ATTUALITÀIN EVIDENZA

Animali in volo: il commercio illegale di fauna selvatica per via aerea

Un recente report analizza il traffico illegale di animali selvatici che passa dagli aeroporti, per capire su quali aspetti si può agire per contrastarlo. Ne parliamo con la Guardia di Finanza che si occupa dei controlli a Fiumicino

I rischi posti dal traffico illegale di animali selvatici sono ben noti. C’è, innanzitutto, quello dell’estinzione, perché il commercio rappresenta una minaccia alla conservazione delle specie in natura. Il commercio tristemente famoso dell’avorio, delle scaglie di pangolino o del corno di rinoceronte sono gli esempi più noti, cui si aggiungono altri a volte meno conosciuti, come quello che interessa l’orso malese (vittima del bracconaggio per la bile ma anche per le zampe), la carne e gli artigli o gli animali marini, come i coralli, commerciati per l’acquariologia. Anche solo un commercio non illegale, ma poco regolato, rappresenta un rischio significativo: uno studio pubblicato su Nature Communications a fine settembre, per esempio, ha evidenziato quanto poco la regolamentazione internazionale copra il commercio di rettili, lasciando molte specie vulnerabili all’estinzione.

A ciò si aggiunge un problema di cui anche OggiScienza ha parlato qualche tempo fa, ossia come il commercio possa influenzare anche il rischio di zoonosi.

Monitorare e conoscere il commercio di fauna selvatica, sia legale o illegale, è quindi un passo fondamentale per capire quali sono i problemi principali: se e quanto interessa specie a rischio e rappresenta una minaccia per altre, quali rischi sanitari pone a seconda delle specie e di quale tipo d’interazione forzata è sottoposta… Di conseguenza, conoscerne le dinamiche aiuta anche a comprendere come contrastare o mitigare i problemi. È quanto fa il report intitolato “Runway to Extinction. Wildlife Trafficking in the Air Transport Sector”, dedicato al traffico illegale di fauna selvatica che passa per gli aeroporti e prodotto dal Center for Advanced Defense Studies (C4ADS) come parte della USAID Reducing Opportunities for Unlawful Transport of Endangered Species (ROUTES) Partnership.

Un traffico di portata globale

Può sembrare strano, in realtà, che il commercio di animali selvatici sfrutti molto la via aerea come modalità di trasporto: possiamo immaginare, per esempio, che sia più facile stivare gli animali in una nave, oppure nel bagagliaio di una macchina (dove magari il rischio rappresentato dai controlli è anche minore). Ma, come osserva il report fin dall’inizio, proprio la possibilità di spostarsi per via aerea è tra i fattori che ha esacerbato il traffico, perché consente di percorrere distanze ampie in breve tempo; il nostro mondo interconnesso ha portato “le regioni che una volta erano isolate in aree remote, sempre più vicine alle grandi richieste di mercato del Nord America, dell’Europa e dell’Asia”. Per il mercato illegale, questo è allo stesso tempo anche uno svantaggio, perché più il trasporto aereo è essenziale per far arrivare gli animali da una parte all’altra del globo, più le misure di prevenzione e controllo possono renderlo difficile, fino a farlo diventare fin troppo costoso perché sia sostenibile.

Il report raccoglie i dati sui sequestri e i casi di tratta (ossia gli animali transitati in un Paese ma sequestrati in un altro) a livello globale, così da dare un quadro generale della situazione che, innanzitutto, restituisce in modo estremamente efficace la portata del commercio illegale di animali selvatici. Ciò che emerge chiaramente, infatti, è che non si tratta di un mercato confinato a una o poche regioni del globo ma è, invece, di portata davvero mondiale. Naturalmente, ci sono alcuni limiti a quest’analisi. Come è facile intuire, infatti, indagare il commercio di animali (come anche di prodotti come droga d’abuso o armi) è particolarmente difficile quando questo è clandestino, proprio perché illegale: i dati a disposizione sono spesso indicatori indiretti, come il numero di sequestri. E questi non sono per forza rappresentativi, perché naturalmente un alto numero di sequestri può dipendere semplicemente da controlli stringenti e ben funzionanti, più che rappresentare un mercato particolarmente ricco. Inoltre, come riporta il documento, ciò che di questo commercio viene identificato è proprio ciò che non funziona, dal momento che un sequestro rappresenta una strategia dimostratasi poco efficace.

Dal report emergono comunque intanto alcune considerazioni generali. Guardando al tipo di trasporto si evidenzia come molto dipenda dal tipo di materiale o prodotto derivato che viene commerciato – e non solo nel senso di “animali grandi” o “piccoli”, “vivi” o “morti”. Per esempio, una distinzione si può osservare tra l’avorio lavorato e non: quest’ultimo, solitamente più grande e più ricco di odore, viene per lo più spedito, mentre quando si tratta di avorio già lavorato non è infrequente il trasporto addosso agli stessi passeggeri o nei bagagli da stiva. Ancora, si osserva la difficoltà a intercettare il traffico in transito, perché per bagagli, merci e passeggeri che transitano da un aeroporto all’altro i controlli sono più limitati rispetto a quelli che avvengono alla partenza e, soprattutto, all’arrivo (perché i primi sono focalizzati soprattutto alla sicurezza, mentre i secondi si concentrano proprio sull’ingresso di merci illegali). Tra le altre osservazioni importanti, si nota come il flusso del mercato sia prevalentemente dall’emisfero australe a quello boreale, possibile riflesso di una domanda di Nord America, Europa e alcuni Paesi asiatici per specie esotiche provenienti da nicchie di biodiversità di Sud America, Oceania e Africa. Inoltre, il traffico procede in un certo senso a imbuto per quanto riguarda alcuni prodotti: molte specie possono infatti essere prelevate da diverse regioni, ma le loro destinazioni rimangono abbastanza limitate. Al contrario, la richiesta di animali vivi è spesso diffusa in diverse aree, mentre le specie d’interesse abitano in poche selezionate regioni del mondo.

I mercati principali

Anche se il report approfondisce alcuni aspetti del traffico per diverse aree geografiche (Africa, Asia, America, Europa, Medio-Oriente e Oceania) una prima panoramica generale evidenzia come la maggior parte dei casi di traffico si verificano in Cina: è in cima alla “top ten” dei Paesi per numero di casi e ne conta il 200% in più rispetto a quelli registrati per il Vietnam, che la segue in classifica. È anche la prima per numero di sequestri (il solo aeroporto di Hong Kong registra circa il doppio sequestri di qualsiasi altro, e 4/5 riguardano avorio e corno di rinoceronte). Gli altissimi numeri registrati dal report sono indicatori da una parte di questo vasto mercato, e dall’altra di un valido sistema di controllo e segnalazione.

In generale, l’Asia appare l’area con maggior richiesta di specie selvatiche, che arrivano da ogni parte del mondo ma soprattutto dall’Africa. Solo per dare qualche cifra, tra il 2016 e il 2018 vi sono stati 96 sequestri di avorio, per un totale di 5.729 chili; 48 di corno di rinoceronte, con 741 chili totali, e 37 di scaglie di pangolino, per ben 8.888 chili, più dell’avorio. Un dato particolarmente inquietante se si considera, come scrive il report, che la maggior parte del carico di scaglie di pangolino passa via nave, e dunque le cifre totali del mercato sono ancora più alte di queste.

Inoltre, anche se molte specie di animali asiatici sono in declino (fattore che sembra spiegare il grande traffico da altri continenti), permane anche un traffico interno di rettili, uccelli, pangolini e specie marine.

L’altra faccia della medaglia è l’Africa, che rappresenta il primo continente d’origine delle specie commerciate illegalmente, soprattutto per quanto riguarda prodotti quali avorio, scaglie di pangolino e corno di rinoceronte. Uno degli aspetti evidenziati dal report è che i dati mostrano un calo del traffico per quanto riguarda l’avorio, compensato però da un aumento del commercio di corno di rinoceronte. E se l’Asia è la principale destinazione per la maggior parte degli animali e dei prodotti derivati, anche l’Europa ha un ruolo importante, soprattutto per quanto riguarda l’importazione di rettili.

Un occhio all’Europa

Sull’Europa, peraltro, vale la pena spendere qualche parola in più, non solo perché ci riguarda molto da vicino ma anche perché dimostra quanto sia sbagliato ritenere il mercato di fauna selvatica confinato a regioni remote e culturalmente differenti dalla nostra. “Anche se l’Europa non è generalmente considerata un hotspot per il traffico di fauna selvatica, l’heat map mostra attività in tutta l’area”, si trova infatti scritto sul report. Le ragioni sono diverse: dall’elevata domanda per animali da tenere come pet, ai voli che attraversano il continente congiungendo Africa e Asia; dalla presenza di reti di commercio che hanno base in Europa alla presenza di specie native d’interesse. Certo, qui non abbiamo elefanti cui prendere l’avorio o rettili esotici. Ma in Russia (che, pur essendo eurasiatica, è stata compresa nella “parte europea” dell’analisi) si trovano orsi e moschi, animali simili ai cervi ma appartenenti a un’altra famiglia e privi di palchi, che finiscono nel mercato asiatico. I primi per artigli e cistifellea, i secondi per il muschio, un secreto estratto da una particolare ghiandola del maschio e impiegato nella medicina tradizionale e come profumo.

Sempre diretto al mercato cinese, dall’Europa parte un commercio illegale di anguille. Tra il 2016 e il 2018, gli animali marini sono stati di gran lunga i più sequestrati negli aeroporti europei, e la metà dei sequestri ha riguardato anguille vive, che viaggiavano in sacchetti di plastica riempiti d’acqua e che venivano spedite “sotto falso nome”, cioè indicando una specie diversa. Non per tutti è disponibile il numero di esemplari sequestrati, ma per sei di essi la cifra è invece disponibile: sono 1.825.000 esemplari. Quello delle anguille, oltretutto, è un mercato che sembra aver avuto un picco negli ultimi anni. Il report indica che, dei sequestri registrati, il 5% è avvenuto nel 2016, il 25% nel 2017 e il 70% nel 2018: un aumento preoccupante, sia perché si tratta di animali commerciati in grandi quantità sia perché l’anguilla europea (Anguilla anguilla) è classificata come criticamente minacciata dalla Red List della IUCN. Il loro destino è alimentare: uno studio pubblicato a marzo su Science Advances ha mostrato come quasi la metà dei prodotti a base di anguilla venduti al dettaglio a Hong Kong contengano proprio la specie europea.

In Europa non mancano, comunque, gli animali destinati al mercato dei pet. Il report cita, come esempi significativi, il caso di un sequestro di 250 tra camaleonti e gechi trasportati nello zaino di un passeggero; lo stesso nascondiglio del secondo esempio, che riguardava però rettili vari, serpenti compresi, un gran numero dei quali – si riporta – sequestrati già morti. In generale, osserva il report, l’alto numero dei sequestri in Europa (indipendentemente dal fatto che siano animali in transito, in arrivo o in partenza) evidenziano un efficace meccanismo di controllo.

Dopo questa prima occhiata ai dati presentati dal report, abbiamo parlato con due rappresentati del Gruppo della Guardia di Finanza che si occupa dei controlli all’aeroporto di Fiumicino (il controllo doganale di animali elencati nella CITES fa infatti capo alla Guardia Finanza).

E in Italia?

«Com’è noto, i controlli sui bagagli registrati avvengono in modo casuale, mentre per gli animali che viaggiano con il passeggero, cioè non occulti, si controlla la validità della documentazione. In aeroporto non controlliamo però solo il rispetto della Convenzione di Washington (quindi che gli animali abbiano la documentazione necessaria e che la specie sia conforme a tale documentazione) ma anche le condizioni di trasporto, regolamentate dalle norme dell’International Air Transport Association (IATA)», spiega il Colonnello Ciotti, Comandante del Gruppo della Guardia di Finanza in Fiumicino. «Queste servono a garantire che il trasporto sia conforme alle necessità della specie: per esempio, i pappagalli e gli uccelli in generale devono viaggiare in casse in cui sia loro possibile spiegare le ali, e con acqua e cibo a disposizione come strategia di tutela del benessere. Se, per esempio in caso di esportazione, il commerciante non si presenta con mezzi di trasporto idonei, l’animale è rimandato al proprietario».

«In generale, in Italia arrivano prevalentemente specie marine, impiegate in acquariologia, e rettili, soprattutto tartarughe provenienti nella maggioranza dei casi dalla Cina, che vengono commerciate come pet. Le tartarughe rappresentano anche i principali animali di esportazione, seguite dagli uccelli (pappagalli e, in misura minore, rapaci impiegati nella falconeria)», spiega il maresciallo Calabrò, Comandante della Squadra CITES del Gruppo della Guardia di Finanza di Fiumicino. «Ma ci capita di controllare anche animali più inusuali: all’inizio di quest’anno, per esempio, sono arrivati a Fiumicino anche 27 “volpi volanti” provenienti dall’Indonesia. Non sempre conosciamo la destinazione di questi animali, ma di solito sono affidati a grossisti che si occupano della vendita in Italia e all’estero».

Posti gli alti numeri degli animali che si presentano, in arrivo o in partenza, all’aeroporto romano, le cifre dei sequestri possono non sembrare allarmanti. Relativamente pochi, per esempio, i sequestri di oggettistica (che non vedono avorio, né corno di rinoceronte, ma diverse conchiglie e coralli, una zanna d’ippopotamo e un caimano nano impagliato). Per quanto riguarda gli animali vivi, invece, tra il 2017 e il 2020 i casi più significativi riguardano un centinaio di tartarughe di specie diverse provenienti dalla Cina, 12 cardinali dal ciuffo rosso di origine sudamericana e due falchi pellegrino di una sottospecie molto pregiata, il Falco peregrinus peregrinator (qui è disponibile un video). Sono esempi ben rappresentativi di alcune delle strategie del commercio illegale.

«Tartarughe e cardinali sono arrivati per essere rivenduti come pet. Gli uni e gli altri erano occultati nelle valigie in stiva (a parte un caso di spedizione commerciale), quindi è anche una fortuna che durante il viaggio aereo il comandante avesse inviato ossigeno nella stiva, perché altrimenti sarebbero morti. Rispetto al bagaglio a mano, il trasporto nel bagaglio da stiva evita che un operatore ai controlli si possa accorgere della presenza degli animali, perché gli scanner ai raggi X impiegati per i bagagli da stiva sono tarati per cercare parti elettroniche e di metallo», spiega il maresciallo Calabrò. «È chiaro, però, che il tipo di animale che si vuole trasportare influenza anche la modalità stessa del trasporto: è ben più difficile nascondere due falchi pellegrino». Eppure, quel particolare sequestro mostra bene quanto possa essere insidioso il traffico illegale.

«La sottospecie F. peregrinus peregrinator è originaria del subcontinente indiano e ha un altissimo valore di mercato, la stima lo indica nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro. Ma non è facile da riconoscere a colpo d’occhio, tanto più che si trattava di due esemplari giovani, ancora privi della livrea adulta. Secondo la documentazione, provenivano dalla Spagna ed erano transitati dagli Emirati Arabi Uniti», racconta Calabrò. «In quel caso, è stato possibile riconoscere l’illecito solo grazie agli anelli di marcaggio contraffatti, che hanno attirato la nostra attenzione perché non corrispondevano a quelli normalmente impiegati in Spagna. Così, lavorando in collaborazione con i Ministeri italiani e spagnoli e con il nostro Comando Generale, abbiamo potuto sequestrare quei due splendidi esemplari. In Italia, avrebbero potuto essere ibridati con il falco pellegrino europeo per avere una prole dai caratteri di maggior valore economico; inoltre, poiché si trattava di un maschio e di una femmina, i loro piccoli avrebbero potuto essere anche venduti puri».

Uno degli aspetti peggiori del traffico illegale di animali vivi è che davvero di rado è possibile reimmetterli in natura. Come OggiScienza aveva raccontato qui, infatti, il rischio sanitario, unito al fatto che in alcuni casi gli animali si sono abituati al contatto con la specie umana e anche alla mancanza, a volte, di adeguati centri di accoglienza nelle regioni di origine, rende spesso difficile o impossibile la procedura. Infatti, spiega il maresciallo, «Anche se nel caso dei falchi speriamo di poter organizzare il ritorno, gli altri animali sono stati affidati a centri di recupero specializzati in specie esotiche».

«La funzione del nostro presidio, soprattutto in un aeroporto così strutturato e con un alto volume di passeggeri come Fiumicino, non è dunque soltanto quella di individuare sempre maggiori quote di questo traffico illegale», conclude il Colonnello Ciotti, «ma anche di assicurare che le condizioni di trasporto degli animali siano garantite a tutela del loro benessere».


Leggi anche: Fauna selvatica, il commercio è maggiore di quanto si credesse

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

Condividi su
Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.