì la strada a una nuova stagione di esplorazione scientifica che continua ancora oggi, ampliando la tavola periodica degli elementi, che dagli anni ’60 divenne oggetto di competizione con i sovietici, un po’ come per la corsa allo spazio.

La tavola si allarga e mostra le prime crepe

Fu proprio Seaborg a proporre una modifica con l’introduzione delle righe dei Lantanidi e degli Attinidi – oggi poste in basso rispetto al resto, per la dannazione degli studenti – per mettere ordine tra le proprietà dei superpesanti che non sempre concordavano con la loro posizione nella tavola. Idea dapprima contestata e poi confermata con le sue successive scoperte.

Quella del Lantanio e dell’Actinio, che hanno mostrato più differenze che somiglianze con i vicini di gruppo, non è un caso isolato. Anche l’Elio, il n 2 subito dopo l’Idrogeno, è oggetto di discussioni per collocazioni alternative – c’è chi lo immagina con il Berillio e il Magnesio, piuttosto che con i suoi partner gas nobili dell’ultima colonna. Insomma, anche se finora si è mostrata abbastanza coerente, la tavola periodica non è perfetta, così come non lo era la prima versione di Dimitri Mendeleev. Scovando nuovi elementi, ovvero scendendo più in basso, le cose si vanno complicando: all’aumentare dei protoni la stabilità, e quindi la vita degli atomi, tende a diminuire, a fronte di enormi quantità di energia per produrli.

Questo potrebbe suggerire che non vale la pena continuare questa corsa. Eppure, proprio con gli studi iniziati a Berkley si sono osservate delle eccezioni. Il 112, il 114 e il 116 sembrano essere più “calmi” dei loro vicini e lo stesso Seaborghio (106) ha un tempo di decadimento di 60 secondi. Non molto, ma abbastanza da studiare un po’ di più le sue proprietà.

In cerca dell’Atlantide degli elementi

Entusiasmati da questa scoperta, gli scienziati hanno cominciato a pensare all’esistenza di una zona franca, un gruppo di elementi con elettroni a sufficienza da domare le forze dei nuclei, rendendoli stabili: l’Isola di stabilità, che ha fatto la sua comparsa in letteratura negli anni ‘70 con tanto di pseudo carte nautiche per orientarsi nel mare dell’instabilità. La cosa interessante è che questi non sarebbero solo la versione più pesante degli elementi di partenza ma avrebbero peculiarità del tutto nuove. Un metallo avrebbe abbastanza elettroni da comportarsi come un gas nobile, per dirne una. Viceversa, l’Organessio (118), l’ultimo battezzato nel 2016, è nel gruppo dei gas nobili, ma si comporta più come un semiconduttore.

Bisogna tuttavia moderare gli entusiasmi. Innanzitutto, avendo i superpesanti una vita brevissima, aggiungere a questi particelle per ottenere un solo numero atomico in più può richiedere anni di lavoro – è quello che fanno con SHIP a Darmstandt, dove dal ’69 è in funzione il GSI (Società per la ricerca sugli ioni pesanti).

Inoltre, la ricerca, anche se fruttuosa, dovrà fermarsi inevitabilmente di fronte alle colonne d’ercole della teoria della relatività : all’aumentare del numero di protoni aumenta anche quello di elettroni e quindi la loro velocità, che però secondo Einstein non può superare quella della luce. Richard Feymann, premio Nobel per la Fisica e celebre divulgatore statunitense, sosteneva che questo limite verrà raggiunto con l’elemento 137.

Ciò che ci attende oltre la settima riga rimane in realtà pressoché un mistero. Per ora non ci siamo neanche avvicinati alle spiagge dell’Atlantide degli elementi, ma gli scienziati sono abbastanza fiduciosi di poterci arrivare presto o tardi. Tutto lascia pensare che la Tavola periodica cambierà di nuovo volto, così come si è passati dalla vecchia struttura “a calendario” a quella “a castello” introdotta dopo l’avventura di Berkley. Lo stesso Glenn Seaborg, del resto, scherzando con la stampa alla radio invitava gli studenti e i professori in ascolto a buttare via le vecchia tavola periodica.

Rimanendo solo ai “vecchi” elementi, ci si può sbizzarrire con la fantasia. C’è chi immagina le caselle in una struttura a spirale, con l’idrogeno al centro, chi vorrebbe unire le due colonne laterali, chi spostare Idrogeno e Elio. Ci sono le versioni più creative, come quelle a elica tipo DNA dei biologi, a forma di pentagramma degli appassionati di musica, o di cubo di Rubik degli esperti di giochi. I matematici del Max Plank preferiscono vederla come un ipergrafo, e ,visto che bisogna fare i conti anche con l’anti-materia, qualcuno pensa a una versione 3D “a specchio”, una anti-tavola.

Che dire poi dei nuovi dispositivi di scala atomica come i quantum dots? Sembrano comportarsi come singoli, nuovi atomi. Forse bisognerà trovare presto un posto anche per loro.

Intanto, in “soli” 150 anni, da semplici osservatori, scopritori e catalogatori di elementi, i chimici ne sono diventati makers. Quasi in competizione con la nostra primordiale fornace stellare, verrebbe da dire.
Le sorprese sono destinate a continuare.


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Immagine di copertina: Pixabay

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.