AMBIENTE

Api “addestrate” per l’agricoltura del futuro

Le api sono fondamentali per l’impollinazione dei nostri campi. Come convincerle a preferire i fiori delle piante che ci interessano?

Oggi ci sono più esseri umani sul pianeta rispetto a qualsiasi altro momento nella storia. Ogni giorno, però, il record si aggiorna e dai 7 miliardi del 2011 potremmo raggiungere in pochi anni gli 8 miliardi, con conseguente aumento della richiesta di risorse e di cibo. Questa continua crescita demografica è resa possibile da quella che viene definita come seconda rivoluzione industriale cioè l’avvento, a partire dagli anni ‘90, di tutte le moderne tecniche agricole come ad esempio le colture intensive, i pesticidi e le piante geneticamente modificate nonché dei moderni mezzi per il lavoro nei campi e, addirittura, l’utilizzo di immagini e dati satellitari.

In tutta questa dimostrazione di forza sulla natura e l’ecosistema terrestre, che da solo non riuscirebbe a supportare una specie così famelica, ci si dimentica (o non si vuole dare il giusto merito) delle creature che rendono possibile l’incontro tra due gameti di due fiori diversi: gli animali impollinatori.

Senza di loro anche la più avanzata tecnica di agricoltura non servirebbe a nulla e la produzione globale di frutta, verdura e tuberi calerebbe drasticamente mettendo in serio rischio la vita di milioni se non miliardi di persone. Le api sono le maggiori impollinatrici del pianeta e dalla loro incessante operosità sembra che derivi circa il 70% della produzione agricola globale: senza le api non avremmo il cibo necessario alla nostra sussistenza ed è proprio questo il problema.

Il problema

Negli ultimi anni, l’uso indiscriminato di pesticidi, il cambiamento climatico e anche alcune malattie, hanno decimato le api in tutto il mondo provocando un conseguente calo di produzione agricola e un aumento della domanda di impollinatori da parte degli agricoltori.

Sostituire questi animali e il loro ruolo nell’ecosistema è, infatti, impossibile e laddove si è tentato di subentrare al posto delle api nel ruolo di impollinatori i risultati sono stati pessimi, non sfiorando nemmeno l’efficienza e i risultati portati da un semplice alveare. Per non parlare, poi, della perdita di biodiversità vegetale e animale che si sperimenta conseguentemente alla scomparsa di una specie impollinatrice.

Ma anche le stesse api danno del filo da torcere agli agricoltori! Questa specie, infatti, ha stretto nel corso dell’evoluzione una proficua e profonda simbiosi mutualistica con le piante da fiore ma non con noi. Il risultato è che anche se gli alveari vengono collocati dagli agricoltori all’interno del proprio campo, le api, che possono percorrere notevoli distanze, gli possono comunque preferire fiori selvatici trovati nelle vicinanze.

Eppure, grazie al lavoro di un team di scienziati argentini, le cose potrebbero presto cambiare.

La soluzione

All’Universidad de Buenos Aires, i ricercatori si sono concentrati proprio sul modo di indurre le api a concentrarsi sulla coltivazione di interesse. Lo studio è stato pubblicato su Current Biology e rispolvera una vecchia proposta degli anni ’40 mai messa in pratica: introdurre del cibo nell’alveare, profumandolo con l’odore della coltivazione di interesse.

Le api, infatti, associano informazioni come odori e colori a un determinato fiore e, soprattutto, alla ricompensa in nettare zuccherino che quest’ultimo offre. È proprio questo meccanismo che gli scienziati argentini hanno voluto sfruttare: porre una soluzione di acqua e zucchero all’interno dell’alveare, mista però a una traccia odorosa che mimasse il profumo della pianta di interesse e guidasse poi le api sulla propria coltivazione di girasoli ibridi.

Questo odore “mimo”è una necessità pratica legata alle stesse coltivazioni di girasoli ibride: i continui incroci degli agricoltori alterano quello che è il profumo del girasole “selvatico” e gli scienziati necessitavano di creare un odore standard generalizzato che guidasse sempre le api ai girasoli, nonostante il numero e il grado di ibridazioni subite.

L’esperimento

Per prima cosa, gli scienziati hanno nutrito i loro alveari in maniera differente: il primo con una soluzione inodore di acqua e saccarosio, il secondo con la medesima soluzione ma mista all’odore mimo chiamato “SM” e il terzo con una soluzione di controllo sempre di acqua e saccarosio ma mista a un odore ritenuto molto differente da quello del girasole, definito come “JM”. L’odore mimo è stato ottenuto con solo 3 dei 200 odori che compongono il caratteristico profumo di un girasole selvatico.

Dopo un periodo di sola alimentazione controllata, i ricercatori hanno esposto ciascun alveare a 3 soluzioni odorose contenenti rispettivamente il preparato sintetico SM, il preparato sintetico JM e l’odore dei girasoli selvatici. I risultati hanno mostrato chiaramente come le api siano in grado di discernere tra la soluzione contenente JM e quella contenente l’odore dei girasoli, mentre risultino meno abili nel distinguere la soluzione contenente SM da quella con il profumo di girasole.

Questo significa che per le api bastano solamente una piccolissima parte degli odori (3 su 200) che compongono il complesso profumo dei girasoli per essere tratte in inganno e scambiare così il preparato sintetico, con l’odore di un vero girasole e rafforzando così, la correlazione positiva tra questo odore e la ricompensa zuccherina.

Provato che il composto SM da loro realizzato mimava con efficacia l’essenza dei girasoli, i ricercatori sono passati alla parte più importante del loro studio. Hanno così posizionato gli alveari in prossimità del loro campo coltivato per valutare quale gruppo di api si recasse più di frequente sui loro girasoli ibridi.
Per farlo hanno utilizzato una polvere colorata soffiata all’ingresso degli alveari in modo da riconoscere la provenienza di ogni singola ape, catturata nell’atto di alimentarsi su un girasole oggetto di studio.

Ebbene, come previsto dagli scienziati, le api delle colonie alimentate con la soluzione mista all’odore mimo, accorrevano più numerose sui girasoli bersaglio risultando in una maggiore densità e tempo di frequentazione rispetto alle api di altre colonie.
Non solo, queste api comunicavano già nella prima ora la posizione dei girasoli attraverso la loro famosa danza mentre per gli insetti degli altri alveari ci volevano ben 5 ore. Anche il numero dei danzatori era diverso, con molti più danzatori nelle colonie alimentate con la soluzione mista all’odore mimo.

I ricercatori hanno dimostrato come la memoria della correlazione positiva tra odore e ricompensa zuccherina, abbia da subito guidato le api a dei fiori che “sapevano già” essere carichi di prezioso nettare. Le hanno, quindi, condizionate grazie ad un meccanismo di ricompensa basato sull’alimentazione controllata all’interno dell’alveare.

La speranza per il futuro

Questo incredibile successo è molto importante per il futuro dell’agricoltura e della sostenibilità ambientale. Innanzitutto, con meno api si otterrà una copertura maggiore e un aumento dell’impollinazione, che si traduce con un aumento della produttività. Inoltre, è un metodo sicuro e poco costoso visto che la produzione dell’odore mimo è relativamente semplice e non comporta rischi per la salute.

Le api non vengono obbligate ma bensì positivamente condizionate a scegliere quel fiore in particolare senza ripercussioni sulla loro salute o aspettativa di vita. Anzi, ne beneficeranno perché, come ipotizzato dagli stessi scienziati argentini, diminuirà la competizione per le risorse, dato che le api diventeranno meno generaliste lasciando ad altre specie il compito di impollinare i fiori selvatici circostanti ai campi coltivati.

Nell’agricoltura del prossimo futuro saranno, forse, queste api addestrate le migliori amiche degli agricoltori sempre che l’inquinamento e i cambiamenti climatici provocati proprio dall’uomo, non le portino all’estinzione. In quel caso una specie fra tutte risentirebbe della loro scomparsa. Noi.


Leggi anche: Caro serpente, buon appetito

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

Condividi su
Simone Rebuffi
Sono Simone Rebuffi, laureato in Biologia Evoluzionistica presso l'Università degli studi di Padova. La mia passione: la divulgazione scientifica in ogni sua forma. Collaboro con il giornale scientifico Pikaia. Sono autore di "Just a Story", podcast di divulgazione scientifica.