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No, cani e gatti non possono trasmetterci il coronavirus

COVID-2019 e animali domestici: facciamo chiarezza insieme al virologo Giovanni Maga e al veterinario Jesús Catalán Pradas.

Dalla corsa allo scaffale dei disinfettanti a chi ha confuso il coronavirus con la birra. Dalla follia delle mascherine vendute a prezzi esorbitanti fino alla psicosi cinese contro cani e gatti, che sono stati uccisi per strada nel timore che potessero essere fonti di contagio. Pare che il coronavirus abbia fatto impazzire tutti. “Posso contrarre l’infezione dal mio animale da compagnia?”, chiede qualcuno nelle faq del Ministero della Salute. “No – risponde chiaramente il Ministero – non vi è alcuna evidenza scientifica che gli animali da compagnia, quali cani e gatti, abbiano contratto l’infezione o possano trasmetterla”.

La stessa versione si legge sulla pagina dei Myth Busters dell’Organizzazione mondiale della Sanità. I coronavirus che possono infettare gli animali domestici non hanno nulla anche vedere con il coronavirus SARS-CoV2, i nostri animali non ne sono “portatori sani” e non c’è alcun motivo per credere che possano infettarci, né che noi possiamo infettare loro.

Eppure i dubbi non sembrano scomparire. Non è ancora stata fatta abbastanza chiarezza? Allora ci proviamo noi con due interviste: Giovanni Maga – direttore della Enzymology & Molecular Virology Unit dell’Istituto di Genetica Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche – e Jesús Catalán Pradas – veterinario e direttore sanitario del Gattile di Trieste.


Giovanni Maga – virologo

Il Ministero della Salute conferma che possiamo stare tranquilli, cani e gatti non possono trasmetterci il coronavirus. Ci spiega perché?

I virus sono parassiti molto specifici. I coronavirus che infettano cani e gatti non sono adattati a infettare l’uomo, per cui non rappresentano un pericolo per noi. Allo stesso modo i coronavirus umani non possono infettare cani e gatti e questo vale anche per SARS-CoV2.

Ci viene invece detto di tenerci a distanza dagli animali selvatici. Perché questa distinzione? 

I coronavirus sono molto diffusi in natura e sono molto diversi tra di loro. Mentre quelli che circolano tra i nostri amici cani e gatti non si trasmettono, è possibile che altri coronavirus che non hanno mai incontrato l’uomo per un evento casuale possano adattarsi facilmente alla nostra specie. È un evento raro, ma possibile. Per questo la stretta convivenza tra uomo e animali selvatici può aumentare il rischio di passaggio di un nuovo coronavirus alla nostra specie.

È possibile che il virus SARS-CoV2 muti e diventi pericoloso anche per i domestici? 

Non ci sono evidenze che SARS-CoV2 stia cambiando, per cui non si considera che esista il rischio di passaggio dall’uomo all’animale domestico.


Jesús Catalán Pradas – veterinario

Il virus SARS-CoV2 non è pericoloso per i nostri animali domestici, ma altri tipi di coronavirus colpiscono anche loro. Cosa sappiamo rispetto ai cani?

C’è un tipo di coronavirus che colpisce anche i cani e dà una sintomatologia abbastanza simile alla parvovirosi, ma meno grave. Spesso causa vomito e diarrea, anche emorragica, che nei cani adulti si risolve autonomamente in pochi giorni, mentre può essere un po’ più rischiosa nei cuccioli. Ma si tratta di una patologia secondaria per gravità rispetto alle più pericolose, come il cimurro o la parvovirosi. Tant’è che, pur esistendo un vaccino per questa patologia, non è tra i raccomandati dalle società veterinarie internazionali ed è quindi utilizzato, in genere, solo nei grandi allevamenti.

Il virus felino ha due varianti: il coronavirus enterico felino (FECV), che colpisce il tratto digestivo, e il coronavirus della peritonite infettiva felina (FIPV), responsabile di una patologia ad altissima mortalità. Il coronavirus enterico è comune nei gatti?

Tra il 20 e il 40% dei gatti di casa è positivo a un coronavirus enterico. Nei gatti di strada, di colonia o di gattile la percentuale sale addirittura all’80 o 100%. Si diffonde molto facilmente per via oro-fecale, ma si tratta di un virus che causa delle forme diarroiche, in genere, piuttosto banali.

Il virus responsabile delle due forme di peritonite infettiva felina (umida e secca), è ben più grave. La forma umida è la più fulminante: i soggetti colpiti presentano alcuni sintomi comuni alla forma secca, come febbre e perdita di appetito, e altri specifici, come la formazione di liquidi ricchi di proteine delle cavità pleurica o peritoneale. La malattia insorge rapidamente e ha un decorso clinico brevissimo. Dall’inizio della malattia si stima una sopravvivenza di sole 5-7 settimane. Nella forma secca, altrettanto grave, si osservano sintomi che coinvolgono il sistema nervoso centrale – depressione, paresi posteriore, atassia – e oculare – uveite anteriore, ipopion, edema corneale -.

Come viene diagnosticata la FIP?

Purtroppo non esiste un test diagnostico specifico per la FIP. Quando il veterinario fa il test del sangue è in grado di dire che un gatto è positivo al coronavirus, ma non può sapere se si tratta di questo o del comunissimo coronavirus enterico. La diagnosi si fa sulla base dei sintomi o accompagnando il primo test con una lunga serie di analisi che, sommate alla sintomatologia, e correttamente interpretate, ci dicono in quale situazione ci troviamo.

In nessun caso la FIP è curabile?

Non ci sono antivirali considerati utili ai fini della terapia e non esiste un vero vaccino per la peritonite felina. Purtroppo la mortalità è quasi totale e la malattia è incurabile.

C’è chi parla di due virus, chi di una mutazione…

Sì, un tempo si era ipotizzato che potessero essere due virus diversi, poi uno solo, responsabile sia della FIP che delle semplici forme enteriche. E cioè che la forma enterica del virus mutasse al di fuori dell’organismo, in qualche caso, e in seguito il virus mutato infettasse alcuni gatti, causando la FIP. Negli ultimi studi, in particolare nello studio di Chang e altri del 2012, è risultato ben più probabile che si tratti di un unico virus che, all’interno dell’organismo di alcuni gatti, subisce una o più mutazioni che lo rendono estremamente virulento.

Il gatto muore, purtroppo, ma il virus perde la capacità di replicarsi a livello intestinale. In sostanza il virus mutato diventa mortale, ma si estingue e non può più trasmettersi per via oro-fecale. Così il contagio diventa rarissimo: per questo in luoghi come il gattile ci sono solo casi isolati di peritonite infettiva. Se non fosse così, avremo i gattili pieni di gatti ammalati di FIP e mortalità altissima”.

Qual è la connessione tra questi coronavirus e il SARS-CoV2?

Nessuna. Sono virus di cui sappiamo da moltissimo tempo, non sono affatto una novità e non si trasmettono all’essere umano.


Leggi anche: Peritonite infettiva felina, FIP: le cose da sapere

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

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Sara Stulle
Libera professionista dal 2000, sono scrittrice, copywriter, esperta di scrittura per i social media, content manager e giornalista. Seriamente. Progettista grafica, meno seriamente, e progettista di allestimenti per esposizioni, solo se un po' sopra le righe. Scrivo sempre. Scrivo di tutto. Amo la scrittura di mente aperta. Pratico il refuso come stile di vita (ma solo nel tempo libero). Oggi, insieme a mio marito, gestisco Sblab, il nostro strambo studio di comunicazione, progettazione architettonica e visual design. Vivo felicemente con Beppe, otto gatti, due cani, quattro tartarughe, due conigli e la gallina Moira.