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Bismuto contro il morbo di Lyme

Una sostanza a base di bismuto, mai approvata dalle autorità, è stata impiegata per curare il morbo di Lyme. Si trattò di una truffa dagli esiti tragici.

Rimedi efficaci, che garantiscono la guarigione in poco tempo. Cure miracolose, capaci di dare sollievo là dove tutti gli altri farmaci hanno fallito. Sostanze incisive e potenti, scoperte da poco, con le quali è possibile risolvere il male. L’annuncio della scoperta di un farmaco rivoluzionario può nascondere una natura truffaldina. È il caso del Bismacine, pseudo-farmaco noto anche come cromachina. Si tratta di una sostanza prodotta dalla American Biologics Corporation e che è stata commercializzata come un presunto trattamento alternativo per la malattia di Lyme. L’ingrediente fondamentale della bismacina è il bismuto, un metallo pesante. Il prodotto è stato impiegato negli Stati Uniti a partire dal 2004 e fino al 2006, quando la Food and Drug Administration (FDA) intervenne per bloccarne la diffusione. La bismacina, iniettata nell’organismo, provocò gravissimi effetti collaterali in due pazienti statunitensi. Per uno dei due, le conseguenze furono tali da provocarne la morte. 

Un microscopio, un batterio, una diagnosi

La bismacina è stata inventata nel 2004 da Robert Bradford, a capo del Bradford Research Institute, un ente di ricerca fondato e finanziato dalla American Biologics Corporation, un’azienda di integratori alimentari. Il prodotto, indicato nel registro brevetti come agente antibatterico, non è mai stato incluso nella lista dei farmaci approvati dalla FDA. 

Robert W. Bradford da lungo tempo era impegnato nella ricerca e nello sviluppo di farmaci e dispositivi “alternativi”. Nel 1996 brevettò il Bradford Variable Projection Microscope (BVPM), un particolare microscopio messo in commercio per l’esame di campioni di sangue. La procedura, denominata da Bradford “morfologia del sangue ad alta risoluzione”, avrebbe consentito al medico di “rilevare in modo rapido, semplice ed economico i sottili cambiamenti biochimici che si verificano nell’organismo, aprendo la strada a trattamenti innovativi e al follow-up terapeutico per gestire gli stati di malattia e gli squilibri metabolici, facilitando così la salute ottimale del paziente”.

Secondo gli inventori, lo speciale microscopio permetteva di individuare i vari “microrganismi responsabili di eventuali patologie”, tra cui le spirochete, batteri filamentosi e spiraliformi. Tra i batteri spiraliformi più noti, vi sono quelli del genere Borrelia. Questi vengono trasmessi agli esseri umani e agli animali grazie ad alcuni insetti vettori e possono dare luogo ad alcune malattie infettive. La malattia più comune, in questo contesto, è il morbo di Lyme, un nome che si riferisce al piccolo sobborgo di Lyme, nel Connecticut, dove dal 1975 si registrarono numerosi casi di artrite, soprattutto infantile, preceduta da vari eritemi cutanei. Il primo sintomo, infatti, è la comparsa di un piccolo eritema che, dopo qualche settimana, si estende ed è accompagnato da sintomi come febbre, mal di testa e spossatezza. Successivamente, possono presentarsi alcune complicanze neurologiche e tipici dolori muscolari e ossei. Nel terzo e ultimo stadio la malattia progredisce e diventa cronica, causando danni alla articolazioni, al sistema nervoso, al cuore e ad altri organi. Dall’inizio del millennio, l’azienda di Bradford avviò un percorso di ricerca e produzione di prodotti dedicati alla cura del morbo di Lyme, che sarebbero potuti andare “a braccetto” con il potenziale diagnostico del microscopio BCPM. Oltre alla bismacina, vennero brevettati anche altri due prodotti dalle caratteristiche simili: il Dioxychlor e il Sulfoxime. Si trattava di preparati da somministrare per via endovenosa e che avrebbero garantito, secondo l’azienda produttrice, la completa guarigione. Nella realtà, però, il bismuto comporta potenziali danni molto gravi per l’organismo, fra cui il collasso cardiovascolare e l’insufficienza renale. 

L’uso del bismuto, come componente base di questi pseudo-farmaci contro il morbo di Lyme, aveva una giustificazione “storica”. Secondo Bradford, infatti, il fatto che “la malattia di Lyme sia causata da una spirocheta, la colloca in una categoria di altre malattie note per essere causate da spirochete. Un esempio è la sifilide, flagello dell’Europa per centinaia di anni. All’inizio del 1900, il chimico-fisico tedesco Paul Ehrlich sviluppò un trattamento chimico per la sifilide. Ehrlich scoprì quello che divenne noto come Salvarsan, un composto organico di arsenico altamente tossico se non utilizzato correttamente. In seguito al successo del Salvarsan come trattamento per la sifilide, furono preparati e provati anche altri composti di antimonio e bismuto contro le spirochete”. Nonostante l’apparente similitudine con altre terapie e i risultati presentati da Bradford, né il microscopio BPCM, né i tre prodotti a base di bismuto ricevettero l’approvazione della FDA. Bradford non si arrese e diffuse sempre più i suoi brevetti e le sue scoperte, tra simposi di naturopati e convegni di medicina alternativa. Mese dopo mese, nel corso di questa sua campagna, definì il morbo di Lyme come una delle grandi epidemie del nuovo millennio. A interrompere l’opera di Bradford, fu un evento tragico provocato da uno dei suoi prodotti. 

“Prima o poi doveva succedere”. Effetti collaterali e processi in tribunale

Tra il 2005 e il 2006, due pazienti residenti in Kansas, curati dal medico John Toth, ricevettero infusioni di bismacina. Il primo soffrì di una grave insufficienza reale a seguito del trattamento. La seconda, Beverly Bexner, subì un arresto cardiaco, subito dopo avere ricevuto la seconda iniezione di bismuto. Bexner finì in coma e morì un anno dopo. I familiari denunciarono l’accaduto e il caso giunse, infine, all’attenzione delle autorità. Nel corso del processo che seguì, il medico dichiarò di essersi basato su un documento del Bradford Research Institute. L’articolo descriveva il trattamento con bismacina per via endovenosa per la malattia di Lyme in pazienti in cura presso un ospedale di Tijuana, in Messico. Secondo il giudice che condannò John Toth per grave negligenza, lo studio “mancava di credibilità scientifica su cui un medico può basare un piano di trattamento”. Il dottor John Toth fu dichiarato colpevole di omicidio colposo involontario. Ha scontato la pena di 32 mesi in una prigione del Kansas. Durante il processo, Melanie Bexner, figlia della vittima, ha ricordato come sua madre addirittura non avesse mai avuto la malattia di Lyme.  

Nel 2008, Robert Bradford, fu giudicato per una corposa serie di reati, fra cui la distribuzione illegale di una sostanza rischiosa e mai approvata per quell’uso specifico. Fino a quel momento, Bradford – che mai aveva esercitato la professione di medico – e i suoi soci avevano guadagnato più di 400.000 dollari dalla vendita dei farmaci a base di bismuto. Non era la prima volta che Bradford aveva tentato un’operazione di questo tipo. Nel 1977 era già stato condannato per avere tratto profitto da una cura fasulla contro il cancro. Ci fu un altro caso di uso del bismuto come rimedio al morbo di Lyme che finì nelle aule di tribunale. Nel giugno 2009, Carl E. Haese, proprietario e gestore della Clinica Haese Clinic di Medicina di Cruces, in New Mexico, è stato accusato di frode in relazione alla diagnosi e al trattamento della malattia di Lyme. Haese confessò di aver fatto le sue diagnosi con il microscopio di Bradford e di aver trattato i pazienti con il Dioxychlor e la Sulfoxina .

Alla fine del processo, Bradford e i suoi soci furono giudicati colpevoli. Nel marzo 2011, sono stati condannati a scontare cinque anni di libertà vigilata, e a risarcire le vittime. Fu l’ultimo capitolo di una vicenda tanto singolare quanto tragica. Robert Bradford morì pochi mesi dopo, il 4 agosto 2011.


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Immagine: Pixabay

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Gianluca Liva
Giornalista scientifico freelance.