DOMESTICIRUBRICHE

L’attaccamento dei gatti alla nostra specie

Anche per loro, come per i cani, siamo una "base sicura" in un ambiente estraneo: lo mostra uno dei pochi studi sperimentali condotti.

I gatti sono considerati molto indipendenti, spesso anche distaccati, tanto che un tempo si diceva che si affezionassero alla casa, non ai suoi abitanti. Ma forse, semplicemente, non li conosciamo così bene: la ricerca etologica sui gatti è ancora piuttosto scarsa, soprattutto se messa a confronto con quella condotta sui cani. I nuovi studi ci aiutano a conoscerli sempre meglio, mostrando che in effetti il gatto non è “imperscrutabile” né tantomeno distaccato: come il cane, può avere in noi una figura di riferimento, un “porto sicuro” in occasioni di stress.

Gatti e set sperimentali

Che il cane formi forti legami di attaccamento con il proprio umano è ben noto. Oltre all’importanza dello sguardo reciproco, alla base di una serie di reazioni neuroendrocrine ampiamente indagate nella specie, questi hanno anche dimostrato di formare con il proprietario una relazione simile a quella di un bambino piccolo con la madre. Questo particolare aspetto è stato studiato in un set sperimentale in cui viene applicato il cosiddetto strange situation test, sviluppato per gli esseri umani e poi adattato per altre specie – tra cui appunto il cane. In sostanza, prevede diverse fasi nelle quali si osserva il comportamento del soggetto testato quando è presente la “figura di attaccamento” (la madre o il proprietario), quando arriva un estraneo, quando la figura di attaccamento si allontana e poi ritorna.

Per il cane, questo test è stato impiegato più volte in letteratura (per esempio, come avevamo raccontato qui, per capire come cambia la relazione con il proprietario all’avanzare dell’età). Per il gatto, invece, le cose sono un po’ più complicate. «Il gatto è un animale fondamentalmente territoriale, e il cambiamento dell’ambiente può essere una fonte di stress più o meno notevole a seconda della personalità», spiega a OggiScienza Simona Cannas, ricercatrice del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano e specialista in etologia applicata e benessere animale.

«Per esempio, se per abituare il cane alla pensione si consiglia di solito di fare un periodo di adattamento con periodi via via più lunghi nel nuovo ambiente, per il gatto questo può essere controproducente. Ogni uscita diventa fonte di stress e, considerando che il periodo di adattamento dei gatti è in media di tre giorni (ricordando sempre le differenze individuali), tanti avanti e indietro risultano inutili se non dannosi».

«È anche per questa ragione che gli studi condotti sui gatti spesso non si svolgono in set sperimentali ma si basano su questionari validati, che consentono anche di raccogliere un campione più ampio», spiega la ricercatrice.

Un test per i gatti

Alcuni anni fa, una delle poche ricerche sperimentali sul gatto e condotta applicando lo strange situation test non aveva evidenziato la presenza di un attaccamento tra il gatto e il suo umano. Tuttavia, un più recente lavoro, pubblicato su Current Biology e basato su un campione più ampio, ha valutato proprio il legame di attaccamento che può stabilire con la nostra specie basandosi su una versione modificata dello strange situation test denominata secure base test e impiegata per indagare proprio l’effetto “base sicura”.

Il principio è molto simile e anch’esso è stato applicato su altre specie (come cani e primati): non prevede la comparsa di una persona estranea, ma il gatto è lasciato nel nuovo ambiente per due minuti prima con il suo umano, poi da solo; segue quindi una fase di “riunione” con il ritorno del proprietario. I ricercatori hanno quindi osservato se i gatti che hanno partecipato al test mostravano segnali di stress quando lasciati da soli (come il miagolio) e il loro comportamento al ritorno del proprietario.

Il test è stato condotto inizialmente su gatti molto giovani, tra i tre e gli otto mesi di età. Questa prima parte dell’esperimento ha consentito di evidenziare quelli che gli autori chiamano “stili di attaccamento“. L’attaccamento sicuro è quello riferito al gatto che, al ritorno del suo umano, si sente più tranquillo e riprende un certo equilibrio tra l’esplorazione del nuovo ambiente e la ricerca per proprietario. È invece definito “attaccamento insicuro” quello del gatto che, anche al ritorno del proprietario, manifesta ancora comportamenti di stress e cerca in modo eccessivo o evita del tutto il suo umano.

Oltre il 60 per cento dei gatti che hanno partecipato al test mostrava un attaccamento sicuro. «Questo ha consentito di stabilire che l’essere umano può rappresentare una base sicura per il gatto posto in un ambiente estraneo. E non ci deve stupire che emergano diversi stili di attaccamento, anche perché il gatto ha una socialità molto flessibile: tende a formare gruppi sociali solo se le condizioni, come la presenza di spazio e risorse, lo consentono», spiega Cannas. «In sé, lo stile di attaccamento di un certo individuo può dipendere da diversi fattori, come la personalità e l’esperienza».

Uniti nel tempo

In effetti, gli autori dello studio hanno provato a capire quanto le esperienze influiscano sull’attaccamento del gatto nei confronti dell’umano: una parte dei cuccioli che hanno partecipato al test hanno infatti partecipato anche a un successivo periodo di training di socializzazione. Tuttavia, quando sottoposti nuovamente al secure base test, non sono emersi risultati significativi tra i gatti che avevano partecipato al periodo di socializzazione aggiuntivo e a quelli di controllo.

Secondo i ricercatori, questo può indicare che lo stile di attaccamento, una volta stabilitosi, rimane relativamente stabile nel tempo. «È molto probabile che le esperienze di socializzazione abbiano un ruolo importante nel determinare come il gatto si relazioni al proprio umano», commenta Cannas. «E questo è importante da ricordare, perché i gatti hanno un periodo di socializzazione relativamente breve, che si chiude intorno alle 7-8 settimane di età».

Che lo stile di attaccamento si mantenga nel tempo è stato confermato anche dalla seconda parte dell’esperimento, nel quale il test è stato applicato a gatti di più di un anno: anche in questo caso, la maggior parte riconosceva del suo umano il proprio “porto sicuro”.

Flessibilità sociale e interspecifica

«Questo studio ci mostra che non solo il cane ma anche il gatto ha una flessibilità sociale che il processo di domesticazione ha reso interspecifica: rappresenta un adattamento evolutivo delle specie, che hanno imparato a vivere in un ambiente incentrato sull’essere umano», spiega la ricercatrice. «Non sono affatto molti gli studi che hanno indagato le abilità socio-cognitive del gatto in un contesto sperimentale. È possibile che anche in questo caso siano presenti dei bias legati allo stress, sebbene gli autori abbiano cercato di limitare la possibilità analizzando i miagolii del gatto lasciato da solo, ma la ricerca mostra comunque l’esistenza di stili di attaccamento coerenti nel tempo e che ricalcano quelli osservati in altre specie».

La ricerca sull’attaccamento del gatto nei confronti dell’essere umano si va a sommare alle altre che, pian piano, ci mostrano come diversi aspetti di questa specie siano stati probabilmente sottovalutati, dalla loro capacità di esprimersi a quella di mettersi in relazione con noi. «Il gatto, soprattutto in passato, è stato visto come un animale non sociale, a volte non è stato nemmeno considerato del tutto domestico», conclude Cannas.

«Bisogna poi considerare che il cane partecipa a molte attività umane, per cui c’è anche un interesse maggiore nell’approfondirne alcune caratteristiche che potrebbero migliorarne il lavoro. Comunque, a livello scientifico stiamo cominciando a veder crescere l’interesse nei confronti del gatto. Un po’ meno forse a livello culturale e pratico: nella mia attività di veterinaria comportamentale, vedo ancora un gatto ogni dieci cani; anche se devo ammettere che negli ultimi anni le cose iniziano a cambiare».


Leggi anche: Capire l’ansia nel cane

Fotografia: Pixabay

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.