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Ondate di calore, il killer silenzioso della crisi climatica

Il riscaldamento globale ha intensificato i periodi di caldo estremo, con rischi per la salute da non sottovalutare

Non c’è estate senza qualche telegiornale che non si chiuda con la raccomandazione di sempre: bevete tanta acqua e non uscite nelle ore più calde. Sano buon senso, che in tempi di cambiamenti climatici può diventare un reale salvavita. Perché ormai le estati europee sono segnate da ondate di calore sempre più intense e prolungate, al punto da costituire una seria minaccia per la salute pubblica. A livello globale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che tra il 1998 e il 2017 le ondate di calore abbiano causato la morte di oltre 166 mila persone. Si tratta a tutti gli effetti di uno dei rischi più temibili del riscaldamento globale.

Un nome per le ondate di calore

Seppure meno iconiche di un ciclone tropicale, le ondate di calore possono avere effetti altrettanto devastanti per la salute umana. Quelle registrate in Europa nell’estate del 2003 (la più torrida dal 1540) causarono oltre 70 mila vittime, mentre nel 2010 in Russia morirono 50 mila persone. Senza contare le ingenti perdite per l’agricoltura, che nelle nazioni a basso reddito possono portare alla fame milioni di persone.

Ecco perché un gruppo di esperti oggi propone di attribuire un nome alle ondate di calore, come si fa da tempo con i cicloni e gli uragani. Un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica sul pericolo di questo «killer silenzioso» e spingere le persone a proteggersi, come avviene d’inverno quando fa molto freddo. Secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM), dare un nome ai cicloni tropicali facilita il racconto dei mass media, aumenta l’attenzione per le allerte e il livello di preparazione delle comunità. Attivare un’analoga reazione alle ondate di calore potrebbe salvare molte vite e diventare sempre più importante man mano che le temperature del pianeta saliranno.

Nell’emisfero settentrionale le ondate di calore si verificano d’estate e sono definite come periodi prolungati di tempo (da alcuni giorni a una o più settimane) contraddistinti da temperature sensibilmente più elevate della media stagionale. Nel sud dell’Europa un’ondata di calore può spingere i termometri a oltre 45°C, eguagliando il caldo torrido che si può sperimentare nel deserto della Death Valley. Tuttavia non esiste una temperatura critica standard, uguale per ogni regione del pianeta, perché un’ondata di calore si presenta come un’anomalia delle condizioni climatiche locali. I rischi per la salute, inoltre, non dipendono solo dalla temperatura, ma anche dal grado di umidità (che rende meno tollerabile il calore) e dalla durata del fenomeno: un paio di giorni torridi sono meno pericolosi di una settimana di caldo intenso.

Morire di caldo

Le ondate di calore agiscono sul corpo umano come un fattore di stress che può risultare fatale nei soggetti più vulnerabili: neonati, anziani o persone debilitate da altre patologie. Ma il caldo estremo è un pericolo anche per le persone giovani e in buona salute costrette a lavorare all’aperto, o per gli atleti impegnati in una gara. Durante la terribile ondata di calore che colpì l’Europa nel 2003, le prime vittime si contarono fra gli operai edili e gli anziani che vivevano soli in abitazioni senza aria condizionata.

Il processo comincia con il riscaldamento dei vasi sanguigni che si trovano in prossimità della pelle. II sangue più caldo circola verso l’interno e la temperatura corporea aumenta. Nel tentativo di abbassare la temperatura iniziamo a sudare: è il nostro sistema di raffreddamento. Ma se l’aria è umida, il sudore non riesce a evaporare. Allora il cuore comincia a battere più forte per spingere il sangue caldo verso l’esterno e liberarsi del calore in eccesso. La pelle si arrossa. Negli anziani i vasi sanguigni potrebbero non dilatarsi in modo efficiente, affaticando il cuore e mettendo a rischio le persone con patologie croniche. Inoltre bisogna bere molta acqua per sostituire il sudore perduto, altrimenti si può incorrere in disidratazione, che addensa il sangue e aggrava lo sforzo del cuore.

A quel punto possono sopraggiungere crampi, sudorazione eccessiva e battito accelerato: sono i primi segnali di pericolo. Occorre raffreddare il corpo con ogni mezzo: una doccia fredda o del ghiaccio sulla testa o sotto le ascelle, le zone dove sono presenti più vasi sanguigni. Se la temperatura corporea arriva a 40°C, si può incorrere in un colpo di calore (ipertermia), con mal di testa improvvisi e pulsanti, battito accelerato, pelle rossa, calda e secca. Non si riesce più a sudare e in 10-15 minuti la temperatura può salire a oltre 41°C, causando capogiri, nausea, confusione. Senza un trattamento immediato di reidratazione si può perdere conoscenza. Gli organi collassano e  sopraggiunge la morte.

Il ruolo del riscaldamento globale

Sebbene sia complesso attribuire ogni ondata di calore al riscaldamento globale, l’andamento è ormai chiaro: con l’aumento delle temperature questi eventi estremi sono diventati più intensi, prolungati e frequenti. In uno studio del 2019, gli scienziati del Politecnico federale di Zurigo (o ETH Zurich) hanno inoltre concluso che le intense ondate di calore registrate nel 2018 nell’emisfero settentrionale non sarebbero state possibili senza la crisi climatica. E se il riscaldamento globale arriverà a 2°C rispetto ai livelli preindustriali, avremo fenomeni altrettanto intensi ogni estate.

Di recente si è inoltre scoperto che il riscaldamento globale intensifica anche le cosiddette ondate di calore marine: periodi di almeno cinque giorni in cui la temperatura dell’acqua raggiunge valori estremi. Mari e oceani, del resto, assorbono oltre il 90% del calore prodotto dal riscaldamento globale. Secondo uno studio pubblicato su Nature Climate Change, nel trentennio 1987-2016 la frequenza delle ondate di calore marine è aumentata del 54% rispetto al trentennio 1925-1954, con gravi impatti sulla biodiversità. I ricercatori hanno paragonato la devastazione causata dalle ondate di calore marine a quella di un incendio in una foresta, con la perdita di habitat vitali come le barriere coralline o le foreste di kelp e l’estinzione delle specie più vulnerabili. A cui si devono aggiungere gli impatti economici sulla pesca e sul turismo.

Limitare l’impatto

Sulla terraferma, invece, ad avere la peggio saranno le nazioni povere che si trovano nelle aree più calde del pianeta, vulnerabili alla siccità e con meno risorse per difendersi dagli impatti del riscaldamento globale. Una doppia ingiustizia, se si considera che spesso si tratta anche dei Paesi che hanno meno contribuito alle emissioni antropiche di gas serra. Secondo uno studio del National Bureau of Economic Research, organizzazione di ricerca no profit statunitense, in assenza una drastica riduzione nelle emissioni di gas serra, le ondate di calore potrebbero causare entro fine secolo un numero di vittime paragonabile a quello di tutte le malattie infettive, favorendo migrazioni di massa e provocando ingenti perdite all’economia mondiale.

Già oggi in Medio Oriente le ondate di calore sono così frequenti e prolungate da mettere a rischio l’abitabilità di quel che un tempo è stata la culla della civiltà. Nei giorni scorsi a Baghdad, in Iraq, la temperatura ha raggiunto i 52°C. Il caldo soffocante ha costretto molte persone chiudersi in casa, mentre in strada sono state allestite docce per rinfrescarsi. I frequenti blackout hanno obbligato ad alimentare i condizionatori con i motori diesel e l’aria si è riempita di polveri sottili fino a livelli pericolosi per la salute umana. Di solito il governo iracheno dichiara un giorno di festività quando le temperature superano i 50°C, ma con le attività economiche già stremate dal lockdown imposto dalla pandemia stavolta non se l’è sentita. «Di questo passo, tra dieci anni non si potrà più vivere in Iraq», ha detto a Bloomberg Mahmoud Abdul Latif dell’Organizzazione Meteorologica Irachena.

Potrebbe non essere un giudizio troppo azzardato. Secondo un studio recente, in alcune aree del pianeta la combinazione di temperature estreme e valori elevati di umidità è ormai prossima ai limiti della sopravvivenza umana. Gli esperti avvertono inoltre che in molte città dell’emisfero settentrionale il caldo potrebbe diventare presto intollerabile nelle abitazioni senza condizionatori, che però a loro volta contribuiscono alle emissioni di gas serra, rischiando così di alimentare un circolo vizioso. Quando si superano i 35°C, d’altra parte, un ventilatore non riesce più a rinfrescare il corpo: la sensazione è quella di trovarsi in un forno ventilato. Nelle nostre città, l’unico antidoto al caldo estivo sono le aree verdi, che dovremmo estendere e proteggere. Ma a livello globale non abbiamo altra possibilità che limitare l’aumento delle temperature del pianeta prima di morire, letteralmente, di caldo.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Giancarlo Sturloni
Sono un giornalista scientifico esperto di comunicazione del rischio. Svolgo attività di comunicazione, formazione e consulenza in campo sanitario e ambientale. Sono co-fondatore del collettivo NatCom - Communicating nature, science & environment di Trento. Insegno Comunicazione del rischio alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, all’Università degli Studi di Udine e all'Università degli Studi dell'Insubria. Sono autore di diversi libri tra cui "La comunicazione del rischio per la salute e per l'ambiente" (Mondadori Università, 2018) e "Il pianeta tossico" (Piano B, 2014). Con Daniela Minerva ha curato il volume "Di cosa parliamo quando parliamo di medicina" (Codice, 2007).