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“L’incanto degli animali” di Christiane Nüsslein-Volhard

Il saggio di Christiane Nüsslein-Volhard ci porta tra piume, pellicce e colori, alla scoperta delle ragioni della bellezza animale

“La biologia non utilizza la categoria della bellezza per descrivere gli organismi. Il ricercatore rigoroso evita di applicarla a forme, colori e suoni, poiché tale categoria dipende dall’osservatore ed è legata a sensazioni soggettive suscitate da qualità non misurabili degli oggetti considerati belli. E tuttavia la bellezza delle piante e degli animali, così come noi la percepiamo, svolge in natura una funzione simile a quella svolta dall’arte e dalla cultura per l’umanità.”

Quello di Christiane Nüsslein-Volhard è un saggio insolito, che tratta un tema spesso lasciato in secondo piano, o addirittura taciuto, quasi fosse ritenuto “disdicevole” o poco serio. Eppure è proprio il fascino, l’incanto degli animali a colpirci così profondamente, e a decretare preferenze che a volte possono andare a discapito della vita delle specie stesse. L’autrice ce ne fa scoprire le ragioni evolutive, vere o probabili, spiega come si formano alcuni disegni e quale ne è la ragione.

Se ne “L’origine delle specie per selezione naturale” Darwin descriveva come il vantaggio biologico degli individui meglio adattati di altri portasse – in maniera graduale e nel giro di milioni di anni – a cambiamenti nella specie, alla creazione di nuove e all’estinzione di altre, in un volume successivo (“Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico”) spiegava come fosse il gusto dell’allevatore o dell’orticoltore a plasmare razze e varietà, in maniera sorprendentemente rapida.

Una delle critiche principali alla teoria delle selezione naturale riguardava proprio la bellezza: si riteneva che non spiegasse l’esistenza degli ornamenti, dei colori, del canto degli uccelli, e di tante altre cose prive di valore pratico per l’animale, che sembravano generate da un Dio creatore per il diletto degli esseri umani. Eppure, anche se si tratta di “orpelli” che possono rappresentare un ostacolo o un pericolo per la vita dell’animale, come nel caso delle ingombranti piume della coda del pavone e delle ampie corna del cervo, Darwin ne illustra (in “L’origine dell’uomo e la selezione sessuale”) l’importanza. Tratta in maniera approfondita il tema della bellezza, convinto che colori e forme ornamentali siano percepiti come attraenti dai compagni di specie, caratteristiche fondamentali per la scelta del partner. A rischio non sarebbe la sopravvivenza dell’individuo, ma la sua possibilità di essere scelto da una compagna, e quindi il successo riproduttivo: si tratta di elementi funzionali e necessari per i cambiamenti all’interno di una specie e il comparire di nuove.

Se le colorazioni inizialmente servivano a proteggere parti sensibili dalla luce del sole, col tempo si sono evoluti colori e disegni indispensabili per la comunicazione sociale. Perché un segnale abbia senso, infatti, significa che ci dev’essere qualcuno in grado di riceverlo: ecco perché quasi tutti gli animali sono colorati, tranne quelli non esposti alla luce, che vivono in caverne, sottoterra, o all’interno di altri animali e piante – se posseggono gli occhi, sono molto atrofizzati.

I mammiferi di solito presentano tonalità scure, tra il grigio e il marrone, meno variegati rispetto ad altri vertebrati come pesci e uccelli: questo potrebbe dipendere dal fatto che agli albori della loro evoluzione la Terra era dominata dai dinosauri, e gli antenati dei mammiferi vivevano sottoterra ed erano attivi di notte. Questo non significa che non sappiano vedere i colori, ma li distinguono meno bene rispetto a pesci e uccelli, soprattutto quelli a lunghezza d’onda più corta, come il blu e il verde.

Uccelli, rettili e pesci hanno una capacità visiva eccezionale, che spesso arriva fino alla percezione degli ultravioletti, fanno meno affidamento sull’olfatto rispetto ai mammiferi e presentano colori molto più vivaci, con disegni anche molto elaborati.

Ma, parallelo al bisogno di mettersi in mostra per potenziali partner, esiste quello di rendersi invisibili ai predatori. Qui entrano in gioco varie tipologie di mimetismo, come il criptismo – quando gli animali assumono forme che li rendono simili a oggetti non commestibili, come sassi o foglie secche -, o l’aposematismo – quando vengono assunti disegni e colorazioni squillanti e segnaletici, indicativi della velenosità o della sgradevolezza, per spaventare i predatori. C’è poi chi “indossa” questi stessi colori e motivi anche se velenoso non è, per mimetismo batesiano…

Questo libro affronta temi senza dubbio affascinanti, curiosi e poco esaminati in altri testi. La seconda parte, sull’origine dei colori e dei disegni, risulta un po’ difficile, forse a causa della complessità dei meccanismi stessi, che a volte risultano ancora poco chiari anche agli scienziati, o in corso di studio. Si tratta comunque di una lettura piacevole e scorrevole, che pur non esaurendo l’argomento lascia la voglia di saperne di più.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.