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LIFE Claw e la lotta per salvare il gambero di fiume

È il primo progetto europeo per salvare il gambero di fiume in Emilia-Romagna e Liguria. Tra le minacce i gamberi esotici e gli allevamenti di trote.

Partito il primo progetto italiano per salvare il Gambero di fiume (Austropotamobius pallipes) nell’Appennino nord-occidentale, nelle regioni di Emilia-Romagna e Liguria. Si tratta di un crostaceo sui 90 grammi e i 12 cm non molto conosciuto dalla gente, d’altronde il piccolo principe dei torrenti è diventato negli anni sempre più raro. Il progetto si chiama LIFE Claw durerà cinque anni ed è cofinanziato dall’Unione europea.

“È un progetto molto ambizioso – spiega a OggiScienza Willy Reggioni, Responsabile generale del progetto – per questo sono coinvolti dieci partner scientifici e non, ognuno dei quali porta le sue specificità. Ci sono il Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano e il Parco regionale naturale dell’Antola e l’Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Emilia occidentale che mettono in gioco il loro territorio; l’Università Cattolica del sacro cuore e l’Università degli studi di Pavia che forniscono competenze scientifiche su monitoraggio, allevamento, genetica e modellistica; il Consorzio di bonifica di Piacenza che gestisce un’importante rete di canali; l’Acquario di Genova-Costa Edutainment che darà una mano per la divulgazione; i Comuni di Fontanigorda e Ottone, attori principali per l’allevamento e infine l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, esperto di patologie”.

A un passo dall’estinzione

“Il Gambero di fiume A. pallipes è la specie originaria dei fiumi e dei torrenti d’Europa ma il suo areale storico negli ultimi anni ha subito un forte declino, in particolare, in Italia il calo è stimato del 74% negli ultimi 10 anni. Dalle Alpi all’Aspromonte, le minacce sono sempre le stesse, principalmente due: la competizione di gamberi esotici e, neanche a dirlo, l’uomo, con il suo inquinamento, le sue attività alieutiche, la distruzione delle aree ripariali e la captazione delle acque”, spiega Reggioni.

Oggi il gambero autoctono sopravvive nelle zone sorgive e in piccoli corsi d’acqua sempre più lontani dalla valle, dove i gamberi alloctoni e la mano dell’uomo non sono ancora arrivati. Obiettivo del progetto è invertire questa tendenza.

Nel 2008 era già stato messo in campo il progetto LIFE CRAINat per la tutela del Gambero di fiume in Lombardia, Abruzzo e Molise, ma questa volta, oltre ad interessare una diversa area geografica, il progetto porta con sé due importanti novità. La prima riguarda il voler definire delle “buone pratiche” – come azioni di monitoraggio, allevamento o migliorie di habitat – che possano essere replicate in altre aree simili. La seconda è che non si tratta di un progetto soltanto tecnico-scientifico bensì culturale: perché gli sforzi di conservazione della specie siano efficaci, è necessario che si crei una cultura di rispetto attorno al crostaceo, coinvolgendo tutti gli stakeholder dei fiumi (pescatori, turisti, gestori di servizi idrici…).

Allarme peste dei gamberi

A minacciare la sopravvivenza del gambero autoctono ci sono loro, i gamberi d’oltreoceano. “Ad oggi contiamo tre specie invasive: il Gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii), il Gambero americano (Orconectes limosus) e il Gambero della California, Pacifastacus leniusculus”.

Per le prime due specie l’arrivo è antico, le segnalazioni risultano da più di venti anni; sono giunti in Europa per scopi commerciali, per allevamenti destinati al consumo alimentare e, come succede per quasi tutte le specie aliene, quando accidentalmente si trovano libere in un ecosistema che non è il loro, competono per le risorse con le specie autoctone, vincendo.

“Nello specifico i gamberi alloctoni sono più grandi, più resistenti in acque inquinate, più prolifici e sono portatori della peste dei gamberi. Una malattia dovuta al fungo Aphanomyces astaci: i gamberi tropicali la veicolano in A. pallipes rimanendo immuni in quanto portatori sani, essendosi coevoluti in migliaia di anni con tale agente patogeno”.

Questa muffa d’acqua, attraverso le sue zoospore, che si propagano nell’acqua e che restano attive fino a 3 giorni, attacca l’addome e le articolazioni dei crostacei. La morte per i gamberi avviene entro 6-10 giorni, si capovolgono sul dorso, paralizzati, come conseguenza di una neurotossina.

Quando è appena infettato, il gambero mostra un comportamento strano: è apatico, esce dalla tana in pieno giorno, tiene gli arti in estensione, si muove perdendo l’equilibrio e non tenta di fuggire alla cattura. Se l’infezione si prolunga si formano delle ulcere melanotiche, ossia delle aree brunastre, giallastre o grigiastre sulla cuticola addominale o alla base degli arti.

Servono adeguati accorgimenti con le attrezzatura da pesca e con le calzature per evitare di diffondere la peste. Bastano piccole quantità di acqua per trasferire sufficienti zoospore ed infettare un nuovo corso idrico.

Ma oltre a essere un pericolo per il gambero autoctono e per gli ecosistemi acquatici, le tre specie invasive sono anche dannose per la sicurezza dei cittadini: da una parte fanno fori che rendono instabili gli argini, dall’altra ostruiscono griglie di canali e paratoie.

Che cosa si può fare per eliminare i gamberi tropicali? Per quanto riguarda il Gambero della Louisiana e il Gambero americano la situazione è ormai sfuggita di mano. “È difficile parlare per loro di un intervento di eradicazione. Si sono diffusi ovunque, sono agili e capaci di uscire fuori dall’acqua arginando gli ostacoli. Tuttavia si possono attuare dei piani di cattura per contenere l’espansione”.

Inoltre, a causa del riscaldamento globale il Gambero della Lousiana che fino ad ora non superava i 500 metri di altitudine, rischia di espandersi ulteriormente. A frenarlo c’era il fatto che la specie non sopporta i periodi prolungati di freddo.

Situazione ben diversa per il Gambero della California, Pacifastacus leniusculus. Segnalato ad oggi soltanto in due zone della Liguria, nel bacino dell’alto Trebbia (Lago del Brugneto) e ai margini del sito “Rocca dell’Adelasia”. Essendo arrivato da qualche anno, si presume una bassa espansione, che fa ancora sperare nell’efficacia di un piano di eradicazione.

Vasche di allevamento 

Il primo anno di LIFE Claw, il 2020, sarà un lungo periodo di indagini. Sarà prodotta una mappa delle acque interne all’area di progetto che evidenzi i corsi in cui il gambero è presente e quelli più idonei per garantirne la sopravvivenza nel medio-lungo periodo dopo gli interventi di miglioramento dell’habitat. Poi si passerà ad analisi genetiche per stabilire quali popolazioni presentano una maggiore variabilità genetica, valutando, ovviamente, anche quelle che siano negative al patogeno.

Il secondo passo, nel 2021, sarà prelevare da quelle popolazioni individuate dei gamberi riproduttori per avviare l’allevamento ex-situ.

Sono quattro le strutture coinvolte. Si tratta dei comuni di Ottone, Fontanigorda, Corniglio e Monchio delle Corti che già possiedono gli impianti per l’allevamento di salmonidi.

“Sarà quindi necessario effettuare dei lavori di adeguamento delle vasche per le esigenze dei crostacei e se tutto andrà per il meglio nel 2022 rilasceremo i primi gamberi allevati”.

Gli allevamenti saranno presidiati da guardie ecologiche volontarie e da operatori delle associazioni ittiche. “Questo fa parte proprio della missione culturale: coinvolgere gli allevatori di trote, fare sinergia con loro, è necessario per stipulare un patto di gestione per la tutela del gambero, infatti, tra i pericoli per A. pallipes ci sono anche gli eccessivi rilasci di salmonidi che divorano le sue larve e gli individui giovani. Serve quindi individuare assieme a loro tratti di fiume sicuri, liberi da reintroduzioni artificiali di salmonidi”.

Divulgare e rinaturalizzare

In contemporanea alla fase di allevamento, il progetto si prefigge di migliorare gli habitat del territorio: “Sono in programma diversi interventi di rinaturalizzazione dei corsi d’acqua.

Innanzitutto, aumentare gli anfratti che costituiscono le zone di rifugio per il gambero dai predatori e ricreare le aree idonee per la riproduzione. Poi, si devono ridefinire le sponde troppo spesso danneggiate sia da attività agricole sia da interventi di manutenzione del verde, infatti, i corsi d’acqua vengono spesso sottoposti a semplificazioni lineari del loro tracciato che poco hanno a vedere con la struttura naturale; infine, potrebbe essere necessario intervenire nelle zone di montagna per sistemare le aree che sono state soggette a smottamenti ed erosioni”.

Una parte significativa del progetto è dedicata alla divulgazione e proprio all’Acquario di Genova sarà realizzata una sezione espositiva per raccontare al pubblico l’importanza della tutela del gambero di fiume.

“Il Gambero di fiume è una specie bandiera, cioè sfruttando l’empatia che esso suscita nella gente, con la sua protezione si può ottenere indirettamente la tutela anche di tutti quegli organismi coi quali condivide l’habitat e che non otterrebbero la stessa attenzione da parte dell’opinione pubblica”.

“Tutte le specie hanno un ruolo importante nell’ecosistema – conclude Reggioni – il Gambero di fiume, in particolare, è un bioindicatore, la sua presenza è un segnale di salute generale e dell’habitat: indica sia una buona qualità dell’acqua sia un alto tasso di biodiversità”.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Foto: Gabriele Vallarino

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Gabriele Vallarino
Giornalista e laureato in Biologia (Biodiversità ed Evoluzione biologica) all'Università di Milano. Su OggiScienza ha modo di unire le sue due grandi passioni: scrivere per trasmettere la bellezza della natura!