AMBIENTE

Biospeleologia: comprendere il passato e salvaguardare il presente

Gli animali che abitano il sottosuolo si rivelano una preziosa fonte di dati.

Noi uomini moderni faremmo fatica a immaginare di vivere in una grotta: l’assenza di luce, il disorientamento, e l’idea di avere chilometri di roccia sopra la testa potrebbero rendere in alcuni casi spaventosa questa esperienza. Esistono però animali che per cause di forza maggiore sono stati costretti a vivere in questi ambienti, generalmente ritenuti inospitali. È il caso del Leptodirus hochenwarti, un piccolo coleottero scoperto per la prima volta nel 1831 all’interno delle grotte di Postumia, nell’attuale Slovenia. Questo animale, allo stesso modo di molti altri che vivono negli ambienti cavernicoli, si è adattato per far fronte alle difficili condizioni della vita ipogea. Il corpo è allungato, depigmentato per l’assenza di luce, dotato di lunghe antenne che lo aiutano ad orientarsi nel buio, in quanto privo di occhi.

Al ritrovamento di questo insetto si fa risalire la nascita della moderna biospeleologia, la disciplina che ha lo scopo di studiare la misteriosa e affascinante fauna che popola gli ambienti sotterranei. Da allora scienziati e speleologi hanno scoperto, identificato e catalogato innumerevoli specie, e le nostre conoscenze relative agli animali che abitano il sottosuolo si sono moltiplicate. Viene dunque da chiedersi perché sia così importante studiare questi animali e quali informazioni se ne possono ricavare. Abbiamo provato a rispondere a queste domande parlando con Andrea Colla, curatore del Museo di Storia Naturale di Trieste, esperto biospeleologo ed entomologo.

Il motore dell’evoluzione è l’isolamento

Supponiamo di essere un piccolo gruppo di insetti abituato a vivere in un clima freddo. Con l’innalzamento delle temperature dovuto al cambiamento climatico saremo spinti a cercare rifugio in un ambiente più ospitale, magari verso la cima di una montagna. Le temperature però continuano ad aumentare e l’unico modo che abbiamo per sopravvivere è rintanarci nella frescura di una grotta, inizialmente forse solo sulla soglia, per poi spingerci più in profondità qualora le condizioni avverse ci raggiungano. Supponiamo inoltre che parte del gruppo abbia invece deciso di stabilirsi in una cavità diversa dalla nostra, che si apre alle pendici del monte vicino.

Questi due gruppi si troveranno ora a essere completamente separati da barriere fisiche, e impossibilitati a ricongiungersi. Per farlo infatti dovrebbero scendere nella valle che separa le due montagne, luogo ormai troppo inospitale per la loro sopravvivenza. “Uno dei principali motori dell’evoluzione è l’isolamento” spiega Andrea Colla, “l’interruzione dello scambio di materiale genetico infatti favorisce il diversificarsi di una specie, a prescindere dalle caratteristiche dell’ambiente in cui si trova”. Questa situazione ne è un esempio perfetto: quale luogo è più confinato e inaccessibile di una grotta?

L’albero genealogico delle specie

Una volta identificato l’ambiente consono alla loro vita, questi gruppi di insetti inizieranno a riprodursi e differenziarsi, dando origine nel lungo periodo a specie diverse. Se allo stesso modo supponiamo che il gruppo originario si sia separato in molti gruppi invece dei due sopracitati, ognuno dei quali si è insediato in una grotta diversa, arriveremo ad avere una fauna differente in ogni luogo in cui si sono rifugiati questi insetti. “Faune diverse, ma anche simili, perché spesso con specie corrispondenti derivate da uno stesso progenitore comune”.

Studiando il grado di parentela di questi animali e la loro distanza con l’antenato comune si può costruire una sorta di albero genealogico delle specie e capire quanto antica è la loro separazione. Datando il momento in cui hanno preso strade differenti è possibile trarre informazioni su quella che è la storia climatica e geologica della regione in cui è stato ritrovato l’animale, e quindi comprendere le modifiche che nel tempo sono intercorse in quel luogo.

Biodiversità, fine e strumento della ricerca

Le informazioni che possiamo ricavare dall’osservazione della fauna ipogea non sono solo uno strumento di studio di epoche remote, ma offrono anche importanti spunti applicativi nel presente. “Il ruolo che occupano questi animali negli ecosistemi è importante per lo studio di fenomeni attuali, come il cambiamento climatico e le sue conseguenze. Da qui è facile comprendere perché sia importante salvaguardarne la sopravvivenza”, afferma Andrea Colla. In questo contesto la tutela della biodiversità diventa allo stesso tempo fine e strumento della ricerca. Lo studio di quanto e dove sono diffuse le varie specie infatti permette di scoprire ad esempio che un determinato insetto abita solo una specifica grotta e di conseguenza ci si premurerà di preservarne le condizioni che permettono la vita dell’animale.

“Se a causa, per esempio, dei cambiamenti climatici o dell’azione dell’uomo andasse persa un’intera specie, magari prima ancora che venga scoperta, andrebbero anche perse tutte le informazioni che essa porta con sé”. La fauna sotterranea infatti, anche a causa della difficile accessibilità delle grotte, non è ancora stata del tutto scoperta, soprattutto in certi luoghi. Studiare queste specie significa quindi anche sapere quali ambienti è necessario salvaguardare per non perdere informazioni preziose dal punto di vista scientifico e naturalistico.

Biotraccianti, sorgenti ed esplorazioni

I dati raccolti da questi animali trovano poi impiego nel controllo della sicurezza delle sorgenti idriche. Le specie cavernicole possono essere infatti impiegate come biotraccianti: ricostruendo il loro percorso nelle acque sotterranee si può giungere a individuare la provenienza di quelle che alimentano le sorgenti, e di conseguenza proteggerle dall’inquinamento. Inoltre le analisi sull’animale stesso possono fornire informazioni utili riguardo al tipo di inquinanti eventualmente presenti.

La conoscenza di quale specie abita un determinato luogo e lo studio del percorso che compie attraverso le acque sotterranee può essere utile anche nella cosiddetta speleologia esplorativa. “Certe acque hanno una fauna molto caratteristica, se la si ritrova in due grotte diverse si può supporre un possibile collegamento tra di esse, a volte rappresentato da fessure impraticabili, a volte da spazi accessibili anche all’uomo”. Lo studio degli animali cavernicoli può quindi aiutare gli speleologi nella scoperta di nuovi collegamenti e come una sorta di bussola facilitarli a orientarsi nel sottosuolo.

Una riserva per il futuro

Abbiamo visto come animali così piccoli e spesso sconosciuti siano in realtà una grande fonte di dati in diversi ambiti e discipline. Quello che forse potrebbe non essere chiaro è perché sia importante proteggere ognuna di queste specie, che magari all’apparenza paiono trascurabili per il fatto che abitano solo quella sperduta grotta di quel particolare monte.

“L’importanza sta nella somma di queste specie”. Singolarmente infatti possono anche sembrare poco importanti, ma risultano meritevoli di tutela in quanto insieme. “Le specie cavernicole sono generalmente antiche e sono andate incontro a evoluzioni molto lunghe, la perdita di anche solo una di queste nel quadro generale è un danno a cui non si può porre rimedio”, prosegue Colla. Specie infatti che oggi sembrano molto localizzate forse un tempo non lo erano e con il modificarsi delle condizioni ambientali e climatiche potrebbero un giorno tornare a prosperare.

“Quello che oggi ci sembra marginale e poco importante negli ecosistemi in realtà costituisce una riserva per il futuro, la biodiversità è una delle chiavi della resilienza e preservarla risulta essenziale”. Ragionando in quest’ottica che qualcuno si sia adattato a vivere in ambienti così inospitali forse alla fine potrebbe essere una gran fortuna.


Leggi anche: Complesso del Monte Canin: trovata la giunzione che lo rende la grotta più grande d’Italia

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Wikimedia Commons

Condividi su