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Anche i pipistrelli risentono del nostro inquinamento acustico

Gli effetti dell’antropofonia, il rumore prodotto dalle attività umane come il traffico o anche la musica, sono ben conosciuti per alcuni animali ma meno studiati per altri. Tra loro ci sono i pipistrelli.

Dal rombo del traffico a quello degli aerei, dal frastuono nei cantieri a quello generato in mare dalle attività di prospezione geofisica, o dal traffico marittimo, abbiamo riempito il pianeta di rumori. L’inquinamento acustico non è un problema da poco per gli animali, umani e non. Ma se per alcune specie conosciamo abbastanza bene gli effetti negativi che causa, per altre invece sono ancora in gran parte ignoti. È il caso dei pipistrelli: pure, dato il loro fondamentale ruolo ecologico, sarebbe importante capire come l’antropofonia, ossia l’insieme dei rumori prodotti dalle attività antropiche, ne influenza il comportamento.

L’inquinamento acustico per gli animali umani e non

L’Organizzazione Mondiale della Sanità riporta che “il rumore è una minaccia sottostimata che può causare diversi problemi di salute, a breve e a lungo termine”. Per quanto riguarda la nostra specie, infatti, si stima che l’inquinamento acustico causi in Europa 12.000 morti premature all’anno e sia legato a problemi cardiovascolari e metabolici, contribuendo ogni anno a 48.000 nuovi casi di ischemia cardiaca. È inoltre legato a disturbi dell’apprendimento nei bambini in età scolastica e disturbi del sonno.

Non crea meno danni agli altri animali per i quali, ancora, gli effetti possono essere sia a breve che a lungo termine, immediati e non: per esempio, noto che nei cetacei può portare a sordità (temporanea o permanente), ma anche a emorragie ed embolie. Oltre ai cetacei per l’ambiente marino, un altro gruppo di animali per il quale sono stati molto studiati gli effetti dell’inquinamento acustico sono gli uccelli per la terraferma – in entrambi i casi, animali per i quali la comunicazione acustica ha un ruolo particolarmente importante. Le vocalizzazioni sono spesso, a seconda della specie, fondamentali nella riproduzione, nella difesa del territorio e anche per difendersi dai predatori, segnalandone la presenza ai conspecifici (e, a volte, ad altri animali che hanno imparato a sfruttare l’avvertimento).

Uccelli e non solo

L’antropofonia può facilmente mascherare questi segnali, portando a diversi effetti. Per quanto riguarda gli uccelli, per esempio, un articolo pubblicato alla fine del 2020 su Nature mostrava come il rumore potesse ritardare la nidificazione, in particolare per le specie il cui canto è a bassa frequenza, perché viene più facilmente mascherato dai rumori antropogenici; un altro lavoro pubblicato a inizio febbraio, ha dimostrato che il rumore del traffico riduce le performance cognitive (come la memoria spaziale e l’apprendimento sociale) del diamante mandarino. L’impatto negativo dell’inquinamento acustico si verifica anche a livello molecolare e cellulare: gli studi hanno mostrato che è collegato a un più rapido accorciamento dei telomeri in alcuni uccelli, un aspetto a sua volta correlato all’invecchiamento cellulare.

Naturalmente, il problema non riguarda solo gli uccelli e i cetacei. Una recente review apparsa su Science ha raccolto i dati sugli effetti negativi in ambiente marino, non solo per i cetacei ma anche per i pesci e gli invertebrati del mare. Una meta-analisi del 2019 ha mostrato che coinvolge molte specie tra i diversi taxa, dagli anfibi ai rettili, dai pesci agli artropodi; e, come spiega l’ecologo Andy Radford in un articolo sul Guardian dedicato alla pubblicazione, anche le piante possono esserne influenzate, se per esempio gli impollinatori si allontanano per sfuggire ai rumori. Ma non per tutte le specie sappiamo quanto e come pesa l’antropofonia. Tra gli effetti meno conosciuti c’è quello sui pipistrelli.

E i pipistrelli?

«Paradossalmente, conosciamo meglio la risposta dei chirotteri ai suoni prodotti da altri animali che quella ai suoni di origine antropica. La mia impressione è che questo dipenda dal fatto che la maggior parte dei pipistrelli usa gli ultrasuoni per esplorare l’ambiente circostante, e questo può aver portato i ricercatori a preoccuparsi un po’ meno del fatto che risentono dell’inquinamento acustico prodotto dall’uomo, che si manifesta spesso nel range di frequenze udibile», commenta a OggiScienza Danilo Russo, professore di ecologia all’Università di Napoli. «Ma, in realtà, anche questi animali risentono dell’inquinamento acustico, sia perché parte dei rumori antropogenici arriva a invadere l’ultrasonoro, sia perché, probabilmente, parte dei richiami sociali che i pipistrelli producono per la comunicazione (ad esempio quando competono per le prede o nella ricerca del partner riproduttivo) si attesta a frequenze più basse, tali da rasentare quelle che il nostro orecchio è in grado di udire».

I pipistrelli, tra i mammiferi più ricchi di specie del pianeta, hanno un ruolo fondamentale per gli ecosistemi. Per esempio, i pipistrelli (comprese le specie più “comuni”, alle quali quindi più di rado sono diretti gli sforzi di conservazione) possono essere fondamentali nel controllo degli insetti nocivi per le coltivazioni. Molti pipistrelli sono poi impollinatori: il Bat Conservation Trust riporta che oltre 500 specie vegetali dipendono da loro per l’impollinazione, e a differenza degli insetti possono trasportare ricchi carichi di polline a grandi distanze. Ancora, alcune specie sono importanti dispersori di semi. È dunque importante cercare di comprendere a quali minacce sono sottoposti, inquinamento acustico compreso.

«Tra i pochi lavori pubblicati finora, alcuni si sono concentrati sul rumore prodotto dalle autovetture: sono stati condotti esperimenti di playback in cui agli animali sono stati somministrati rumori preregistrati del traffico per osservarne le reazioni», spiega Russo. In uno studio, l’esperimento si è concentrato sul vespertilio maggiore, una specie insettivora che caccia non con l’ecolocalizzazione ma ascoltando passivamente il rumore prodotto dagli insetti (soprattutto coleotteri) al suolo: in pratica, sorvola a bassa quota un prato tenendo le orecchie puntate verso il basso e percepisce il movimento degli insetti, senza usare il biosonar.

«Poco sorprendentemente, si è osservato che il rumore del traffico soverchia quello degli insetti, riducendo l’efficienza di foraggiamento dei pipistrelli», continua il ricercatore. Anche se il risultato dell’esperimento non è inatteso, rappresenta comunque una delle prime dimostrazioni di come l’inquinamento acustico possa direttamente impattare il benessere della specie. Un lavoro più recente, il primo condotto sul campo, ha potuto poi mostrare che l’antropofonia è in grado di influenzare l’attività di volo soprattutto a causa di rumori (nel caso dell’esperimento, legati al traffico autoveicolare) che ricadono nel range di frequenze udibile, quindi tali da non sovrapporsi con i segnali ultrasonori del “biosonar” dei pipistrelli.

Una musica inquinante

Ma non c’è solo il traffico da considerare. Infatti, tra gli inquinanti acustici può rientrare anche la musica. «Un problema generale legato all’inquinamento acustico da musica è che quest’ultima è vista come occasionale, transitoria, e quindi priva di impatto sulla fauna», spiega Russo. «Ma questo, secondo me, è un errore di prospettiva abbastanza forte per una serie di ragioni. Innanzitutto, dobbiamo considerare quanto stiano diventando via via più popolari i concerti in aree naturali. Inoltre, anche gli eventi occasionali possono essere deleteri in una fase critica del ciclo biologico di una specie, o in un’area particolarmente sensibile».

Per questa ragione, Russo e i suoi colleghi hanno cercato di capire come e se la musica influenza il comportamento dei pipistrelli. I risultati sono stati recentemente pubblicati su Mammalian Biology. «Abbiamo lavorato nel deserto del Negev una regione molto antropizzata per essere un deserto e dove, peraltro, pare si tengano anche rave non autorizzati», racconta Russo. «L’esperimento che abbiamo condotto era semplice: abbiamo usato un medley di musica pop israeliana e l’abbiamo somministrato in siti di abbeveraggio e alimentazione dei pipistrelli. A seguito della somministrazione c’era una fase di ascolto in cui misuravamo l’attività degli animali, confrontando ciò che succedeva prima e dopo».

Bere, per i pipistrelli, non è una faccenda semplice. Per quelli studiati in questo lavoro, si tratta di sorvolare la superficie dell’acqua, usando il biosonar per localizzarla; quindi, l’animale deve “prendere la mira” per arrivare all’acqua, continuando a volare. Si tratta di una manovra complicata, che richiede una certa agilità e molta precisione, perché, se si bagna, il pipistrello non riesce più a volare (e nell’attesa di asciugarsi, ovviamente, rischia di finire predato). Cosa succede, allora, se la musica si mette in mezzo a questa operazione? «Ciò che abbiamo osservato è che, dopo la somministrazione, i tentativi di abbeveraggio aumentano, ma si fanno più frequenti anche gli errori, cioè le volte in cui il pipistrello non riesce a bere», spiega Russo. «È come se la musica avesse un effetto distraente e li lasciasse storditi. Inoltre, abbiamo anche verificato che interferisce con l’attività di caccia, probabilmente sempre attraverso un’azione distraente».

Ma, soprattutto, non sembra che ci sia un effetto di abituazione. Anzi, i ricercatori hanno osservato un effetto cumulativo: notte dopo notte, l’essere esposti alla musica rende sempre più difficile ai pipistrelli bere e cacciare. L’inquinamento acustico, rispetto per esempio all’inquinamento atmosferico, ha il grande vantaggio di non permanere nell’ambiente. Semplicemente, eliminata la fonte del rumore antropico, possono nuovamente essere percepiti i suoni naturali. Nell’Unione Europea, il principale strumento per la valutazione e il monitoraggio dell’inquinamento acustico è l’Environmental Noise Directive, del 2002, e la diminuzione del rumore è tra gli obiettivi del Settimo programma di azione ambientale, che guidava le politiche ambientali europee fino al 2020. L’attenzione è rivolta soprattutto al benessere umano, ma è indubbio che della riduzione dell’antropofonia non sarebbe un beneficio solo per la nostra specie. Intanto, per alcuni animali, tra cui appunti i pipistrelli, non abbiamo ancora molti dati sull’impatto del rumore: sarà importante continuare la ricerca in questo campo per stabilire le migliori strategie di tutela.


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Photo by Paige Cody on Unsplash

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.