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“Piacere di conoscerti”, capire i cani tra razze e motivazioni: intervista con Elena Garoni

La veterinaria comportamentalista ci parla dei bisogni e dei desideri che caratterizzano le razze canine in base alla loro storia di selezione, aiutandoci a conoscerle e capirle

Cosa significa imparare a conoscere un cane? In realtà significa moltissime cose, a seconda della prospettiva che si sceglie: possiamo studiarne le caratteristiche veterinarie oppure addentrarci in quelle etologiche; possiamo concentrarci sul singolo individuo o sulle categorie. “Piacere di conoscerti. Capire i cani con le motivazioni di razza” (Tea, 2019, 15,00 €) sceglie proprio quest’ultima strategia per raccontare di quella specie che ci è compagna da tanto tempo.

Storie di razze

Scritto dalla veterinaria comportamentalista Elena Garoni, il libro è un valido riferimento non solo per chi sta pensando d’iniziare a condividere la vita con un cane, ma anche per chi già lo fa. Non ha pretese d’insegnamento, ma focalizza l’attenzione sui desideri e i bisogni (le “motivazioni”) dei cani per aiutarci a capire il loro comportamento, e soprattutto a fare mente locale su ciò che per loro, della nostra vita, potrebbe andare bene o meno.

A differenza del libro di Marc Bekoff di cui abbiamo parlato qui, non vuole essere un testo che ci aiuta a capire il cane con la scienza, sebbene sia indicata una bibliografia essenziale. Piuttosto, la prospettiva scelta è quella storica. L’autrice divide le razze canine in 15 macro-categorie (dai segugi ai molossi, dai levrieri ai cani da compagnia), e di ciascuna racconta l’origine e le ragioni alla base della selezione compiuta dall’essere umano, scegliendo alcune razze da ciascun gruppo. Dai tempi passati ai più recenti, il libro racconta del quando, e soprattutto del perché, sono iniziate a nascere le razze che conosciamo oggi, portandoci in tempi e luoghi ben diversi dai nostri appartamenti e dai parchi cittadini nei quali siamo abituati ora a vedere i cani.

Da una parte, quest’approccio ha il fascino di un tuffo nel passato che ricorda quasi un romanzo. Dall’altra, ha il merito di portarci, necessariamente, a ragionare sugli ambienti e sulle necessità che hanno plasmato queste razze, determinandovi caratteristiche che a tutt’oggi non possiamo ignorare se vogliamo garantire il loro benessere e, di conseguenza, il nostro.

C’è un aspetto di “Piacere di conoscerti” che merita di essere sottolineato: non è solo interessante, è anche di piacevole lettura. L’autrice racconta e descrive i cani con serietà, certo, ma anche con un’allegria che non si ritrova troppo spesso nelle opere di saggistica. Ritroviamo quest’allegria tanto nei racconti delle esperienze personali quanto nelle stesse descrizioni dei cani. Antropomorfizzati, a volte, ma in un modo che non potrebbe essere più onesto. Solo per fare un esempio, riferito ai jack russel: “Incontenibili da cuccioli, bellicosi da giovani, saggi da adulti e illuminati da anziani, conservano tutta la vita un severo distacco dalle banalità che li rende indimenticabili, anche grazie alle cicatrici che lasciano sulle mani dei bambini e ai buchi nei divani di pelle”.

D’altra parte, come afferma Bekoff, anche quando parliamo di altre specie “noi abbiamo bisogno di usare il linguaggio umano”.

Come è lecito aspettarsi da una veterinaria comportamentalista che, per professione, si trova a confrontarsi con cani stressati e frustrati (nonché, purtroppo, padroni non sempre preparati né pronti a capire la specie) a volte l’allegria lascia il posto a una certa tristezza, o anche rabbia. Ma anche in questo è il merito del libro e della sua autrice: non c’è tristezza che tenga, se si può lavorare per rendere un cane e i suoi umani felici di stare insieme. E varrà sempre la pena impegnarsi per questo.


Il libro ruota intorno, o meglio è basato, sul concetto delle “motivazioni canine”. Cosa sono? Hanno una base scientifica? E come ci aiutano nel rapporto con i cani?

Le motivazioni canine partono da osservazioni dell’etologo Roberto Marchesini, che per primo ne ha definito l’elenco: sono alla base del comportamento del cane e rappresentano parte delle espressioni nelle quali questo si può esprimere. Nel mio libro, ho usato due parole per definirle: desiderio e bisogno. Le motivazioni sono ciò che i cani desiderano e, al contempo, ciò di cui hanno bisogno per raggiungere una gratificazione.

Il nome si rifà alla definizione delle motivazioni usata in psicologia umana, ma le motivazioni canine sono distinte da quelle della nostra specie (che, ad esempio, sono distinte in intrinseche ed estrinseche, e non sono raccolte in una lista).

Non possiamo affermare che abbiano una base scientifica, non esistono studi che le validino. Io le considero una proposta di avvicinamento e comprensione del cane, proposta che ha un buon riscontro dal punto di vista pratico. Sarebbe bello se ci fossero, un giorno, studi abbastanza ampi da validarne il concetto e la definizione, così da orientare la ricerca sul cane. D’altra parte, non dobbiamo dimenticare che quest’ultima è ancora molto giovane, ben più di quella condotta su altre specie.

Uno degli aspetti affascinanti del libro è nella descrizione della storia delle razze, un aspetto cui tutto sommato pensiamo poco. Alcune razze sono recenti, altre meno, altre ancora sono antichissime: da dove provengono le informazioni che abbiamo su queste ultime? In altre parole, com’è stato possibile ricostruirne la storia?

Abbiamo testi di letteratura che raccontano dei cani presenti nelle epoche passate, con tanto di descrizione morfologica e funzionale: è il caso, ad esempio, di antichi manuali di caccia. Inoltre, esiste una ricca iconografia che ci consente di conoscere i cani del passato, come avviene per i levrieri rappresentati nei mosaici di Piazza Armerina, in Sicilia. I reperti sono invece pochi, perché i cani non venivano tumulati. I pochi che abbiamo appartengono a cani che risalgono a 12-15.000 anni fa, e riportano alla morfologia di cani primitivi.

Lo studio di queste fonti ci consente di stabilire come la selezione delle razze fosse già presente durante il regno egizio. A differenza di quanto avvenuto in tempi più recenti, però, la selezione del passato presentava una netta convergenza morfo-funzionale. In altre parole, le caratteristiche morfologiche e fisiologiche ricercate erano quelle che meglio si sposavano al lavoro da compiere. Poi, nella metà dell’Ottocento, abbiamo iniziato a stilare degli standard di razza, dando a quest’ultima nome e caratteristiche precise; la deriva puramente estetica, sganciata dalla funzionalità – e che anzi porta in alcuni casi a una morfologia non funzionale -, è dell’ultima cinquantina di anni.

A questo proposito, conoscere la storia di una razza è senza dubbio un valido aiuto per orientare le nostre scelte, perché ci dice molto delle caratteristiche che gli allevatori ricercavano e hanno dunque selezionato. Ma, in fondo, quanto peso ha l’appartenenza a una razza rispetto alla personalità del singolo individuo? Quali considerazioni si possono fare per l’una e l’altra, a beneficio di un aspirante adottante?

La personalità ha senz’altro un grosso peso. Ogni cucciolo ha la propria, che non è identica a quella dei genitori né a quella di un corrispettivo di razza. Allo stesso tempo, non possiamo ignorare l’eredità trasmessa dai genitori, dai nonni e dagli antenati di quello stesso cucciolo, nel quale alcune caratteristiche saranno più facilmente esprimibili rispetto ad altre razze.

La conoscenza delle razze (e, perché no, anche la razza maggiormente presente in un incrocio) dal punto di vista comportamentale dovrebbe essere un bagaglio di tutti coloro che hanno a che fare con i cani, sia per chi ci lavora sia per una famiglia che sceglie di condividere la vita con questa specie. Consente infatti di essere preparati ad alcune caratteristiche – e motivazioni – tipiche. Dopodiché, il percorso con il cane sarà comunque una grande avventura, perché ci permette di scoprire nel tempo proprio quel determinato individuo, che potrebbe anche discostarsi in grande o piccola parte dalle caratteristiche tipiche di razza.

Ecco perché nel momento in cui scegliamo di accogliere un cane vale senza alcun dubbio il consiglio di conoscere il singolo cane, oltre che la razza. Rimanendo però consci del fatto che stiamo adottando un individuo con una serie di caratteristiche che derivano anche da un lavoro sulla sua genealogia; caratteristiche che non possiamo pensare di plasmare a nostro piacimento, ma che dobbiamo capire, accogliere e orientare.

In quest’ottica, io consiglio sempre di prendere in considerazione l’adozione di un cane adulto, nel quale la personalità è meglio delineata, soprattutto se si ha la possibilità di frequentarlo un po’ prima dell’adozione.

Da comportamentalista, quali sono i problemi che le vengono riportati più di frequente? Quanti sono legati a motivazioni frustrate?

Molti. E, per usare una frase abusata, sono il prodotto della società, nel senso che ormai di solito chi adotta un cane vive in ambiente urbano e ha relativamente poco tempo da dedicargli. Le motivazioni ci raccontano com’è il cane in ambiente naturale, se fosse libero di scegliere; in città, la loro frustrazione è molto frequente, perché ne impediamo la libera espressione. Ad esempio, una delle motivazioni più frustrate nei cani che riscontro nei cani che tratto è quella affiliativa, che li porta a cercare un proprio nucleo sociale: i pet di casa non hanno la famiglia con sé per tutta la giornata, e a volte se ne devono separare anche in età precocissime, quando sono cuccioli di un paio di mesi, una cosa che non è consona alle loro caratteristiche. È anche molto impedita la motivazione predatoria, fino ad arrivare alla forte frustrazione della motivazione possessiva e competitiva, spesso travisata in un comportamento aggressivo.

Conoscere le motivazioni e sapere che queste sono un patrimonio del soggetto che abbiamo deciso di accogliere significa anche rispettarle e non cercare di annullarle, cosa che sarebbe comunque impossibile.

Sappiamo che molte razze patiscono il peso del maltrattamento genetico e/o delle mode, che portano a boom di acquisti seguiti da proporzionali abbandoni. Lei stessa, nel libro, ricorda che i canili italiani sono pieni, e ai meticci dedica un capitolo finale. Allora, perché un libro proprio sulle razze? È un modo per incentivare le adozioni consapevoli?

È stato un motivo di forte dibattito interno… e di un sereno accordo con l’editore. Quello che io non volevo era che il libro fosse una sponsorizzazione delle razze, anche perché io ho un’attitudine completamente diversa. Ecco, è un libro sulle razze perché i cani che troviamo nei canili italiani sono spesso ancora strettamente legati a incroci di razza (la situazione è diversa in altri contesti, dove i meticci hanno più le caratteristiche dei cani primordiali). E riuscire a comprendere le caratteristiche delle razze aiuta poi a capire anche quelle degli incroci. Inoltre, ormai abbiamo anche molti rescue che si occupano specificatamente di cani di razza, abbandonati da padroni che non si erano resi conto di cosa comportasse la loro adozione.

I cani sono tutti uguali di fronte alla legge del diritto: un rottweiler ha diritto di essere conosciuto e capito con la stessa dedizione di un barbone nano, di un meticcio o di qualsiasi altro cane.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.