AMBIENTE

Una città a misura d’ape

Parchi urbani e altre zone verdi come i cigli delle strade rappresentano una sorgente importante di nettare e polline. Se gestiti bene, possono contribuire a contrastare la moria degli insetti impollinatori.

Che le popolazioni di insetti, e in particolare delle api e di altri impollinatori, siano in forte difficoltà non è certo una novità. Così come non è un mistero che il progressivo inurbamento della popolazione mondiale abbia modificato drasticamente l’uso del suolo, espandendo disordinatamente i confini delle città a discapito delle circostanti aree rurali. Per questo motivo, accanto alle iniziative spontanee di apicoltura urbana, nell’ultimo decennio vanno moltiplicandosi gli studi che esaminano le prospettive degli impollinatori nelle zone verdi urbane. La domanda a cui i ricercatori cercano di dare risposta è tanto semplice quanto suggestiva: in un mondo dominato dal calcestruzzo e dal cemento c’è ancora spazio per api e bombi?

Elaborare stime attendibili sulla consistenza della popolazione mondiale è un’impresa terribilmente complicata. Nella consueta incertezza, alcune tendenze sono però chiare: che il sorpasso sia avvenuto nel 2007 oppure nel 2009, da almeno un decennio l’umanità si concentra nelle zone urbane e non più in quelle rurali. Negli stessi anni, veniva descritta per la prima volta la sindrome dello spopolamento degli alveari (SSA) per la quale le api di mezzo mondo iniziarono a perire bruscamente. Tra le cause del fenomeno, legato anche a infestazioni parassitarie e gravi malattie, vi sono il cambiamento dell’uso del suolo e l’abuso di pesticidi che affliggono severamente le popolazioni di insetti e, in generale, la biodiversità. In particolare, l’urbanizzazione è spesso associata a un cambiamento nella composizione della comunità di impollinatori, inclusa una diminuzione in termini di ricchezza e abbondanza delle specie. Tuttavia, il tessuto cittadino comprende una miriade di parchi pubblici, giardini privati e altre aree verdi come viali alberati, cimiteri e orti urbani, nei quali raramente si fa uso di pesticidi.

Lo studio di PLOS One

Un’indagine pubblicata nella rivista PLOS One dall’ecologo Benjamin Daniels e colleghi dell’Università di Aquisgrana dimostra che un certo assortimento di piante può trasformare gli spazi urbani in un ricco habitat per le api e altri insetti. I ricercatori tedeschi hanno esaminato le comunità di impollinatori in otto aree verdi di Aquisgrana durante il periodo di fioritura. Gli autori hanno individuato quattro categorie di aree secondo utilizzo, composizione floristica e gestione: giardini pubblici, orti urbani, cimiteri e parchi ricreativi frequentati dai cittadini per fare attività fisica o grigliate. In ciascuna di esse sono stati censiti i tigli presenti, è stata delimitata un’area di riferimento caratteristica e inoltre è stata installata una piccola ‘aiuola di studio’ comprendente specie vegetali gradite agli impollinatori: campanula, bocca di leone, rudbeckia e salvia. Come termine di paragone rurale, è stato scelto un prato situato nella periferia della città circondato da frutteti, pascoli, boschetti e campi. Da maggio ad agosto del 2016 i ricercatori hanno monitorato l’attività degli impollinatori dalle ore 10 alle 17 in condizioni soleggiate e non ventose, registrando 7723 interazioni con le piante.

Nel sito di controllo, il numero medio di visite degli impollinatori è stato di 46,2 ± 14,6 ogni 30 minuti. Nonostante costituissero la tipologia meno rappresentata nello studio in termini di estensione, gli orti urbani sono stati gli unici siti urbani a registrare frequenze simili (43,7 ± 23,0 per 30 minuti) a quelle rurali. In questi siti viene deliberatamente evitata la coltura intensiva e la falciatura avviene generalmente solo due volte all’anno. In generale, la manutenzione si basa su principi ecologici: niente prodotti fitosanitari come erbicidi o insetticidi mentre la semina del grande prato centrale avviene con una miscela di semi di piante autoctone. Sebbene i tassi di visita degli impollinatori ai tigli, specie arborea dominante ad Aquisgrana, siano risultati pressoché uniformi, le altre tipologie di aree verdi sono risultate penalizzate dall’elevata periodicità di opere di manutenzione, potatura e sfalcio più che dalla scarsa biodiversità vegetale.

L’urbanizzazione può vere un effetto positivo?

“Non c’è dubbio che le api possano vivere anche in città. Uno studio di quest’anno, pubblicato in Nature Communications, dimostra che l’urbanizzazione può avere effetto neutro o addirittura positivo sulla biodiversità di alcuni gruppi di impollinatori e in particolare delle api selvatiche” concede Francesco Nazzi, professore di Zoologia, Apidologia e Apicoltura dell’Università di Udine, sottolineando tuttavia che il vantaggio dipende dal contesto locale: “se la campagna circostante è dominata da monocolture e coltivazioni intensive, con limitate possibilità di rifornimento di nettare e polline per i pronubi, anche le città possono diventare un rifugio per gli animali impollinatori. Diversamente, le api si trovano meglio in ambienti poco antropizzati”.

L’antichissima coesistenza tra api e uomo è però alla ricerca di nuovi equilibri e oggi esplora letteralmente nuove strade. Una revisione sistematica, pubblicata in Biological Conservation dall’ecologo Benjamin Phillips dell’Università di Exeter e colleghi di Cambridge e dell’Anglia orientale, dimostra che perfino i cigli delle strade, se gestiti correttamente, possono diventare una risorsa importante per gli impollinatori. L’analisi di oltre 140 studi sostiene una campagna di sensibilizzazione apposita lanciata da Plantlife, organizzazione non governativa britannica il cui obiettivo è la tutela della biodiversità vegetale. Nonostante la vicinanza dalle carreggiate comporti l’esposizione all’inquinamento e il rischio di impatto con i veicoli, nel loro insieme i cigli delle strade formano una rete di corridoi ecologici che fornisce cibo e riparo per un gran numero di impollinatori come api, farfalle e sirfidi. Secondo gli autori, il potenziale di queste sottili fasce di vegetazione spontanea può essere migliorato limitando l’inquinamento luminoso e il numero degli sfalci periodici. Anche la tempistica dello sfalcio è però importante: se effettuato nelle ore più calde, e in particolare durante il periodo di fioritura, esso comporta una moria di impollinatori, larve e uova.

“L’approccio dei cigli delle strade è interessante perché nel loro insieme costituiscono un’area molto estesa. Inoltre, le raccomandazioni sullo sfalcio sono di buon senso, l’ideale sarebbe effettuarne una all’anno o al massimo due” riprende Nazzi. Oltre a ridurne la frequenza, le amministrazioni comunali potrebbero prevedere la sfasatura delle operazioni in modo da garantire sempre la disponibilità di almeno una sorgente di nettare e polline per le api e agli altri impollinatori. “Non solo, anche la potatura degli alberi va drasticamente ripensata. A causa del rischio di caduta dei rami, la loro chioma viene periodicamente ridotta in maniera drastica. Le conseguenze di questo scempio sono sotto gli occhi di tutti: le api vengono private delle fioriture, gli alberi a lungo andare si ammalano e muoiono mentre in estate le persone sbuffano e sudano perché nei viali non c’è ombra” scuote la testa Nazzi: un ambiente urbano più verde e salubre non avvantaggerebbe solo le api ma anche un altro animale sociale chiaminsettiato uomo.


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Immagine copertina: Pixabay

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Davide Michielin
Indisposto e indisponente fin dal concepimento, Davide nasce come naturalista a Padova ma per opportunismo diventa biologo a Trieste. Irrimediabilmente laureato, per un paio d’anni gioca a fare la Scienza tra Italia e Austria, studiando gli effetti dell’inquinamento sulla vita e sull’ambiente. Tra i suoi interessi principali vi sono le catastrofi ambientali, i fiumi e gli insetti, affrontati con animo diverso a seconda del piede con cui scende dal letto.