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Covid-19: la fase 2 e i benefici della mobilità attiva

La cosiddetta “Fase 2” è una grande sfida per la mobilità, soprattutto nelle città di grandi dimensioni dove il trasporto pubblico dovrebbe avere un ruolo cruciale.

 

Per provare a gestire la “nuova” mobilità in modo sostenibile, amministrazioni comunali, associazioni e cittadini stanno lavorando su piani strategici e proposte. Nel documento aperto “Milano 2020 – Strategia di adattamento”, con il quale il Comune di Milano ha coinvolto i cittadini nell’elaborazione di un piano per la fase due, si parla di “ridefinire l’uso delle strade e degli spazi pubblici, aumentare gli spostamenti di superficie non inquinanti (piedi, bici, mobilità leggera)”.

Le principali associazioni italiane che promuovono l’uso della bicicletta hanno suggerito sette misure, tra le quali la realizzazione di nuove infrastrutture a basso costo e la modifica delle norme esistenti per sfruttare quelle già disponibili. Parlano ad esempio di “percorsi pedonali e corsie ciclabili in sola segnaletica, doppio senso bici, strade residenziali a 10 km/h aperte ai pedoni, strade scolastiche, intermodalità bici-TPL [trasporto pubblico locale, ndr]”. Il sito Bikeitalia.it ha elaborato un “Piano di azione per la mobilità urbana post COVID” che propone, tra le altre cose, la creazione di una “Rete di Mobilità di Emergenza” a favore dell’uso di mezzi veloci e leggeri e l’allargamento degli spazi destinati ai pedoni per garantire il distanziamento sociale.

Anche nel resto del mondo le grandi città stanno cercando di adattarsi, proponendo strategie che puntano sulla mobilità attiva. In molti paesi sembra che, già nella prima fase dell’emergenza, i cittadini abbiano scelto le stesse soluzioni. Nel Regno Unito, ad esempio, c’è stata un’impennata nella vendita di biciclette. Will Butler-Adams –  amministratore delegato della Brompton, rinomata azienda produttrice di bici pieghevoli – ha riferito un aumento del 15% nelle vendite. In Australia i rivenditori non riescono a soddisfare le richieste dei clienti: “le bici sono la nuova carta igienica”, ha dichiarato al Guardian il proprietario di un negozio di Sidney. Negli Stati Uniti l’azienda produttrice Kent International ha parlato di un aumento di vendite del 30% nel mese di marzo e di oltre il 50% nel mese di aprile. In Francia è stata descritta una situazione simile.

Quali mezzi usiamo per spostarci?

Le associazioni si augurano che anche in Italia questa occasione possa servire per invertire la tendenza attuale. Secondo i dati ISTAT 2017, solo il 19,1% di coloro che ogni giorno si spostano per motivi di studio e di lavoro sceglie la mobilità attiva. Tra questi, la maggior parte si muove a piedi (17,4%) mentre l’1,7% opta per la bicicletta. Gli spostamenti “attivi” vengono scelti solo per tragitti brevi: la durata media per chi va a piedi è di 11 minuti, per chi usa la bicicletta di 16 minuti.

Con i tre quarti dei lavoratori che utilizzano l’auto per gli spostamenti quotidiani e un numero di automobili pari a 636 ogni 1.000 abitanti (vedi box), il traffico generato dalla mobilità privata è già a livelli di saturazione.

Le conseguenze per la salute sono gravi: alle 80.000 morti premature che si verificano ogni anno a causa dell’inquinamento, si sommano  le conseguenze di uno stile di vita sedentario, un problema che riguarda più di un terzo della popolazione italiana (dati PASSI). Se tra i giovani di 18-34 anni la percentuale è al di sotto del 30%, tra gli adulti di 50-69 anni raggiunge quasi il 40%.

I benefici della mobilità attiva

Eppure anche percorrere a piedi o in bicicletta una piccola parte del tragitto quotidiano può avere effetti positivi sulla salute, come hanno dimostrato diversi studi degli ultimi venti anni. Una ricerca del 2000 ha seguito 61 adulti sedentari che per un anno sono andati a lavoro in bicicletta. La distanza media casa-lavoro era di 8,5 km e la frequenza di più di tre volte alla settimana. Dopo i primi 6 mesi, i ricercatori hanno osservato un miglioramento della performance fisica, misurata come capacità di utilizzare l’ossigeno. Per i partecipanti che partivano da un livello di fitness molto basso, anche solo 3 km hanno portato un miglioramento. Secondo un altro studio del 2008, nei partecipanti che sono andati in bici per almeno 3 giorni a settimana (distanza compresa tra 2 e 15 km) è diminuito il livello di colesterolo LDL e di pressione diastolica, aumentato quello di colesterolo “buono” HDL e migliorata la vitalità, una delle componenti che definiscono la salute mentale.

Uno studio del 2019 pubblicato sul British Journal of Sports Medicine ha coinvolto 130 lavoratori per sei mesi per valutare se lo spostamento in bici potesse avere un effetto sulla fitness cardiorespiratoria. Il trial prevedeva anche un gruppo di controllo che non ha svolto nessuna attività fisica, un gruppo che nel tempo libero è stato impegnato in esercizio fisico moderato e un gruppo che ha svolto esercizio intenso. Dopo sei mesi, la fitness cardiorespiratoria dei lavoratori che sono andati a lavoro in bici era simile a quella dei partecipati impegnati in esercizi intensi e migliore di quelli che hanno svolto attività fisica moderata.

Il risultato è in linea con quanto descritto da un gruppo di ricercatori dell’università di Firenze in una meta-analisi del 2018. Gli autori hanno combinato i risultati di 23 studi, per un totale di più di 500.000 partecipanti, e hanno concluso che una mobilità attiva riduce il rischio di mortalità, l’incidenza di malattie cardiovascolari e di diabete.

Anche le bici elettriche sembrerebbero portare qualche beneficio. Una ricerca svolta a Basilea su 32 partecipanti in sovrappeso ha dimostrato che dopo 4 settimane la fitness cardiorespiratoria tra coloro che avevano utilizzato la bici tradizionale e quella elettrica era simile. Un risultato ancora preliminare che, se venisse confermato, sarebbe importante soprattutto per motivare le persone più anziane e in sovrappeso che fanno fatica a svolgere attività fisica regolare.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Francesca Camilli
Comunicatrice della scienza e giornalista pubblicista. Ho una laurea in biotecnologie mediche e un master in giornalismo scientifico.