AMBIENTE

Ianos sulle coste della Grecia

Tra il 17 e il 20 settembre, l’uragano mediterraneo Ianos ha impattato sulle coste della Grecia. I suoi venti hanno raggiunto i 120km/h, procurando danni e allagamenti dalle isole ioniche alla Thessalia. A Mario Marcello Miglietta, dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, abbiamo chiesto cosa sono e come si formano questi eventi atmosferici così intensi.

Una corona di nubi antracite si chiude sul cielo. Il vento sibila, scuote le gomene delle barche e i vetri delle case, piega le chiome degli alberi, fa ribollire la superficie del mare. La pioggia è un velo che si fa sempre più fitto, cancella i contorni delle cose. Quando — ore dopo — il mondo torna a fuoco sotto la tiepida luce del sole, i confini tra terra e acqua appaiono mescolati: le strade e i campi allagati, le case sommerse.

Prima dell’avvento dei satelliti meteorologici eventi simili sarebbero stati classificati come tempeste particolarmente feroci. Ma dalla fine degli anni Sessanta, quando per la prima volta ne abbiamo visto l’“occhio”, sono state evidenziate caratteristiche simili ai cicloni tropicali. Hanno un nome preciso: Medicane, MEDIterranean HurriCANE.

L’ultimo è di qualche settimana fa. Ha rumoreggiato al largo delle coste della Sicilia e della Calabria, per poi abbattere il suo martello di pioggia e vento sulla Grecia. È stato battezzato Ianos, come il dio delle transizioni e del cambiamento. E, sebbene nella cronaca internazionale sia entrato solo in punta dei piedi, prima di svanire ha preso con sé tre vite umane.

L’esperto

Mario Marcello Miglietta è fisico dell’atmosfera e meteorologo, e lavora presso l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (Isac). È a lui che abbiamo chiesto di raccontarci cosa sono i Medicane, come si formano e perché sono così difficili da descrivere. Da anni, infatti, si occupa di eventi atmosferici estremi. Più nello specifico, usa numeri ed equazioni per realizzarne dei ritratti matematici, attraverso modelli con cui prevedere, in maniera sempre più efficace, sviluppo, evoluzione e traiettoria di questi fenomeni.

Cicloni extratropicali e tropicali

Prima di capire cosa sia un Medicane, però, è necessaria una premessa. In meteorologia, un ciclone è un campo di bassa pressione. «Nelle mappe del tempo trasmesse in televisione i cicloni si riconoscono bene, perché sono delimitati dalle cosiddette isobare, linee chiuse che rappresentano zone di uguale pressione. Un minimo di pressione è associato ad un ciclone».

In una regione di bassa pressione, l’aria vicino alla superficie tende a muovere verso l’alto, favorita dalla presenza di aria più fredda in quota. Man mano che sale, però, l’aria si espande, si raffredda e finisce col condensarsi, andando a formare nuvole dense di pioggia. I cicloni così caratterizzati vengono detti delle medie latitudini o extratropicali «e sono associabili alle condizioni di maltempo» che tutti conosciamo.

Accade però che, in certi periodi dell’anno, nella regione dei tropici e dell’equatore, la superficie dell’oceano raggiunga i 26.5°C. In condizioni simili, l’acqua tende a scaldare e a umidificare notevolmente l’aria soprastante, inducendola a muovere verso l’alto. L’aria sollevata condensa, formando nubi imponenti e rilasciando calore nel processo. Il riscaldamento nel centro del ciclone produce un ulteriore abbassamento della pressione e un’intensificazione del vento vicino alla superficie, che induce un nuovo sollevamento. Può innescarsi pertanto una reazione a catena che porta alla formazione dei cicloni tropicali, altrimenti noti come uragani.

I Medicane

Il tratto saliente dei Medicane è che sono un ibrido tra i due tipi di cicloni sopra descritti. Nascono con caratteristiche extratropicali, ma l’interazione tra la superficie del mare e l’atmosfera li fa evolvere in cicloni tropicali.

«A dare loro questo nome è stato Kerry A. Emanuel, uno dei più importanti meteorologi/climatologi americani. Fu lui infatti a notare le analogie termiche e dinamiche tra i Medicane e i cicloni tropicali».

Come gli uragani, anche i Medicane presentano un occhio attorno a cui ruota, quasi simmetricamente, una spirale nuvolosa fatta di cumulonembi. Come gli uragani, sono associabili a venti forti e precipitazioni intense. Hanno un cuore centrale caldo, che si estende dalla superficie del mare sino ai primi km dell’atmosfera, e vedono nell’interazione con la superficie del mare il principale serbatoio di energia.

«Va tenuto presente, però, che si muovono su una scala più piccola dei cicloni tropicali. Un uragano può arrivare ad avere 500km di diametro; i Medicane raramente raggiungono i 200. Non durano settimane e sono meno intensi. Basti pensare che per catalogare i cicloni tropicali si usa la scala Saffir-Simpson, che va da un livello 1 a un livello 5. I Medicane a malapena arrivano, solo occasionalmente, al livello 1. Ciò non toglie, però, che siano fenomeni pericolosi».

Ciclogenesi Orografica

La maggior parte dei Medicane tende a formarsi in due zone: il mare intorno alle Baleari e lo Ionio, dove, peraltro, si sta registrando un lieve aumento dei casi negli ultimi anni.

I Medicane che si sviluppano in questa zona sono caratteristici soprattutto per il loro meccanismo di formazione. «Nascono infatti per ciclogenesi orografica. La catena dell’Atlante devia i flussi d’aria, creando una zona di bassa pressione sottovento». Qui si formano le prime nubi temporalesche che «dal Nord Africa si spostano sul Mediterraneo, dove iniziano ad acquisire calore ed energia, trasformandosi progressivamente in cicloni tropicali».

In media, se ne registrano tre ogni due anni, e tendono ad apparire tra settembre e dicembre, con alcune comparse eccezionali a gennaio. È questo un indizio prezioso su di un’importante differenza tra i Medicane e i cicloni tropicali. «Ianos si è formato sulle coste del Mar Libico quando effettivamente la temperatura superficiale del Mediterraneo era comparabile con i 26.5°C, soglia per la formazione di uragani. Tuttavia, è capitato che alcuni Medicane si sviluppassero in pieno inverno, quando le temperature del mare erano ben inferiori».

Un quadro complesso

Questo fa intuire come la distinzione in cicloni extratropicali e tropicali sia troppo cruda, e non restituisca una realtà ben più complessa. «Si è infatti scoperta l’esistenza di Medicane, Basse Polari, Cicloni Sub-tropicali e altri ibridi che presentano caratteristiche intermedie tra le due tipologie, oppure possiedono fasi del proprio ciclo di vita in cui si comportano come cicloni extratropicali e altre, invece, in cui sono paragonabili a cicloni tropicali».

Per ogni generalizzazione stabilita ci sono sempre delle eccezioni. Ma questo non è l’unico motivo per cui è complicato individuare e comprendere questi fenomeni.

«Grazie alle simulazioni, siamo in grado di prevedere la comparsa di un Medicane circa 2-3 giorni prima che si formi. Successivamente, attraverso radar e satelliti, monitoriamo le formazioni nuvolose per verificare se effettivamente si sviluppa. Il problema è che questi fenomeni sono sensibili anche alle più piccole variazioni dei parametri meteorologici. È sufficiente che, all’inizio della simulazione, il modello non riproduca correttamente la posizione di una certa struttura meteorologica, perché la predizione non risulti corretta».

Un ciclone che appare nelle previsioni di lunedì per il venerdì successivo potrebbe non apparire più già pochi giorni dopo, e rivelarsi del tutto un falso allarme. Come è possibile?

«Uno studio recente ha mostrato che un Medicane si è originato grazie all’arrivo in quota di una perturbazione associata ad aria fredda proveniente originariamente dal Nord America. Quindi i disturbi che influenzano questi eventi possono arrivare da molto lontano. Ora, prima di giungere nel Mediterraneo, la perturbazione ha attraversato l’Atlantico, dove però noi disponiamo solo di poche stazioni in superficie. Questo può diventare un problema per le simulazioni».

Poche stazioni equivalgono a pochi dati. Pochi dati corrispondono a descrizioni imprecise dello stato atmosferico all’istante iniziale delle simulazioni che, abbiamo visto, si traducono in previsioni meno efficaci. In senso metaforico «un modello usa le equazioni per proiettare avanti nel tempo una fotografia» che, nel caso della meteorologia, rappresenta le condizioni atmosferiche in un preciso momento. Se però questa fotografia è sgranata, l’immagine che otterremo alla fine della proiezione sarà altrettanto o più imprecisa.

I modelli di domani

A un problema di risoluzione si aggiunge anche una lacuna nelle conoscenze. Sui cicloni tropicali, e ancor più sui Medicane, infatti, c’è ancora molto da scoprire.

«Per esempio, l’interazione tra la superficie del mare e l’atmosfera non è ancora nota con esattezza. Nei modelli si applicano relazioni che si è visto funzionare sperimentalmente, ma in condizioni atmosferiche normali. Quando abbiamo a che fare con eventi estremi, invece, tali relazioni andrebbero modificate, perché le modalità di scambio di calore tra oceano e atmosfera mutano se il vento è debole o è forte».

Modelli che tengano conto di relazioni accurate tra mare e atmosfera esistono; essi si basano su modelli atmosferici e oceanici “accoppiati” che vengono processati simultaneamente. Tuttavia, richiedono tempi di calcolo molto lunghi. In altre parole, non sono ancora pronti per un utilizzo in tempo reale. Per Miglietta, però, «questo è l’approccio del futuro. Arriveremo nel giro di qualche anno a un loro utilizzo operativo».

Di riscaldamento globale e uragani

È lecito chiedersi: siamo destinati a vedere sempre più spesso questi fenomeni? In realtà, è presto per rispondere. Studi di questo tipo, nella letteratura scientifica recente, non hanno, per ora, rilevato un incremento nella frequenza di questi eventi.

Ma un aumento della temperatura del mare significa più calore disponibile, e quindi più energia, per i Medicane. «Quello che ci aspettiamo, e i modelli sembrano avvallare questa previsione, è un aumento dell’intensità media degli uragani mediterranei, soprattutto di quelli più forti».

Le previsioni possono aiutarci a capire quando e dove soffierà la prossima tempesta, quali zone rischiano di essere più soggette a questi fenomeni, che tipo di intensità dovremo attenderci. Per quanto appannato, rappresentano uno sguardo sul futuro, un vantaggio che la nostra specie ha sul corso degli eventi. Che cosa fare di questo potere? È una decisione che spetta alla collettività.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Elisa Baioni
Laureata in Scienze Filosofiche all'Università di Bologna. Frequenta il Master in Comunicazione della Scienza 'Franco Prattico' di Trieste. Ha scritto per Galileonet; per Rickdeckardnet e per Animal Studies. Collabora con le scuole per attività di didattica formale e informale. Appassionata di scienza, etiche ambientali e postumanesimo. Preoccupata per il brutto clima.