IN EVIDENZASALUTE

Le 5 cose da sapere sul vaccino per la Covid-19

È sicuro o l’hanno fatto troppo in fretta? Quali sono gli effetti collaterali? Conferisce l’immunità? E quando sarà il mio turno? Le risposte ai dubbi più comuni.

Dal 27 dicembre è cominciata la campagna vaccinale contro la COVID-19. Le prime dosi sono state destinate agli operatori sanitari e ai pazienti delle residenze per anziani, ma nei prossimi mesi l’intera popolazione italiana avrà la possibilità di vaccinarsi, secondo un programma che, pur con mille difficoltà, comincia a prendere forma. La vaccinazione non sarà obbligatoria ma fortemente consigliata, perciò ognuno sarà chiamato a fare una scelta. Abbiamo perciò raccolto le informazioni più importanti sui vaccini contro il coronavirus SARS-CoV-2.

Il vaccino è sicuro?

Nessun farmaco e nessun vaccino può essere considerato sicuro al 100%. Persino l’aspirina ha un lungo elenco di possibili effetti collaterali, come si può verificare leggendo il bugiardino, ma le reazioni avverse sono così rare che quasi nessuno preferisce tenersi il mal di testa o la febbre. Così come pochi rinunciano all’automobile nonostante il rischio di incidenti sia tutt’altro che remoto. A ben pensarci, nessuna attività umana è priva di rischi, perciò la domanda sulla sicurezza dei vaccini è mal posta. Dovremmo piuttosto chiederci se i benefici superino i rischi, e dunque se vaccinarsi sia vantaggioso. Posta in questi termini, e parlando di vaccini in generale, si può rispondere senza esitazione che i vaccini sono tra i farmaci più sicuri e vantaggiosi che la medicina abbia prodotto. Decenni di osservazioni e mostrano che le reazioni avverse più gravi sono molto rare, cosicché i benefici, sia per il singolo sia per la collettività, superano di gran lunga i rischi. Vale la stessa cosa anche per i vaccini per la COVID-19?

Poiché si tratta di nuovi vaccini, per dare una risposta dobbiamo affidarci all’esito delle sperimentazioni cliniche condotte dalle aziende farmaceutiche e sottoposte all’esame delle agenzie che regolano l’approvazione dei farmaci. Per l’Italia sono coinvolte l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Possiamo fidarci del loro operato perché sono istituzioni pubbliche e indipendenti, con esperti altamente specializzati in grado di fare le pulci all’operato delle aziende farmaceutiche. Un vaccino viene approvato soltanto se supera un esame scrupoloso, basato su protocolli di sicurezza consolidati da decenni di esperienza.

Senza contare che neppure le aziende farmaceutiche avrebbero interesse a sorvolare sulla sicurezza: quando il presidente statunitense Donald Trump fece pressioni per avere un vaccino entro le elezioni presidenziali di novembre, nove colossi della farmaceutica rilasciarono una dichiarazione congiunta per ribadire che non avrebbero accettato forzature o accelerazioni nella sperimentazione a scapito degli standard etici, dei principi scientifici e della sicurezza pubblica. Del resto, uno scandalo sul vaccino per la COVID-19, con gli occhi del mondo puntati addosso, provocherebbe un tracollo di fiducia che sul mercato si paga a caro prezzo.

Finora in Europa e negli Stati Uniti sono stati approvati due vaccini, quello prodotto dal consorzio fra la multinazionale farmaceutica Pfizer e la società tedesca di biotecnologie BioNTech, il secondo dall’azienda statunitense Moderna. Gli studi clinici sono stati condotti su alcune decine migliaia di persone (40mila per il vaccino di Pfizer-BioNTech e 30mila per quello di Moderna), consentendo così di classificare gli effetti collaterali più comuni, mentre, come sempre accade, l’eventualità di reazioni avverse più rare o a lungo termine può essere esclusa solo dopo l’approvazione, quando il vaccino è somministrato a milioni di persone. È il punto a cui siamo arrivati: negli Stati Uniti e in Europa sono già state vaccinate oltre 10 milioni di persone e possiamo avere qualche elemento in più per valutare anche l’insorgenza di effetti collaterali meno frequenti.

Quali sono gli effetti collaterali?

I vaccini prodotti da Pfizer-BioNTech e Moderna vengono somministrati con un’iniezione nel braccio, sotto la spalla. Il sintomo più comune è un dolore nella zona dell’iniezione, avvertito dall’80-90% delle persone vaccinate. Altri effetti collaterali piuttosto frequenti (anche più frequenti rispetto ai vaccini tradizionali) sono affaticamento, mal di testa, dolori muscolari o articolari, brividi e febbre. Sono tutti sintomi tipici dell’infiammazione causata dal vaccino, il segnale che il sistema immunitario si è attivato per produrre gli anticorpi destinati a proteggerci da un ben più pericoloso incontro con il coronavirus SARS-CoV-2. Dopo la seconda dose, che stimola una maggiore risposta immunitaria, circa il 15% delle persone vaccinate ha avuto una febbre superiore a 38°C. In un caso su mille si è avuta una paralisi temporanea dei muscoli facciali. Si tratta comunque di effetti collaterali transitori, per lo più destinati a scomparire nel giro di uno o due giorni.

Finora l’unica reazione avversa di una certa gravità non osservata durante la sperimentazione clinica è una forte reazione allergica al vaccino. Per alcune persone è stato necessario l’intervento medico, ma l’incidente si è risolto senza ulteriori conseguenze. Il problema non era emerso in precedenza perché nei trial clinici vengono escluse le persone con allergie a farmaci, alimenti o altre sostanze specifiche. Una forte reazione allergica è un evento raro ma comune a molti vaccini: ecco perché prima di ogni vaccinazione viene chiesto di segnalare eventuali allergie pregresse e l’iniezione avviene sempre sotto controllo medico. Al tempo stesso, poiché per i vaccini contro il coronavirus la reazione allergica è infrequente (si stima un caso su un milione), in genere si procede ugualmente ma si prolunga l’usale periodo di osservazione dopo l’iniezione. Nel complesso, gli effetti avversi dei vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna risultano comunque molto inferiori ai rischi della COVID-19, che può causare sintomi molto gravi e nel mondo ha già tolto la vita a quasi due milioni di persone.

Come è stato possibile sviluppare un vaccino in così poco tempo?

Di solito per sviluppare un vaccino servono diversi anni. Come si è riusciti ad avere un vaccino contro la COVID-19 in appena 11 mesi? Si tratta di un risultato scientifico straordinario che, in estrema sintesi, è stato possibile grazie a tre fattori concomitanti: l’esperienza maturata con la SARS, l’impiego di piattaforme tecnologiche innovative e la disponibilità dei governi a finanziare la ricerca delle aziende farmaceutiche, coprendo i rischi d’impresa e permettendo di comprimere i tempi di approvazione senza rinunciare al rigore della sperimentazione clinica.

Nello sviluppo del vaccino gli scienziati non sono stati costretti a partire da zero ma hanno potuto contare sulle ricerche condotte in precedenza sulla SARS, che è causata da un coronavirus strettamente imparentato con SARS-CoV-2, come ricorda anche il nome. In particolare, i ricercatori conoscevano già l’importanza della proteina spike che consente ai due coronavirus di infettare le cellule umane, scelta fin da subito come bersaglio ideale dei futuri vaccini per la COVID-19.

I vaccini prodotti da Pfizer-Biontech e Moderna, gli unici finora approvati in occidente, hanno inoltre potuto sfruttare una tecnologia innovativa che ha accelerato in modo straordinario la ricerca. Si tratta infatti di vaccini a mRNA, così chiamati perché impiegano una molecola di RNA messaggero sintetizzata in laboratorio per indurre il sistema immunitario a sviluppare gli anticorpi contro SARS-CoV-2. Nello specifico, l’mRNA contiene le istruzioni per produrre la proteina spike del coronavirus, con cui il sistema immunitario si addestra a riconoscere SARS-CoV-2 per impedirgli di infettare le nostre cellule. Il successo dei vaccini per la COVID-19 dimostra che questa tecnologia, sviluppata negli studi sui tumori, ha raggiunto un grado di maturità che appena cinque anni fa sembrava un miraggio: una buona notizia anche per la ricerca di una cura per altre malattie.

L’impiego dell’mRNA non comporta rischi specifici perché si tratta una molecola che si degrada molto facilmente subito dopo l’iniezione, tanto che per riuscire a conservarla integra almeno finché non ha svolto il suo prezioso compito è stato necessario incapsularla in un nanoparticella lipidica, cioè in una minuscola bolla di grasso. Per lo stesso motivo i vaccini devono essere conservati a temperature molto basse: -20°C per quello di Moderna, addirittura -70°C per quello di Pfizer-BioNTech.

Tuttavia, ciò che più ha permesso di avvicinare il traguardo è stata la possibilità di condurre in parallelo, anziché in sequenza come avviene di solito, le diverse fasi dei trial clinici che servono a dimostrare l’efficacia e la sicurezza del vaccino. Nessuna fase è stata saltata, ma gestendo in contemporanea le varie fasi della sperimentazione, e avviando la produzione del vaccino prima di ricevere l’approvazione finale, si è riusciti a guadagnare molto tempo prezioso. Di solito nessuna azienda farmaceutica si azzarderebbe a produrre un vaccino non ancora approvato, perché in caso di fallimento le perdite sarebbero enormi, ma per la COVID-19 gli ingenti fondi elargiti dai governi dei Paesi a economia avanzata hanno permesso di coprire il rischio d’impresa. Negli Stati Uniti, la cosiddetta Operazione Warp Speed voluta dall’amministrazione Trump (nel telefilm Star Trek, era il temine che indicava l’ipervelocità delle astronavi) ha messo sul piatto 10 miliardi di dollari, il più generoso pacchetto di stimolo con soldi pubblici che le aziende farmaceutiche abbiano mai visto.

Quando arriverà il mio turno per vaccinarmi?

Si stima che per raggiungere l’immunità di gregge si debba vaccinare almeno il 70% della popolazione. Per l’Italia equivale a 42 milioni di persone. L’obiettivo è raggiungere questo traguardo entro il prossimo autunno. A conti fatti, poiché servirà un richiamo, servono oltre 80 milioni di dosi da somministrare al ritmo di circa 300 mila dosi al giorno. Si tratta di una sfida senza precedenti e con molte incognite, a partire dalla disponibilità di un numero sufficiente di dosi vaccinali.

L’Unione Europea ha ricevuto il mandato di negoziare con sei aziende produttrici: Pfizer-BioNTech, Moderna, AstraZeneca, Johnson&Johnson, Sanofi e CureVac. I vaccini acquistati saranno suddivisi fra i Paesi membri in percentuale alla popolazione: a noi spetta una quota del 13,5%. Nel complesso, l’Italia ha opzionato 215 milioni di dosi, ma come discusso finora gli unici due vaccini approvati sono quelli di Pfizer-BioNTech e di Moderna, che entro l’anno dovrebbero fornirci dosi sufficienti per vaccinare metà della popolazione italiana.

Ora si attende la conclusione del travagliato iter di approvazione del vaccino sviluppato da AstraZeneca, su cui i governi europei avevano puntato molto, sia perché è stato prodotto interamente in Europa, sia perché si tratta di un vaccino convenzionale meno costoso e più facile da conservare. L’Italia contava di riceverne entro giugno oltre 40 milioni di dosi e ogni ritardo sarebbe un grosso intralcio al piano vaccinale. In primavera è infine atteso il vaccino di Johnson&Johnson, mentre quello di CureVac potrebbe essere approvato in autunno. Il vaccino di Sanofi ha invece subito forti ritardi e non sarà pronto prima del 2022.

In Europa la campagna vaccinale è iniziata con il simbolico Vaccine Day del 27 dicembre, ma nel nostro Paese la vaccinazione di massa dovrebbe partire a marzo, quando saranno operativi 1.500 punti di somministrazione, uno ogni 40mila abitanti (al momento sono poco meno di 300). L’organizzazione spetta invece alle Regioni che procedono in ordine sparso; qui potete trovare la situazione aggiornata.

Un calendario vaccinale dettagliato non è ancora disponibile ma è già possibile farsi un’idea di quando arriverà il nostro turno. La precedenza sarà data alle persone più esposte al contagio e più vulnerabili alla malattia. Si è perciò cominciato dagli operatori sanitari e dal personale e dagli ospiti delle residenze per anziani (RSA); nel complesso si tratta di quasi due milioni di persone che dovrebbero ricevere entrambe le dosi entro febbraio. Sempre a febbraio si comincerà a vaccinare chi ha più di 80 anni (oltre 4 milioni di italiani). Quindi toccherà agli anziani tra 60 e 79 anni (circa 13 milioni) e alle persone che soffrono di più di una patologia cronica pregressa, immunodeficienze o disabilità. Se le scadenze saranno rispettate, tra la primavera e l’estate sanno vaccinati anche gli insegnanti e il personale scolastico, le forze dell’ordine e gli altri operatori dei servizi pubblici essenziali, il personale carcerario e i detenuti. Chi invece non rientra in queste categorie, dovrebbe ricevere il vaccino a partire dall’autunno. La vaccinazione sarà gratuita per tutti.

Per il momento, tuttavia, il vaccino di Moderna non è raccomandato ai minori di 18 anni perché non sono stati condotti abbastanza studi in questa fascia d’età. Per lo stesso motivo, il vaccino di Pfizer-BioNTech non è raccomandato ai minori di 16 anni. Per le donne incinte o che allattano, l’AIFA rimanda a una valutazione del medico l’opportunità di vaccinarsi. Sono comunque previsti ulteriori studi per comprovare la sicurezza dei vaccini anche per queste categorie e al momento non sussistono particolari ragioni per ritenere che saranno escluse. Il vaccino è invece consigliato anche alle persone guarite dalla COVID-19 per prevenire l’eventualità di una reinfezione.

Dopo la vaccinazione si è immuni?

I due vaccini già approvati hanno dimostrato di avere un’efficacia di oltre il 90% nell’impedire i sintomi della COVID-19. Il vaccino, dunque, protegge dalla malattia, ma non sappiamo se previene anche il contagio, cioè se le persone vaccinate possano ugualmente infettarsi e, pur senza sviluppare sintomi, trasmettere il coronavirus ad altri. Avremo una risposta nei prossimi mesi, ma nel frattempo anche chi si è vaccinato dovrà continuare a usare le precauzioni che abbiamo imparato a conoscere: indossare le mascherine, lavarsi spesso le mani, rispettare il distanziamento. La proposta di rilasciare un “patentino di immunità” ai vaccinati, dunque, al momento non sembra opportuna.

Occorre inoltre considerare che deve trascorrere almeno un mese dall’inoculazione della prima dose per essere protetti contro la COVID-19. I primi anticorpi compaiono infatti circa dieci giorni dopo l’iniezione e servono due o tre settimane per raggiungere un’efficacia parziale. Con una seconda dose si ottiene la protezione massima, che per i vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna è pari al 94-95%. Il richiamo è previsto dopo tre settimane per il vaccino di Pfizer-BioNTech e dopo quattro settimane per quello di Moderna. Ecco perché può capitare che qualcuno si ammali poco dopo la prima vaccinazione: l’organismo non ha ancora avuto il tempo di sviluppare gli anticorpi contro SARS-CoV-2.

È infine importante tenere a mente che nessun vaccino garantisce una protezione del 100%. Nel caso dei vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna, l’efficacia massima del 95% implica che almeno il 5% dei vaccinati non risulterà comunque protetto: per saperlo occorre sottoporsi a un test sierologico e verificare la presenza di anticorpi specifici nel sangue.

Un’altra incognita riguarda la durata dell’immunità. Gli anticorpi delle persone guarite dalla COVID-19 sembrano durare almeno 6-9 mesi, ma gli studi condotti sugli altri coronavirus umani lasciano ipotizzare che l’immunità possa persistere per un anno o più. È possibile che si debba rifare periodicamente il vaccino, come avviene per l’antinfluenzale. Sia per le persone guarite che per quelle vaccinate non si può dunque escludere la possibilità di essere contagiati una seconda volta.

Nel caso i vaccini si dimostrino in grado di prevenire anche il contagio, come appare plausibile, avremo la possibilità di raggiungere l’immunità di gregge vaccinando il 70-80% della popolazione. Per i Paesi ad economia avanzata, se non si avranno intoppi nell’approvazione dei vaccini in arrivo e nella produzione di quelli già disponibili, e se la gran parte delle persone sarà disposta a vaccinarsi, il traguardo potrebbe essere raggiunto già entro la fine di quest’anno. Molto più complicata la faccenda a livello globale, visto che la capacità di produzione è limitata e i Paesi più ricchi si sono accaparrati gran parte delle prime dosi disponibili. Secondo gli esperti interpellati dal New York Times, non avremo vaccini sufficienti per tutti prima della fine del 2022 o addirittura prima del 2024. Un problema di non poco conto perché, come spesso si dice in quest’ambito, a salvare vite umane non sono i vaccini, ma le vaccinazioni.


Leggi anche: Come si trasmette il Coronavirus?

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

Condividi su
Giancarlo Sturloni
Sono un giornalista scientifico esperto di comunicazione del rischio. Svolgo attività di comunicazione, formazione e consulenza in campo sanitario e ambientale. Sono co-fondatore del collettivo NatCom - Communicating nature, science & environment di Trento. Insegno Comunicazione del rischio alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, all’Università degli Studi di Udine e all'Università degli Studi dell'Insubria. Sono autore di diversi libri tra cui "La comunicazione del rischio per la salute e per l'ambiente" (Mondadori Università, 2018) e "Il pianeta tossico" (Piano B, 2014). Con Daniela Minerva ha curato il volume "Di cosa parliamo quando parliamo di medicina" (Codice, 2007).