LIBRI

“Vivere mille vite. Storia familiare dei videogiochi” di Lorenzo Fantoni

Dalla storia dell'industria videoludica ad alcuni dei titoli più noti, un libro ci racconta i videogiochi in modo coinvolgente, contestualizzato e informale. E sì, dopo la lettura vi verrà voglia di giocare.

La prima cosa che ho apprezzato è stato il modo chiaro in cui l’autore propone di leggere i vari capitoli seguendo la normale successione (modalità Vanilla) o con dei percorsi prestabiliti che, come in un libro-game, sono pensati per diversi tipi di lettori. Ad esempio il gamer rodato o la gamer nostalgica, il genitore di un giovane giocatore o giocatrice che vuole capirne di più, l’amante del multiplayer. La seconda è che, spazi dedicati a parte, è raro sentir parlare di videogiochi in modo coinvolgente, contestualizzato e informale ma documentato tutto insieme. Sto parlando di “Vivere mille vite. Storia familiare dei videogiochi” di Lorenzo Fantoni (effequ 2020, 288 pagine, 15 €) che ho letto per intero in una giornata di assoluto riposo nella quale il piano A era giocare a World of Warcraft – cui peraltro è dedicato uno dei capitoli del libro -. E ho fatto bene a cambiare piano, perché è un gran bel libro. 

A volte viene voglia di tenersi lontani dall’argomento videogiochi, se raccontato dai media mainstream, perché la discussione continua a partire dai superficiali quanto fanno male (con ipotetici allarmi lanciati, senza pensare alle conseguenze, da figure anche autorevoli) che vengono gradualmente spenti da chi con cura, pazienza e studi alla mano ha ancora voglia di farlo. Perché sarebbe anche il caso di lasciar stare gli stereotipi vecchi di decenni e concentrarsi invece su quanto possano essere educativi, intrattenitivi e curati nella storia, nelle grafiche, nella musica. 

Cambiare punto di vista

Vi ricordate di Ice Flows, per mostrare gli effetti del cambiamento climatico? O di quando L’FDA ha approvato il primo videogioco messo in vendita e prescritto come un medicinale? O di come i videogiochi possano essere un medium perfetto per raccontare – e mostrare – i problemi di salute mentale? 

Proprio perché serve un cambio di vedute, senza cadere nella trappola del metterci a “giustificare” il perché il gaming sia un passatempo non meno serio o valido del leggere un libro o godersi un film (alzi la mano chi gioca e non si è mai sentito giudicato per quelle ore durante le quali avrebbe potuto leggere un buon libro o uscire che è una così bella giornata fuori), “Vivere mille vite” è una lettura davvero piacevole. Potete immaginare l’autore come un amico al quale avete chiesto “parlami dei videogiochi”, per poi mettervi seduti ad ascoltarlo mentre passa dai suoi ricordi d’infanzia alle tappe miliari dell’industria videoludica – con decenni assai intensi, successioni di nuove tecnologie, giochi di potere, scelte commerciali azzardate e simpatici Easter egg mentre il ruolo degli sviluppatori cambiava -. E questo excursus storico sulla storia dei videogiochi è scritto in maniera così efficace e ben riassunta da riuscire a incuriosirvi anche se della storia di Nintendo o Atari pensavate non ve ne importasse nulla, o se le dinamiche dei cambiamenti tecnologici vi interessano fino a un certo punto.

E se a leggere è un genitore, magari digiuno di videogiochi e preoccupato dal fatto che un figlio o figlia stiano prendendo la cittadinanza su Minecraft, il flusso di pensieri è altrettanto adeguato e centra gli obiettivi. L’autore racconta di come l’impersonare un cavaliere nei tornei medievali, giocando, corresse tranquillamente a fianco del suo leggere e godersi Ivanhoe. Di come la scelta di giocare un nuovo impero a Civilization potesse corrispondere alla comparsa, in casa sua, di un apprezzatissimo libro che ne raccontava la storia. Ma anche di come i videogiochi siano stati un rifugio, ad esempio dal bullismo subito a scuola, o un modo per elaborare le proprie emozioni e vissuto tramite le scelte compiute dal personaggio impersonato.

O ancora, siano legati in modi diretti e indiretti a momenti di tutta la vita, con esperienze che non si “esauriscono” nelle ore di gioco. Un esempio, assolutamente di parte? La colonna sonora della saga di Final Fantasy è talmente amata da essere stata confezionata in una splendida serie di concerti, Distant Worlds, che in tempi normali girano il mondo e fanno il tutto esaurito. Uno dei miei ricordi più belli degli ultimi anni è uno di questi concerti, nel 2019 a Milano, dove un tendone pieno di appassionati si lasciava trasportare dalla nostalgia con gli occhi lucidi – me inclusa – ascoltando le colonne sonore dei FF più amati

(Se qualcuno se lo stava chiedendo la risposta è sì, arrivato l’Aerith’s theme abbiamo pianto tutti)

Come si gioca, chi è che gioca

C’è poco da fare: giocare è spesso fuggire dalla realtà, ma non più di quanto lo sia fare binge-watching di serie tv o divorare montagne di libri. Eppure ancora oggi, come non manca di ricordare anche Fantoni, otterrete reazioni ben diverse dicendo di aver passato il fine settimana piovoso a guardare tutte le stagioni del nuovo show preferito rispetto a quelle che seguirebbero un “ho nerdato tutto il week end”. Reazioni che hanno imparato ben poco da quel glorioso periodo nel quale eravamo tutti invasi da notifiche di giochi online come Farmville, mentre chi le spammava ai propri contatti di Facebook a tutte le ore del giorno non si rendeva conto, imperterrito, di stare in effetti giocando ai videogiochi.  

Ma è dopo aver letto un libro come questo che chi ancora cova stereotipi sui videogiochi potrebbe ricredersi. Ed esattamente come accade quando ci si trova tra cinefili o amanti dei libri, molti dei ricordi dell’autore faranno risalire – soprattutto nei nati intorno agli anni ‘80 – memorie di momenti analoghi. Ad esempio di quando è arrivata a casa la prima console, di come i giochi del Game Boy sembrassero piccoli miracoli di grafica, degli amici conosciuti in sala giochi oppure online e con i quali magari si è ancora in contatto, decenni dopo. 

Perché sì, contro molti degli stereotipi che vedono il gaming come attività solitaria, alienante e che esclude dai rapporti sociali (non che ci sia qualcosa di male nello stare bene da soli o scegliere di ridurre la socialità per un po’, a volte) che si trattasse delle sabbiose e affollate sale giochi delle città di mare durante l’estate o dei canali Discord di oggi, giocare può essere un’attività tutto fuorché solitaria. E questo è un altro dei temi che Fantoni esplora molto bene richiamando i suoi ricordi di ore trascorse di fronte ai cabinati, anche solo a guardare giocare gli altri quando i gettoni erano finiti. O includendoci in modo spontaneo e gentile in momenti molto personali come il funerale del padre, al quale hanno partecipato tutti gli amici che – gamer anche lui – aveva conosciuto giocando a Travian 

Personalmente, con la pandemia che ha fatto venir meno molte occasioni di socialità, buona parte delle persone nuove che ho conosciuto nel 2020 la ho conosciuta proprio giocando. E ne sono piuttosto grata. 

Giocatrici e giocatori

A fianco, sempre restando nella componente sociale del gaming, Fantoni introduce un altro tema ancora poco trattato e piuttosto importante: in quelle sale giochi di una volta (così come, inizialmente, nell’idea più generale di chi è un gamer) latitavano bambine, ragazze e donne, perché giocare è stato a lungo qualcosa di considerato maschile. Basta pensare che Toru Iwatani, creatore di Pac-man, intervistato dall’autore ha raccontato di aver ideato il famosissimo gioco per portare più donne nelle sale giochi, luoghi “brutti, sporchi e puzzolenti” che la loro presenza avrebbe reso migliori. Per questo doveva essere un gioco carino con una meccanica semplice, “priva di tasti e mosse complicate” [un alto livello di fiducia nelle skill delle giocatrici!]. 

Le cose fortunatamente cambiano, ma la strada da fare è ancora lunga. A oggi molti ancora si straniscono di fronte a una ragazza che gioca ai videogiochi – mi è capitato di fare raid su World of Warcraft in un gruppo Discord dove, su oltre 20 persone collegate, ero l’unica donna – e la rappresentazione femminile tra i personaggi giocabili è solo un po’ migliorata negli anni. Non solo nei termini di aver abbandonato le ridicole armature formato bikini, proprio nel senso di quante donne è possibile impersonare. Nel frattempo i dati a disposizione (ad esempio per Stati Uniti, Asia o America del Sud) ci dicono che negli anni il numero di ragazze che gioca è in aumento; i dati per l’Italia del 2019 pubblicati recentemente da Statista – vedremo poi, dopo il Covid, come saranno quelli sul 2020 – ci dicono che il 39% della popolazione italiana gioca in una qualche declinazione e tra loro il 47% sono donne e il 53% uomini (sono solo due le possibilità di genere contemplate). 

Arrivati alla fine del libro, troverete una piccola videoludografia di giochi selezionati dall’autore da esplorare se vi avvicinate al gaming per la prima volta, o da recuperare se già giocate ma ve li siete persi. Nel secondo caso, sarà inevitabile il piccolo momento di gioia nel trovare qualcosa che già conoscete e avete amato alla follia – nel mio caso, To the moon e DivinityOriginal Sin II -. Quindi buona lettura, e, inevitabilmente, buon gioco a seguire! 


Leggi anche: Nell’abisso. Storie di menti spezzate

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".