AMBIENTE

Modelli climatici, nuvole e coccodrilli

La scienza del clima si è rivelata molto affidabile nel predire l’aumento delle temperature, ma lo sviluppo dei modelli climatici potrebbe riservare anche brutte sorprese.

Non abbiamo scuse: sapevamo quel che sarebbe accaduto. Da ormai cinquant’anni gli scienziati possono contare su modelli climatici sempre più sofisticati per studiare l’andamento della temperatura media globale. Strumenti matematici che sono riusciti a predire in modo accurato ciò che ormai è sotto gli occhi di tutti: la si Terra scalda per effetto delle emissioni antropiche di gas serra, e lo fa sempre più in fretta.

È la conclusione di uno studio appena pubblicato su Geophisical Research Letters che ha esaminato 17 dei più importanti modelli climatici sviluppati a partire dagli anni Settanta. I risultati mostrano che, tenendo conto degli effettivi livelli di CO2 immessi in atmosfera, la maggior parte di questi modelli (14 su 17 per la precisione) ha offerto previsioni corrette sul riscaldamento del pianeta.

Secondo Zeke Hausfather, il ricercatore dell’Università della California che ha coordinato lo studio, la maggior parte delle previsioni sono risultate «statisticamente indistinguibili da ciò che è effettivamente accaduto». In altre parole, la temperatura media globale è aumenta proprio come previsto. Le cassandre che da ormai mezzo secolo avvertono dei rischi del riscaldamento globale avevano dunque ragione. E i modelli climatici funzionano: sono strumenti affidabili per sapere come muterà il clima terrestre e per orientare le politiche di mitigazione.

Mondi speculari

James Hansen, il padre della moderna climatologia, fu tra i primi ad affidarsi ai modelli matematici per indagare le dinamiche del clima terrestre. Alla fine degli anni Settanta, grazie alla potenza di calcolo dei supercomputer dell’epoca, poteva già simulare con complesse equazioni differenziali l’interazione fra le principali componenti del sistema climatico: l’atmosfera, gli oceani, la criosfera, la superficie terrestre. Hansen, che ama definirsi «l’unico scienziato della NASA che da piccolo non sognava lo spazio», chiamava quelle simulazioni «mondi speculari». E le usò per scoprire cosa sarebbe successo al nostro pianeta se avessimo continuato a sputare gas serra in atmosfera.

Il 22 agosto 1981 il New York Times rivelò che gli scienziati della NASA avevano le prove che la Terra si stava scaldando: il segnale inequivocabile di un aumento della temperatura media globale sarebbe presto emerso dal rumore di fondo delle fluttuazioni climatiche. In quei mondi speculari, governati dalle leggi della fisica-matematica, Hansen aveva già intravisto il nostro inquieto presente.

Da allora le prestazioni dei modelli climatici sono migliorate di pari passo al progredire delle conoscenze sul clima e della potenza di calcolo dei computer. Come per qualsiasi modello, ovviamente, resteranno sempre limiti e incertezze, che però non riguardano più se la Terra si scalderà, bensì quanto si scalderà. In realtà, l’incertezza maggiore su quel che ci attende è legata alla nostra effettiva capacità di ridurre le emissioni, che deciderà il clima con cui saremo costretti a convivere.

 

Nuvole di incertezza

In ogni caso, i climatologi non intendono accontentarsi dei modelli sviluppati finora. Almeno non finché si dimostreranno incapaci di tenere conto delle nuvole. Sebbene abbiano una dinamica maledettamente complicata, le nuvole possono infatti esercitare un duplice effetto sul clima: da un lato, come una coperta stesa sul pianeta, trattengono una parte del calore terrestre; dall’altra, riflettendo la luce solare, hanno un effetto refrigerante. Nel complesso prevale il raffreddamento: le nuvole mitigano il riscaldamento globale.

Finora, tuttavia, i modelli climatici hanno potuto includere gli effetti delle nuvole solo in modo approssimato. Il problema è che non disponiamo ancora di abbastanza potenza di calcolo per gestire l’elevata risoluzione necessaria a simulare la dinamica delle nuvole su scala globale. Di recente, però, i ricercatori del California Institute of Technology di Pasadena (Stati Uniti) sono riusciti ad aggirare il problema sviluppando un nuovo modello climatico capace di descrivere il comportamento delle nuvole almeno su una porzione limitata del globo. In particolare, il gruppo di ricerca, coordinato da Tapio Schneider, ha studiato i banchi di stratocumuli che si formano sui mari tropicali, le nuvole più efficienti nel raffreddare il pianeta.

I ricercatori sono così arrivati a una scoperta inquietante, pubblicata sulle pagine di Nature Geoscience: se la concentrazione di CO2 dovesse triplicare rispetto a oggi, passando da circa 400 ppm a 1.200 ppm, l’atmosfera diventerebbe così calda da disgregare e dissolvere gli stratocumuli. A quel punto, senza l’effetto refrigerante delle nuvole, la Terra si scalderebbe di altri 8°C, che andrebbero ad aggiungersi all’aumento di temperatura provocato dai gas serra. L’Artico tornerebbe a ospitare palme e coccodrilli, ma gran parte del pianeta diventerebbe inabitabile. E per quanto possa apparire incredibile, ai ritmi attuali delle emissioni, questo scenario potrebbe diventare realtà nell’arco di appena un secolo.

Coccodrilli polari

L’ipotesi della scomparsa delle nuvole potrebbe spiegare anche un mistero: il ritrovamento di ossa fossili di coccodrillo, risalenti a 50 milioni di anni fa, sull’isola di Ellesmere, la più settentrionale delle isole artiche canadesi. Come poteva fare tanto caldo, così vicino al Polo Nord, da creare un ambiente adatto a creature tropicali come i coccodrilli? Sono state formulate molte ipotesi, ma secondo Schneider la scomparsa delle nuvole offre una risposta a quel che accadde 55 milioni di anni fa, durante il cosiddetto massimo termico del Paleocene-Eocene, quando la temperatura della Terra subì un aumento di 6°C inspiegabile per il solo effetto della CO2.

Comunque sia andata ai coccodrilli dell’Artico, Schneider è convinto che molto presto i modelli climatici entreranno anche nella nostra vita quotidiana. «Così come oggi possiamo controllare le previsioni del tempo sul cellulare, tra cinque anni potremo consultare un’app per sapere che clima farà», azzarda il ricercatore. E per scopi molto pratici: «Ad esempio, per sapere se il bosco dietro la casa che stai pensando di comprare potrebbe essere divorato da un incendio, o se il quartiere dove vivi sarà sommerso dalle inondazioni». Benvenuti nell’epoca delle previsioni climatiche.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: NASA/ISS Expedition 34

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Giancarlo Sturloni
Sono un giornalista scientifico esperto di comunicazione del rischio. Svolgo attività di comunicazione, formazione e consulenza in campo sanitario e ambientale. Sono co-fondatore del collettivo NatCom - Communicating nature, science & environment di Trento. Insegno Comunicazione del rischio alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, all’Università degli Studi di Udine e all'Università degli Studi dell'Insubria. Sono autore di diversi libri tra cui "La comunicazione del rischio per la salute e per l'ambiente" (Mondadori Università, 2018) e "Il pianeta tossico" (Piano B, 2014). Con Daniela Minerva ha curato il volume "Di cosa parliamo quando parliamo di medicina" (Codice, 2007).