VITE PAZIENTI

La sindrome dell’X-fragile, fra diritti e difficoltà

Il problema del riconoscimento della Legge 104 comma 3, il sostegno scolastico, l'offerta pomeridiana che scarseggia. La storia di Giulia e dei suoi due bambini.

Giulia e la sua famiglia non si accorgono subito che i loro bambini, Luca e Giovanni, che oggi hanno 9 e 7 anni, hanno una sindrome rara, ma che poi tanto rara non è: la sindrome dell’X-fragile. Non possono accorgersene finché per caso, a due anni, Giovanni finisce ricoverato per una brutta broncopolmonite e, a seguito dei racconti della mamma sulla sua iperattività, i medici pensano di eseguire degli accertamenti genetici.

La sindrome dell’X fragile non sempre si riconosce: pensi che se tuo figlio non ha ancora iniziato a parlare sarà per ben altre ragioni, capita a così tanti, e che una dismorfia facciale come fronte e mandibola prominente, orecchie larghe e sporgenti, viso stretto e allungato, o testicoli più grandi e piedi piatti, siano semplicemente delle caratteristiche.

Così magari passano degli anni prima che ci si renda conto di dover fare degli accertamenti; generalmente il primo momento in cui ci si accorge che un bambino ha delle difficoltà rispetto agli altri è l’ingresso nella scuola, ma anche lì non si procede subito con un test genetico. La sindrome non è troppo conosciuta né dai pediatri né dagli insegnanti, così si comincia con una valutazione neuropsichiatrica.

La sindrome dell’X Fragile

Si tratta di una condizione genetica ereditaria, cioè si trasmette dai genitori ai figli, ed è causa di disabilità cognitiva, problemi di apprendimento e relazionali. Le stime parlano di circa un bambino su 4.000 e una bambina su 7.000, con sintomi che tendenzialmente si presentano in maniera più evidente nei maschi.

È causata dall’espansione di una ripetizione di nucleotidi all’interno del gene FMR1, posizionato proprio sul cromosoma X. La malattia è piena con più di 200 ripetizioni. Il gene FMR1, se funziona correttamente, produce la proteina FMRP, importante per processi neuronali, quali il trasporto dei messaggeri e la regolazione della traduzione nelle sinapsi. Nel caso di mutazione completa il gene FMR1 non è più in grado di produrre la proteina FMRP.

“Ogni bambino manifesta la sindrome in maniera diversa con disturbi che vanno da lievi a gravi”, mi spiega Giulia. “Per esempio Luca, il mio primo figlio, ha ereditato la sindrome ma in modo più lieve. È molto timido, pigro, anche a scuola, ma adesso con il teatro sta imparando ad aprirsi un po’ di più, ha qualche difficoltà a leggere e scrivere e con i calcoli. Giovanni invece è molto più difficile da gestire, perché è estremamente attivo, non ha concentrazione, si fatica a stargli dietro e non ci si può distrarre un attimo. Mette in atto dei ‘comportamenti problema’, come sbattere la testa sul muro quando è stanco o gli viene impedito di fare qualcosa, nascondere le cose nei posti più impensabili, dondolarsi con forza davanti al divano. Se non sto attenta per strada si butta senza guardare se arrivano auto, e a scuola è molto più difficile tenerlo concentrato, anche se notiamo un netto miglioramento alla scuola elementare rispetto alla materna, perché tendenzialmente le giornate sono più strutturate e la schematizzazione lo aiuta a gestire l’ansia.”

Tra sostegno a scuola, invalidità e burocrazia

Fra scuola e attività pomeridiane Luca e Giovanni sono pieni di stimoli, sono seguiti e supportati. Ma la fatica che Giulia e la sua famiglia hanno fatto e continuano a fare perché i diritti dei loro bimbi siano rispettati e affinché il sistema offra loro ciò che deve, sono enormi. Mentre mi racconta le vicissitudini per arrivare al riconoscimento dell’invalidità ex art.3 comma 3 della legge 104, poi per riuscire a far seguire Giovanni da un centro pubblico poi ancora per garantire una continuità nel sostegno a scuola, penso che ci vuole una forza incredibile. La stessa di altre mamme che mi hanno raccontato la loro storia per Vite Pazienti. “Ma quanto deve lottare un genitore” mi dice Giulia al termine della sua Odissea “per garantire ai figli un percorso terapeutico e per far riconoscere i loro diritti?”.

Andiamo con ordine. La sindrome dell’X-fragile è una malattia genetica senza cura. Non si guarisce, non possono cambiare le cose da un anno all’altro. Eppure, quando Giulia si reca per la prima volta in commissione, Luca e Giovanni hanno diritto al comma 1, con chiamata a visita dopo un paio di anni per essere rivisti dalla Commissione INPS. “È chiaro che può andare bene per una malattia curabile, ma non certo per i miei figli, oltre allo stress di sottoporre ogni due anni i bambini alla visita e alla verifica da parte della commissione”.

Anche grazie al supporto dell’Associazione Italiana Sindrome dell’X-fragile di cui è entrata subito a far parte, Giulia si rende conto che ai figli spetta l’art.3 comma 3 della Legge 104 e avvia le procedure per il ricorso che verrà poi accettato.


L’art. 3 – comma 3 della Legge 104 chiarisce anche quali sono tutte le agevolazioni lavorative per cui è indispensabile il riconoscimento di handicap in situazione di gravità, in presenza anche degli altri requisiti richiesti dalla legge, sono:
prolungamento del congedo parentale per la durata di tre anni fino all’8° anno di età del bambino per il genitore che assista il figlio portatore di handicap in condizioni di gravità; permessi lavorativi per il lavoratore portatore di handicap, per il genitore, coniuge o familiare che assista un portatore di handicap in condizioni di gravità; trasferimento di sede e/o scelta della sede di lavoro più vicina per il lavoratore disabile e per il genitore, coniuge o familiare che assista un portatore di handicap in condizioni di gravità; congedo straordinario retribuito di due anni fruibile dal lavoratore dipendente per assistere il familiare (coniuge, figlio, fratello e/o sorella, genitore, parente o affine entro il terzo grado) portatore di handicap in condizioni di gravità.


Sempre grazie al confronto con le altre famiglie socie dell’Associazione Italiana Sindrome X-Fragile, Giulia viene a conoscenza del diritto, per entrambi i figli, di fare richiesta di assistenza domiciliare presso il Comune; assistenza domiciliare che però ancora oggi, a distanza di quasi 5 anni dalla richiesta, non è stata mai erogata per mancanza di fondi e liste d’attesa lunghe anni.

“Riguardo all’assistenza domiciliare, nel mio municipio, mi è stato subito detto che i bambini sarebbero stati inseriti in lista d’attesa, dove si trovano ancora oggi, perché mi hanno detto subito che non c’erano fondi e che erano in grado al momento di soddisfare solo le richieste fino al 2010. Alla fine, quindi, dobbiamo organizzarci con operatori privati pagati direttamente da noi” mi racconta Giulia.

Aprire la strada per altri genitori

“Per quanto riguarda invece il percorso terapeutico la storia è più complessa: sia Luca che Giovanni sono stati chiamati dopo un anno e mezzo di attesa per 4 ore a settimana (2 ore di logoterapia e 2 ore di psicomotricità) durante l’orario scolastico in un centro convenzionato; per quanto riguarda Giovanni, però, dopo un anno di terapia, ci informano che la stessa sarebbe stata interrotta perché Giovanni aveva raggiunto (aveva allora 5 anni) alcuni obiettivi ed era un bambino troppo iperattivo che non si riusciva a gestire nelle piccole stanze a loro disposizione. Così ci consigliano di contattare un altro centro privato.

Amareggiati da tale comportamento contattiamo comunque il centro privato che ci informa che dovremo recarci da loro per il primo incontro, portare tutta la documentazione, ri-raccontare tutto il nostro vissuto, pagare il primo incontro e poi i successivi e avrebbero comunque dovuto valutare la possibilità di farli presso il nostro domicilio, cosa non di poco conto considerando che il centro era dalla parte opposta di Roma rispetto al nostro domicilio.

Premesso che Giovanni era già seguito privatamente da un’operatrice alcuni pomeriggi a settimana, e che avremmo dovuto sostenere la spesa anche di questo centro, la soluzione prospettata non mi è sembrata la migliore così ho scritto alla ASL di riferimento denunciando l’accaduto e chiedendo se era normale che un bambino piccolo fosse “buttato fuori” da un centro convenzionato liberando quindi il “pubblico” da questo impegno. La ASL finalmente ci contatta e riusciamo a prolungare per un paio di mesi la terapia nel centro convenzionato, a fare altri 4 mesi di terapia di gruppo presso la stessa Asl e, finalmente, trovano la possibilità di inserire Giovanni con un’altra associazione convenzionata che potrà erogare il servizio domiciliarmente.”

Tanti altri genitori non se la sentono, o non sanno come fare per far valere i propri diritti, dobbiamo lottare ma Giulia mi spiega che per lei non si tratta solo dei suoi figli, ma di aprire delle strade anche per altri. A scuola è lo stesso: Giulia manda lettere su lettere per far sì che i suoi bambini abbiano le ore di sostegno di cui hanno bisogno. “Fino a novembre non vengono fatte le assegnazioni, e quando vengono fatte sono per pochi mesi, tante volte non per tutto l’anno. E l’anno dopo devi ricominciare da capo con un’altra insegnante”.

Mi racconta la storia di un’altra mamma con un figlio alla scuola materna. Il bambino ha ancora il pannolino e non parlando è difficile per i genitori comunicare con lui. Qualche mese fa però grazie a un metodo di apprendimento per immagini il piccolo ha imparato ad avvisare quando necessitava del bagno, riuscendo a fare a meno del pannolino. “All’asilo non seguono questo metodo e hanno poco personale, per cui ogni volta che il bambino non riesce a comunicare questo suo bisogno alle maestre si sporca e non c’è personale che può lavarlo. Viene quindi chiamata sempre la mamma che, costretta ad assentarsi spesso senza preavviso dal lavoro precario, alla fine quel lavoro l’ha perso. Oggi la stiamo supportando per far rispettare il diritto di questo bambino”.

Dopo questi racconti difficili, che fanno salire quella rabbia speciale che emerge davanti a qualcosa che è scioccamente ingiusto, chiedo a Giulia come stanno lavorando, sempre come Associazione, per fare informazione su questa condizione. “La sindrome dell’X-fragile si rileva con l’amniocentesi estesa, ma noi stiamo più di tutto lavorando sulla consapevolezza da parte dei genitori di essere portatori. Si stima che lo sia una persona su 250, il che rende la malattia tutt’altro che rara, potenzialmente. Essere portatrice sana per una donna significa essere a rischio di condizioni come menopausa precoce e tremore, quindi anche per noi è importante sapere come stanno le cose”.

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.