RICERCANDO ALL'ESTERO

Come l’ippocampo crea mappe di navigazione spaziale

Questa parte del cervello svolge una funzione fondamentale nella memoria, nella navigazione e nella cognizione. Resta da chiarire dove si formino le informazioni spaziali e come siano collegate al comportamento cognitivo.

La memoria spaziale è quella parte della nostra memoria che ci permette di pianificare un percorso verso una posizione desiderata nonché di ricordare dove si trova un oggetto o dove si è verificato un evento.
Una delle aree del cervello necessarie per la formazione della memoria spaziale è l’ippocampo e, in particolare, sembrano esserci delle specifiche cellule in grado di creare una sorta di mappa dell’ambiente, sia in termini di posizione che di contesto. La scoperta di questo GPS neuronale, formato dalle place e grid cells o cellule di posizione e di griglia, ha portato ai suoi scopritori il Nobel per la medicina nel 2014 (per saperne di più, ne abbiamo parlato qui, qui e qui).

Lorenzo Posani è a New York per studiare come gli input spaziali vengono combinati ed elaborati in modo dinamico dal cervello per produrre queste accurate mappe cognitive. Posani usa modelli statistici di inferenza per cercare di interpretare e rappresentare il sistema biologico dell’ippocampo e capire la reale influenza delle place cells nella memoria spaziale.


Nome: Lorenzo Posani
Età: 30 anni
Nato a: Verona
Vivo a: New York (Stati Uniti)
Dottorato in: fisica statistica (Parigi)
Ricerca: Decodifica di mappe cognitive con modelli di fisica statistica
Istituto: Center for Theoretical Neuroscience, Columbia University (New York)
Interessi: ho fondato la start up Cubbit, suonare la tromba, fare viaggi in bicicletta
Di New York mi piace: l’offerta culturale è ampia e variegata
Di New York non mi piace: Trump, tutto il sistema è uno shock culturale
Pensiero: Le lacune crescono al ritmo del sapere. (Fredrik Sjöberg. L’arte di collezionare mosche)


Che tipi di approcci usi per studiare le dinamiche neuronali nell’ippocampo?

L’esplosione delle tecnologie usate oggi per analizzare i sistemi biologici ha portato alla generazione di enormi quantità di dati rispetto a qualche anno fa. Per esempio, nel caso delle neuroscienze, grazie a delle micro telecamere è possibile registrare l’attività di migliaia di neuroni contemporaneamente, anche in regioni piuttosto profonde del cervello.

Gestire questa grande quantità di dati non è semplice e i modelli matematici possono aiutare a simulare e interpretare sistemi interagenti come quelli biologici. Nella mia ricerca uso in genere i modelli di Ising e di Potts che, con i loro formalismi matematici, riescono rappresentare le variabili in un modo molto vicino alla realtà.

Come applichi questi modelli alle place cells?

Ci sono diverse teorie secondo cui le place cell, collettivamente, creano una mappa cognitiva dell’ambiente e, di volta in volta, ci dicono la nostra posizione. C’è anche tutta una teoria su come cellule vicine nello spazio sono in correlazione tra loro perché stabiliscono una connessione sinaptica più forte ed è proprio questa rete funzionale a creare la memoria dell’ambiente.

Quando registriamo gli impulsi neuronali però, riusciamo a capire solo quali cellule si attivano e non quali sono connesse tra loro né la funzione di questa correlazione o la funzione della conservazione (cioè quanto un neurone si accende in un certo momento).
Con i modelli di Ising è possibile “vedere” le connessioni sinaptiche e valutare se la co-attivazione di neuroni è un’informazione importante per la codifica delle mappe neurali.

I primi esperimenti che abbiamo cercato di rappresentare riguardano due ambienti, A e B, e un ratto libero di esplorare lo spazio per costruirsi le sue mappe; si può registrare l’attività cerebrale e, proiettando l’attivazione dei neuroni sulla posizione nel cervello, trovare le place cells.

Se mettiamo il ratto in un ambiente incognito e analizziamo la sua attività cerebrale, possiamo valutare se statisticamente assomiglia più a quella di A o di B. Il caso più semplice è quando un neurone si accende solo da una parte e non dall’altra, per cui in A e B ci sarà un diverso mean firing rate (il tasso medio di sparo dell’impulso). Purtroppo non tutte le situazioni sono così chiare: per esempio, le place cell di una regione particolare chiamata CA1 si attivano sia in A che in B quindi il mean firing rate sarà lo stesso. Quello che cambia è la posizione in cui si trova il ratto quando le cellule si accendono e ciò, probabilmente, dipende dalla struttura di correlazioni che si stabiliscono tra place cells vicine.

Abbiamo usato il modello di Ising per analizzare le covarianze e le correlazioni tra neuroni, basandoci solo sull’attività neuronale e senza sapere la posizione delle place cells. E abbiamo dimostrato che il metodo è effettivamente molto valido per capire in quale ambiente si trova il ratto.

Oltre alla posizione si può analizzare anche il contesto dell’ambiente?

Sì. Abbiamo applicato lo stesso metodo a un altro esperimento: ci sono due ambienti identici in dimensione, entrambi al buio, che differiscono per la posizione di luci lungo il percorso.
Prima il ratto viene allenato a riconoscere che gli ambienti sono diversi. Poi si simula un teletrasporto per cui, a un certo punto, mentre il ratto sta esplorando A, le luci si spengono e si riaccendono quelle di B.
Cercando di decodificare queste mappe a partire dall’attività dei neuroni, si è visto che al momento del teletrasporto, posizione per posizione, la mappa oscilla tra A e B prima di rilassarsi verso l’ambiente corretto.

Abbiamo usato il nostro metodo matematico per vedere se riusciva effettivamente a predire anche queste oscillazioni e, dopo averlo confermato, abbiamo cercato di decodificare la posizione specifica in cui il ratto crede di trovarsi di volta in volta. È emerso che, una volta teletrasportato in B, anche quando oscilla in A, sa perfettamente in che posizione si trova rispetto a quel contesto.

Se alla base di questo fenomeno ci fossero solo gli stimoli visivi allora indicherebbero solo B, quindi ci deve per forza essere qualcos’altro. Abbiamo teorizzato l’esistenza di un path integrator (PI) che, durante la navigazione, aggiorna la rappresentazione neurale dell’ambiente ed è sensibile a tutta una serie di input provenienti da regioni diverse del cervello, non solo visivi ma anche propriocettivi. Quando il ratto viene teletrasportato è come se la regione propriocettiva non si fosse ancora accorta che gli stimoli visivi sono cambiati e stesse ancora rappresentando la vecchia mappa. Il conflitto tra queste due aree è quello che potrebbe causare le oscillazioni.

Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?

Sto cercando di approfondire il ruolo delle place cells nel sistema di memoria del nostro cervello. Ci sono alcune teorie che mettono in dubbio la particolarità di queste cellule e affermano che potrebbero semplicemente far parte di una storia più grande. Inizierò a lavorare sulla compressione delle memorie e sul ruolo dell’ippocampo nel decidere come e quali memorie salvare nella corteccia.


Leggi anche: Proteine in 3D: dimmi con che amminoacido vai e ti dirò come sei

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine New York: Pixabay

Condividi su
Luisa Alessio
Biotecnologa di formazione, ho lasciato la ricerca quando mi sono innamorata della comunicazione e divulgazione scientifica. Ho un master in comunicazione della scienza e sono convinta che la conoscenza passi attraverso la sperimentazione in prima persona. Scrivo articoli, intervisto ricercatori, mi occupo della dissemination di progetti europei, metto a punto attività hands-on, faccio formazione nelle scuole. E adoro perdermi nei musei scientifici.