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Evelyn Hooker e la depatologizzazione dell’omosessualità

Sfidando i pregiudizi della comunità scientifica del tempo, negli anni Cinquanta del secolo scorso la psicologa Evelyn Hooker ha condotto un esperimento per dimostrare che l’omosessualità non è un disturbo mentale

Stati Uniti, anni Cinquanta del secolo scorso. L’omosessualità è considerata un crimine dalla legge, un peccato dalla chiesa e un disturbo mentale dalla scienza. È in questo contesto che una psicologa, Evelyn Hooker, decide di realizzare un semplice esperimento: lo scopo è dimostrare che i gay non sono affatto “malati”. I risultati, ovviamente, le danno ragione. In un clima segnato dalla caccia alle streghe del maccartismo, la sua ricerca è una piccola rivoluzione, un seme destinato a germogliare negli anni a venire.

Il suo lavoro contribuirà a dare credibilità scientifica alle battaglie condotte negli anni Sessanta dalle associazioni per i diritti delle persone LGBT, aprendo la strada alla rimozione dell’omosessualità dal DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), nel 1974, e alla sua cancellazione dall’elenco delle malattie mentali da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 1990.

Bullismo, sessismo, antisemitismo

Evelyn Hooker nasce come Evelyn Gentry a North Platte, in Nebraska, nel 1907. Sesta di nove figli, all’età di 13 anni si trasferisce con la famiglia in Colorado. Sia il padre che la madre sono cresciuti in povertà e non hanno avuto l’opportunità di studiare; proprio per questo spingono lei e i fratelli a non rinunciare all’istruzione, unica possibilità di riscatto e di rivalsa sociale. Evelyn va bene a scuola, ma è molto più alta delle ragazze della sua età e viene pesantemente presa in giro per la sua statura. Questi episodi la rendono sensibile nei confronti delle difficoltà che deve affrontare chi è emarginato in quanto “diverso” e fanno crescere in lei il desiderio di studiare psicologia.

Dopo il bullismo subito da ragazza, Evelyn conosce anche le ingiustizie di una società profondamente sessista. Nel 1924, grazie a una borsa di studio, si iscrive all’Università del Colorado, a Boulder; nel frattempo, per mantenersi, lavora come domestica per una ricca famiglia della città. Nel 1930, laureatasi in psicologia, vorrebbe proseguire gli studi a Yale, ma l’università respinge la domanda di iscrizione perché viene da una donna. Riesce comunque ad accedere alla Johns Hopkins University di Baltimora, dove nel 1932 consegue il dottorato in psicologia sperimentale.

In seguito insegna al Maryland College for Women, nei pressi di Baltimora, quindi ottiene un incarico presso il Whittier College, nel sud della California. Nel 1937 ha la possibilità di recarsi per un anno presso l’Istituto di Psicoterapia di Berlino. Ospite di una famiglia ebrea, assiste con sgomento al dilagare dell’antisemitismo. Molte persone conosciute in quel periodo – tra cui tutti i membri della famiglia che la ospita – troveranno la morte in un campo di concentramento; anche questa esperienza la colpisce nel profondo e alimenta in lei il desiderio di adoperarsi contro le discriminazioni e l’ingiustizia sociale. Prima di tornare negli Stati Uniti partecipa a un viaggio di gruppo in Unione Sovietica; sospettata di aver maturato opinioni politiche sovversive, al suo rientro perde l’incarico al Whittier College.

Nel 1939 fa domanda per un lavoro nel dipartimento di psicologia dell’Università della California, a Los Angeles (UCLA), guidato dal suo mentore alla Johns Hopkins, Knight Dunlap. Non viene assunta perché la facoltà conta già tre presenze femminili, ma – ormai corazzata contro il sessismo imperante – insiste e riesce a ottenere una posizione da docente esterna. Resterà all’UCLA per 31 anni, conducendo ricerche e insegnando psicologia fino al 1970.

L’incontro con Sam From

Nel 1944, alla fine di una lezione del corso introduttivo di psicologia, Evelyn è avvicinata da uno dei suoi studenti. Il ragazzo, che si chiama Sam From, le confida di essere omosessuale. Tra i due nasce una profonda amicizia. Grazie a Sam, la donna ha la possibilità di conoscere molte persone della comunità gay di Los Angeles; individui normali, ma considerati “disturbati” da medici e psichiatri.

Testimone dell’odio antisemita nella Germania nazista, discriminata più volte in quanto donna e abituata a conoscere sin da bambina l’emarginazione nei confronti del diverso, Evelyn si rende conto di non potere far finta di nulla. Su invito di Sam, decide di prendere di petto la questione.

La sua idea è che dietro al concetto di omosessualità come malattia sia presente un forte bias metodologico: i casi studiati fino a quel momento, infatti, riguardano perlopiù persone con una storia pregressa di trattamento per disturbi mentali. È un esempio di profezia che si autoavvera. I gay frequentati da lei, invece, non solo non presentano alcun comportamento anomalo, ma sono tra le persone più intelligenti e brillanti che conosca; non è strano, quindi, che non abbiano mai avuto a che fare con medici e psichiatri. Intenzionata a dimostrare questa semplice verità, la psicologa inizia a intervistare molti amici e conoscenti omosessuali. “Non ci ha mai trattati come una strana tribù”, ha dichiarato anni dopo uno di loro – lo scrittore Christopher Isherwood – “e questo ci ha spinti ad aprirci con lei”. Nel frattempo Evelyn divorzia dal primo marito, Donn Caldwell, e nel 1951 sposa Edward Hooker, professore di inglese all’UCLA.

“The Adjustment of the Male Overt Homosexual”

Ben presto, Evelyn Hooker si rende conto che le interviste non sono sufficienti. Per convincere i suoi colleghi deve condurre una vera e propria ricerca scientifica. Nel 1953 chiede una sovvenzione al National Institute of Mental Health (NIMH). Siamo al culmine del maccartismo, i comportamenti omosessuali sono perseguiti penalmente e le diagnosi psichiatriche, che parlano di un disturbo emotivo grave e pervasivo, non sembrano lasciare adito a dubbi. Il responsabile delle concessioni del NIMH, John Eberhart, decide di incontrare Hooker di persona; fortemente impressionato dalla sua determinazione, accetta di concederle il finanziamento, anche se il rischio che qualcosa vada storto è molto elevato. “Siamo pronti a darti la sovvenzione”, precisa, “ma potresti non riceverla mai senza sapere il perché”. Per fortuna le cose andranno diversamente. Il NIMH finanzierà la ricerca per otto anni e nel 1961 consegnerà alla psicologa il prestigioso Research Career Award.

Per realizzare il suo studio, Evelyn Hooker si avvale di tre test psicologici proiettivi, progettati per misurare i tratti della personalità e la stabilità psichica ed emotiva: il TAT (Thematic Apperception Test), il MAPS (Make-a-Picture-Story) e il Rorschach. Vengono selezionati sessanta uomini, trenta eterosessuali e trenta omosessuali. Per ridurre al minimo il rischio di distorsioni, Hooker sceglie persone con caratteristiche simili e le accoppia in base al quoziente intellettivo, all’età e al grado di istruzione; verifica inoltre che nessuno abbia conclamati problemi psichici o precedenti penali. In questa fase si avvale della collaborazione della Mattachine Society, una delle prime organizzazioni LGBT della storia.

Ogni test è compilato in modo anonimo, senza informazioni identificative di alcun tipo, quindi consegnato a tre psicologi clinici: Bruno Klopfer, specializzato nel test di Rorschach, Edwin Shneidman, ideatore del MAPS, e infine Mortimer Meyer, che concentra la sua attenzione sul TAT.

Alla fine dell’analisi, i tre esperti giungono indipendentemente alla medesima conclusione: non vi è alcuna differenza psicologica misurabile tra i membri dei due gruppi; l’omosessualità come disturbo clinico non esiste, le sue forme sono varie come quelle dell’eterosessualità. Nel 1957 i risultati vengono pubblicati sul Journal of Projective Techniques, in un articolo intitolato “The Adjustment of the Male Overt Homosexual” (“L’adattamento dell’omosessuale maschio dichiarato”). Ironia della sorte, Sam From muore pochi mesi prima della pubblicazione in un incidente stradale.

Una variante naturale del comportamento umano

Negli anni Sessanta, le associazioni per i diritti delle persone LGBT acquistano sempre più importanza e il lavoro di Evelyn Hooker si rivela fondamentale per dare credibilità scientifica alle loro rivendicazioni. Nel 1967 il National Institute of Mental Health chiede alla psicologa di dirigere un gruppo di studio sull’omosessualità. Nel rapporto finale, frutto di oltre due anni di lavoro, viene chiesto di eliminare ogni forma di discriminazione – politica, sociale, lavorativa – basata sull’orientamento sessuale.

Le parole chiave di quegli anni sono depenalizzazione e depatologizzazione. Dopo i moti di Stonewall fare finta di nulla non è più possibile. Finalmente, nel 1973, l’American Psychiatric Association (APA) decide di rimuovere il riferimento all’omosessualità come disturbo mentale dalla sesta ristampa del DSM-II, pubblicata l’anno successivo. È la prima tappa di un processo che, prima di giungere a compimento, richiederà ancora molto tempo. Nelle edizioni seguenti del DSM continuerà a figurare tra i disturbi la cosiddetta omosessualità ego-distonica, condizione in cui una persona vive con difficoltà il proprio orientamento sessuale; per vedere scomparire anche questo riferimento bisognerà attendere il 1987. L’ultimo passo sarà compiuto il 17 maggio 1990, data in cui l’OMS cancella l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali, proponendo la definizione di “variante naturale del comportamento umano”.

Evelyn Hooker si ritira dall’UCLA nel 1970, anno in cui avvia uno studio privato a Santa Monica, ben presto un punto di riferimento per l’intera comunità LGBT californiana.

Nel 1992, la psicologa riceve il Lifetime Achievement Award, il più alto riconoscimento assegnato dall’APA. Lo stesso anno esce il documentario biografico Changing Our Minds: The Story of Dr. Evelyn Hooker, che ottiene una candidatura all’Oscar. “Dà una senso di finalità alla propria vita, no?” dichiara in un’intervista.

La “Rosa Parks del movimento per i diritti dei gay”, come è stata definita dal giornalista Eric Marcus, muore nel 1996, ormai assurta a icona.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Wikimedia Commons

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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.