ANIMALI

Formiche e chirurgia: come utilizzarle per ricucire una ferita

Alcune popolazioni indigene hanno ideato una tecnica del tutto insolita per ricucire le ferite, utilizzando le potenti mandibole di alcune specie di formiche legionarie.

Spesso diamo per scontato che molti dei materiali e delle tecniche chirurgiche che vengono utilizzati oggi esistano da sempre. Il filo per la sutura delle ferite ne è un esempio. Visceri di animali, tendini di canguro, fili d’oro o seta. Sono tanti i materiali che hanno preceduto gli odierni “fili sintetici”, flessibili ed elastici, facili da maneggiare e ben tollerati dal nostro corpo.

Immaginiamo però di trovarci immersi nella giungla, dove reperire questi materiali risulterebbe impossibile. Come fare? Nel passato, alcune popolazioni indigene hanno ideato una tecnica del tutto particolare, divenuta famosa grazie a una scena del film Apocalypto di Mel Gibson, ambientata in un villaggio Maya in Messico. L’idea è quella di utilizzare il morso di alcune specie di formiche, in grado di stringere con le loro mandibole i due lembi di pelle separati e ricucire così le ferite.

Ma come funziona questa procedura? Viene ancora utilizzata e quali sono i rischi che può portare? 

Le incredibili mandibole delle formiche

Le formiche sono insetti straordinari, e non solo per la loro capacità di organizzarsi in società assai complesse. Se osservassimo questi animali con attenzione, noteremmo sicuramente due grandi mandibole sul capo, che non si muovono in su e in giù come le nostre ma a destra e a sinistra come una tenaglia.

In ogni colonia, oltre alle formiche operaie e alla regina, è sempre presente anche una casta di formiche-soldato. Sono loro a difendere il formicaio con le loro potenti mascelle.
Prima di attaccare, l’animale apre le sue mandibole al massimo della larghezza e, grazie a un meccanismo interno, si blocca in questa posizione. La tensione e l’energia accumulata viene poi rilasciata in maniera esplosiva non appena la formica percepisce sulla parte interna delle mandibole un qualunque stimolo sensoriale.

Il morso può essere molto doloroso e la rimozione delle mandibole di alcune specie di formiche –  in particolare quelle della famiglia Dorylus di origine africana e della famiglia Eciton dell’america centro-meridionale –  è altrettanto difficile.
Così difficile da aver spinto alcune popolazioni indigene a utilizzare i morsi di questi insetti come suture naturali per ricucire le ferite.

La procedura

La tecnica prevede di avvicinare gli insetti alla ferita e indurli a mordere i bordi della lesione. Le mandibole delle formiche della famiglia Dorylus e Eciton sono così potenti che riescono a penetrare in profondità nella carne e attirare vicini i due lembi di pelle, proprio come farebbe un semplice punto di sutura.

Successivamente il corpo viene staccato dalla testa, lasciata in posizione sulla ferita per diversi giorni finché la pelle non si rimargina.

“Possiamo dire con certezza che, in passato, la pratica veniva adoperata dalle popolazioni indigene per i casi di emergenza di ferite traumatiche o inflitte durante gli scontri. Ma naturalmente questa procedura poteva essere eseguita anche per altre operazioni, come l’escissione di tumori della pelle” afferma Robrecht Van Hee, professore di storia della chirurgia e della medicina presso l’Università di Medicina e Farmacia Grigore T. Popa. “Oggi invece sospetto che questa pratica sia diventata definitivamente obsoleta”.

Ma quanto è sicuro sottoporsi a questo trattamento? 

Le formiche sono ben lontane dall’essere e dal trovarsi in un ambiente sterile, requisito essenziale per le moderne operazioni chirurgiche. Pur non essendoci rischi specifici, si doveva quindi tenere in forte considerazione l’igiene.

“Le infezioni erano probabili complicazioni di questa procedura. Tuttavia immagino che, per le popolazioni indigene sudamericane o africane, superare almeno alcune di queste infezioni non dovesse essere così impossibile. Senz’altro il loro sistema immunitario era pronto e preparato a questo genere di complicazioni, sicuramente di più rispetto a quello di cittadini occidentali se si fossero trovati in quelle condizioni” conclude il professor Van Hee.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

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