DOMESTICIRUBRICHE

Quando il gatto diventa anziano

Invecchiare non è facile neanche per i gatti. L'attenzione dei proprietari è fondamentale per evidenziare alterazioni fisiche o del comportamento che potrebbero essere il segnale di diverse patologie.

Abbiamo parlato, qualche tempo fa, dell’invecchiamento nei cani. Cosa dire invece dei gatti? Quali sono i problemi più comuni dei gatti anziani, e come possiamo assicurare loro il massimo benessere possibile anche in tarda età? E prima ancora, quando possiamo dire che un gatto è anziano?

Età feline

Vale la pena ricordare, quando si parla d’invecchiamento, che si tratta di un processo complesso e nel quale (come abbiamo ricordato per il cane, ma è vero anche per la nostra specie) i limiti che possiamo definire per stabilire quando l’individuo è anziano sono molto arbitrari. «In generale, possiamo dire che l’aspettativa di vita dei gatti, così come quella dei cani, si è molto allungata rispetto al passato grazie alle cure veterinarie, diete più attente e una vita al sicuro tra le mura domestiche», spiega a OggiScienza Francesca Cozzi, specialista in neurologia veterinaria. «Ci sono casi eccezionali d’individui che superano i vent’anni di età, ma cominciamo a considerare un gatto anziano intorno ai dieci anni. E, anche nel gatto come nel cane, si possono osservare differenze legate alla razza: le razze orientali, come i siamesi, sembrano essere un po’ più longeve».

Uno studio pubblicato sul Journal of Feline Medicine and Surgery del 2016 considera, sulla base dei dati epidemiologici, i gatti come “maturi” tra i 7 e i 10 anni di vita; “senior” fra gli 11 e i 14 e di età geriatrica oltre ai 15. Genetica e ambiente fanno però sì che ogni gatto debba essere valutato individualmente per capire se mostra segni di senescenza. «Anche se, a differenza di quanto avviene nel cane, il mantello dei gatti non s’imbianca, possiamo riconoscere alcune altre caratteristiche che indicano la senescenza felina.

Tra queste, la perdita di udito e l’occhio appannato; il mantello appare di solito più trascurato nel gatto anziano rispetto a quello giovane, e i movimenti spesso sono rallentati e più insicuri. Un altro cambiamento che si può osservare nei gatti anziani è la difficoltà a ritirare le unghie, probabilmente correlato alla ridotta motilità tendinea e delle falangi, mentre le unghie stesse si fanno più sottili», spiega Cozzi. Il gatto può dimagrire, sia a causa della perdita di massa muscolare sia per la perdita di appetito, che può avvenire anche a causa di una parziale perdita dell’olfatto.

Ma l’aspetto da tenere in considerazione è che i diversi segnali tipici dell’invecchiamento felino possono nascondere diverse patologie. «È per questa ragione che si consiglia d’intensificare i controlli di routine quando il gatto ha superato i 10-12 anni d’età», spiega ancora la veterinaria.

Occhio ai sintomi

Per individuare eventuali malattie nel gatto anziano, la responsabilità dei proprietari è fondamentale. Non solo nel portarli alle visite veterinarie, ma anche nell’osservare con particolare attenzione cambiamenti di abitudini o di personalità che possono indicare non il “semplice invecchiamento”, ma qualche malattia legata alla senescenza. «In generale, rispetto al cane il gatto “nasconde” molto meglio le sue malattie, anche al veterinario. Per questo il grado d’attenzione del proprietario è così importante: lo vede bere molto di più, o mangiare molto di meno? Tende ad appartarsi e non si fa più toccare? Sono osservazioni che ci possono aiutare nella diagnosi dei disturbi più comuni del gatto anziano», commenta Cozzi.

Tra le malattie più diffuse vi sono, ad esempio, il diabete, l’ipertiroidismo e l’insufficienza renale, nonché i disturbi al cavo orale. Un aumento della sete e dell’urinazione rappresenta un campanello di allarme per il diabete, e se il calo di appetito può essere fisiologico oltre una certa età, può essere anche il segnale di svariati problemi, primi tra i quali quelli del cavo orale (l’accumulo di tartaro e l’infiammazione delle gengive che, se non trattati, possono provocare ascessi e perdita dei denti), comuni nei gatti anziani e che possono causare molto dolore, oppure d’insufficienza renale. Mentre un aumento di appetito unito al dimagrimento può far sospettare l’ipertiroidismo.

D’altra parte, una diminuita attività fisica e o il fastidio a essere manipolato e coccolato possono rappresentare un sintomo dell’artrosi un altro disturbo molto comune. E che, pur essendo molto dolorosa, può passare inosservata ai proprietari. «Uno dei problemi nel riconoscere l’artrosi nei gatti è che diamo per scontato abbia gli stessi sintomi che negli altri animali», ha spiegato David Bennett, veterinario dell’Università di Glasgow. «Sappiamo che i gatti con l’ artrosi di solito non zoppicano come fa un cane o un cavallo (…) È anche inusuale che vocalizzino per esprimere il dolore, ma ciò non significa che soffrano di artrosi meno del cane e di altri animali». Anzi, uno studio di alcuni anni fa, nel quale erano state prese le radiografie di 100 gatti sopra i sei anni di età mostrava che il 61 per cento di loro aveva segni di artrosi.

Malattie neurologiche

L’invecchiamento può anche portare a diverse malattie neurologiche, per le quali l’attenta osservazione del comportamento è particolarmente importante. «Molti sospetti diagnostici possono venire proprio dai resoconti dei proprietari, che a volte magari raccontano di cambiamenti comportamentali del gatto come semplici aneddoti, senza rendersi conto del significato che possono avere», spiega Cozzi. «Ad esempio, iniziano a trovare il gatto confuso in un angolo della casa, oppure riportano di come sia diventato improvvisamente affettuoso pur essendo sempre stato schivo. Molti arrivano in clinica perché il gatto ha iniziato a vocalizzare in modo eccessivo durante la notte».

Tra i disturbi che possono portare a cambiamenti di comportamento vi sono i meningiomi cerebrali, che rappresentano oltre la metà dei tumori del sistema nervoso centrale nei gatti, in particolare sopra i dieci anni d’età. Inoltre, anche nei gatti come nei cani esiste la sindrome da disfunzione cognitiva, comparabile alla sindrome di Alzheimer nella nostra specie. Purtroppo, nel gatto la sindrome non è studiata quanto in altre specie, per cui molto della sua eziopatologia è ancora ignoto. Una review del 2014, comunque, riporta che anche nel gatto anziano si possono osservare i depositi di beta-amiloide (segni caratteristici dell’Alzheimer nell’essere umano e della disfunzione cognitiva canina), sebbene non sia stata confermata l’associazione tra la deposizione di beta-amiloide e i danni a livello cognitivo. Lo stesso dicasi per gli ammassi neurofibrillari di proteina tau, anch’essi riscontrabili nei gatti anziani ma la cui associazione con la disfunzione cognitiva non è certa.

Infine, i gatti possono essere soggetti a encefalopatie dovute a problemi ipertensivi o fenomeni trombotici legati alla senescenza.

Pazienti geriatrici

Molti dei disturbi legati all’età possono essere trattati, se non in maniera risolutiva almeno per assicurare loro la miglior qualità di vita possibile. Questo vale sia per le malattie che possono spaventare di più un proprietario sia per i disturbi apparentemente meno gravi, ma che impattano in modo molto negativo la vita del gatto. «Se l’animale è in buone condizioni generali, anche gli interventi chirurgici possono essere affrontati con una certa sicurezza. Ad esempio, vale la pena affrontare anche il rischio legato all’anestesia per pulire i denti e rimuovere eventuali ascessi, se ciò consente al nostro pet di vivere meglio e nutrirsi regolarmente», spiega Cozzi. «Anche gli interventi di neurochirurgia per la rimozione di un tumore cerebrale possono essere affrontati e portare un beneficio, perché sono una terapia risolutiva che può portare a un allungamento della vita e un aumento del benessere del gatto. Certo, le visite veterinarie e gli interventi sono una fonte di stress, ma possono permettere una diagnosi precoce di disturbi che presentano ancora pochi sintomi e migliorare, spesso sensibilmente, la qualità della vita».

C’è però da dire una cosa sui gatti: non sono pazienti facili. Meno proni alla collaborazione con la nostra specie, non è scontato che collaborino per il trattamento. Anche solo il cambio di alimentazione può essere un problema serio, perché i gatti tendono a essere più cauti rispetto ai cani di fronte a un nuovo alimento, tanto più se questo è meno appetibile rispetto a ciò che mangia di solito. «Il cambio di dieta che può essere necessario per un gatto anziano (ad esempio, cibi specifici per l’insufficienza renale, o il passaggio dai croccantini alle scatolette per quelli che soffrono di problemi ai denti) e le terapie croniche possono diventare un problema molto serio per i proprietari», spiega la veterinaria. «Infatti le aziende produttrici stanno cercando di migliorare l’appetibilità dei cibi specifici, mentre alcune farmacie preparano prodotti galenici transdermici, che devono solo essere massaggiati sulle orecchie, o capsule aromatizzate, paste e gelatine il più invitanti possibile. Ma in generale, la gestione del trattamento di un gatto malato può essere davvero difficile; negli anziani, si può dire che è come avere a che fare con un nonnino arrabbiato che ti agita contro il bastone ogni volta che ti avvicini!».

Mai dire “È solo invecchiato”

Nonostante le difficoltà, spiega la veterinaria, vale sempre la pena far visitare e curare un gatto anziano. «Molti proprietari, quando il gatto è invecchiato, evitano di sottoporlo a visite ed esami, cercando di evitargli stress. Ma bisogna superare l’idea di “lasciare in pace il gatto anziano”». Se è vero che controlli, cure e cambiamenti della routine possono stressare il nostro animale, è anche vero che possono consentirgli una miglior qualità della vita, evitandogli sofferenze che possono essere risolte con un trattamento adeguato. Intanto, a volte bastano piccoli accorgimenti per semplificargli la vita, come fare il modo da rendere la lettiera più agibile.

«Limitarsi a pensare che i cambiamenti fisici e comportamentali che si osservano siano semplicemente dovuti all’età non può essere di giovamento, e impedisce la diagnosi di malattie che potrebbero essere trattate. E anche se si dovesse riscontrare una patologia grave, conoscerla e sapere che il proprio gatto ne è affetto consente al proprietario di prendere le misure su ciò che può e ciò che non si può fare per garantirgli il benessere finché è possibile», conclude la veterinaria.


Leggi anche: Etologia base del gatto, ossia perché il gatto non è un cane

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.