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Proxima Centauri, identikit del sistema stellare più vicino alla Terra

I pianeti in orbita attorno alla nana rossa potrebbero davvero sostenere la vita? Il misterioso segnale rilevato in direzione di Proxima Centauri è veramente alieno?

Nel 2016, l’Osservatorio di La Silla, in Cile, individuò Proxima b, il pianeta extrasolare più vicino a noi ad oggi conosciuto. Orbita nella fascia abitabile della propria stella, Proxima Centauri, ma potrebbe non essere così ospitale. Osservazioni effettuate nello stesso periodo, registrarono un bagliore intenso proveniente dalla nana rossa che, addirittura, la rese brevemente visibile ad occhio nudo. Un improvviso e colossale aumento della luminosità che non sembra essere di buon auspicio per i pianeti nelle sue vicinanze. Ciò nonostante il sistema Proxima Centauri rimane uno dei più intriganti da studiare e tra i più ambiti per la futura esplorazione extrasolare.

Vita da nana rossa

Proxima Centauri è situata a 4,2 anni luce da noi, in direzione della costellazione del Centauro. Fa parte del sistema Alfa Centauri, un sistema triplo composto da una nana gialla e una nana arancione molto vicine fra loro e da Proxima. Questa è una nana rossa, il tipo stellare probabilmente più diffuso nella Via Lattea: poco luminosa e relativamente fredda. Ha poco più dell’età del Sole (circa 4,8 miliardi di anni) ma un diametro che è solo il 15% di quello solare e una temperatura superficiale di “soli” 2725 gradi Celsius circa (contro i 5725 gradi Celsius della nostra stella). Di conseguenza, la sua zona abitabile (o Goldilocks zone), ossia la fascia circumstellare in cui un pianeta potrebbe avere acqua allo stato liquido in superficie, è molto vicina. Si trova a circa un ventesimo della distanza della Terra dal Sole. Ad esempio, Proxima b, che con un periodo orbitale di 11,2 giorni terrestri si trova all’interno di questa zona, sarebbe un mondo bollente attorno al Sole. Purtroppo, però, le nane rosse sono note per manifestare improvvisi e casuali brillamenti, anche molto potenti.

I flare (o brillamenti) sono violente eruzioni di materia che esplodono dalla fotosfera di una stella, rilasciando grandi quantità di energia. Spesso sono accompagnati da grandi espulsioni di plasma note come CME (Coronal Mass Ejection). Questi elementi determinano la meteorologia spaziale del sistema ed hanno un ruolo fondamentale sull’abitabilità di un pianeta e l’eventuale evoluzione della vita su di esso, come noi la conosciamo e la intendiamo. In condizioni estreme, i super-brillamenti potrebbero spazzare via un’atmosfera planetaria e sferzare pesantemente una magnetosfera, spingendola indietro fino a lasciare la superficie del pianeta esposta a radiazioni mortali.

In base alle statistiche si stima che Proxima Centauri produca brillamenti di questa portata almeno cinque volte all’anno. Evryscope, una serie di piccoli telescopi che osserva le stelle nell’emisfero meridionale, rilevò un superflare che rese Proxima 70 volte più luminosa nel 2016. Da allora, i telescopi, puntati verso la stella, hanno registrato i capricci della nana rossa in più occasioni, accompagnati da emissioni radio, esplosioni e ronzii a testimonianza di un ambiente meteorologico spaziale piuttosto violento e turbolento.

Proxima b

È un pianeta probabilmente roccioso la cui massa minima recentemente rivalutata potrebbe essere solo 1,17 masse terrestri. Tale valore, insieme ad altri stimati, lo porta in sesta posizione nella lista degli esopianeti che hanno maggiori probabilità di avere una composizione rocciosa e mantenere l’acqua liquida in superficie, con indice ESI (Earth Similarity Index) pari a 0.87. Questo valore classifica i mondi alieni in base alla loro somiglianza con la Terra, in funzione del raggio, della densità, della velocità di fuga e della temperatura ma non tiene conto di tutti i fattori che potrebbero influenzarne l’abitabilità. In ogni caso, sappiamo ancora poco di Proxima b: la sua inclinazione orbitale non è nota, così come il suo raggio esatto e, quindi, anche la massa potrebbe variare notevolmente. Ciò significa che il pianeta potrebbe essere roccioso come la Terra, oppure ghiacciato come Nettuno con una spessa atmosfera di idrogeno ed elio.

Sebbene Proxima b sia circa 20 volte più vicino alla sua stella di quanto lo sia la Terra al Sole, riceve un’energia comparabile. Ciò significa che la temperatura superficiale potrebbe favorire la presenza di acqua allo stato liquido (ammesso ce ne sia) e sostenere lo sviluppo della vita. Tuttavia, è probabile che il pianeta sia bloccato in rotazione sincrona a causa dell’orbita così stretta attorno alla sua stella. Vale a dire che mostra sempre la stessa faccia a Proxima, come la Luna fa con la Terra. Da questa caratteristica potrebbe scaturire un’importante dicotomia tra i due emisferi mentre l’intero pianeta viene bombardato dall’attività energetica della nana rossa, ricevendo un quantitativo stimato di raggi X circa 400 volte maggiore di quello che riceve la Terra dal Sole.

«C’è un’atmosfera che protegge il pianeta da questi raggi mortali?» si chiede Christophe Lovis, ricercatore del dipartimento di astronomia dell’Università di Ginevra membro del team che ha elaborato i recenti dati ESPRESSO, lo spettrografo installato sul Very Large Telescope in Cile. «E se questa atmosfera esiste, contiene gli elementi chimici che favoriscono lo sviluppo della vita (ossigeno, per esempio)? Da quanto tempo esistono queste condizioni favorevoli?» I ricercatori ritengono probabile che un’atmosfera non sopravvivrebbe al vivace carattere di Proxima. Sul nostro pianeta, lo strato di ozono assorbe le radiazioni ultraviolette dannose ma alcune simulazioni hanno mostrato che su Proxima b, ipotizzando che sia privo di un campo magnetico, il 90% dell’ozono atmosferico andrebbe perso solo dopo cinque anni di attività stellare. Senza ozono, la superficie di Proxima b sarebbe priva di protezione contro i raggi UV. Durante i superflare come quelli osservati, la dose di radiazioni senza l’ozono protettivo sarebbe 65 volte maggiore di quella necessaria per uccidere il 90% degli organismi più resistenti ai raggi ultravioletti sulla Terra.

In ogni caso, il sistema di Proxima Centauri è ancora tutto da esplorare: Proxima b potrebbe non essere solo. Diversi indizi indicano la presenza di un secondo pianeta, Proxima c, forse un gigante gassoso con un sistema di anelli. Ma per ora rimane ancora un candidato.

Il segnale alieno candidato BLC-1

Il 29 aprile 2019, il radiotelescopio Parkes in Australia iniziò a raccogliere dati su Proxima Centauri, per studiare le eruzioni stellari della nana rossa.
L’indagine durò 26 ore. Nell’arco di una settimana, con una tecnica chiamata “nodding“, alternava sessioni da 30 minuti su Proxima ad altrettante sessioni di calibrazione puntando altrove, verso un quasar distante. Quei dati vennero utilizzati anche per la ricerca SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) nell’ambito del progetto Breakthrough Listen, una costola della collaborazione internazionale Breakthrough Initiatives nata nel 2015 e finanziata dai miliardari Julia e Yuri Milner. Nel luglio 2020, il compito venne affidato al giovane stagista Shane Smith che, ad ottobre, individuò un insolito segnale: un singolo tono puro a una frequenza di 982,002 MHz.

Anche se al momento non è ancora uscito alcun paper con tutti i dettagli, sembra che il segnale sia stato rilevato per cinque volte ed abbia superato tutti i controlli preliminari degli algoritmi di selezione, tanto da poter essere classificato come “Breakthrough Listen Candidate 1” o BLC-1.

Questa notizia è trapelata inaspettatamente attraverso i media da un informatore ignoto, prima che il team potesse condurre tutte le analisi del caso e presentare i propri risultati. Per cui, tutto quello che possiamo fare, per ora, è mettere insieme i pezzi del puzzle e le dichiarazioni rilasciate.
Per esempio, oltre alla frequenza, sappiamo che il segnale è stato rilevato per circa tre ore in 5 osservazioni (non consecutive) da mezzora in direzione di Proxima (mentre non è stato rilevato quando il radiotelescopio puntava altrove); che ha un tasso di deriva positivo e che non sembra modulato. Proviamo a vedere cosa tutto questo dovrebbe significare.

Prima di tutto, il team sembra piuttosto convinto che il segnale sia artificiale e che si tratti di un’interferenza terrestre ancora non identificata. D’altra parte, i segnali radio naturali provenienti dallo spazio non sono mai così concentrati in frequenza. Il direttore esecutivo del progetto Breakthrough, Pete Worden, aveva dichiarato: «La cosa più probabile è che sia di origine umana. E, quando dico molto probabile, intendo al 99,9%». Inoltre, va sottolineato che alla banda L, la porzione dello spettro elettromagnetico utilizzata per queste osservazioni, Parkes ha un’ampiezza del fascio di 16 minuti d’arco (circa la metà della larghezza della Luna piena). Per cui, se BLC-1 fosse stato realmente extraterrestre, sarebbe potuto provenire da Proxima Centauri o da qualsiasi altra sorgente più lontana all’interno di quell’area.
Comunque, «La cosa strana è che Proxima è molto a sud, lontano da dove ci si aspetterebbe di trovare satelliti geosincroni. Qualsiasi satellite LEO non dovrebbe essere in quel raggio. È anche molto a sud dell’eclittica, escludendo la maggior parte delle sonde interplanetarie», aveva dichiarato Jason Wright, professore di astronomia alla Penn State University, non direttamente coinvolto nello studio.
I 982.002 MHz si trovano in una parte relativamente inutilizzata dello spettro radio, dove non c’è molta interferenza in radiofrequenza. Tecnicamente questa frequenza si trova al limite dell’UHF (frequenza ultra alta) perché è minore di 1 GHz ed il fatto che sia molto prossima ad un valore intero lascia presumere che sia di origine terrestre e che la deviazione sia dovuta ad un’oscillazione imperfetta di un’apparecchiatura costruita dall’uomo.

Una tecnofirma extraterrestre?

Per quanto riguarda il tasso di deriva positivo, invece, la situazione è meno chiara perché questa è una caratteristica che non si adatta perfettamente alle aspettative per una tecnofirma extraterrestre. Si tratta di un leggero cambio in frequenza ma nella “direzione sbagliata”. «Ci saremmo aspettati che il segnale scendesse di frequenza come un trombone. Quello che vediamo invece è come un fischio che aumenta in frequenza», aveva commentato Sofia Sheikh, della Pennsylvania State University, ora coinvolta nell’analisi dei dati. Questo dovrebbe significare che il segnale, quantomeno, non proveniva da una postazione fissa sulla Terra (e ciò lo rende immediatamente extraterrestre per definizione ma non necessariamente alieno). Wright ci ha scritto via mail «Se un segnale è costante in frequenza nello spazio. allora lo rileviamo come un tono decrescente. Questo è lo stesso motivo per cui un motore di un’auto veloce e rumoroso in una pista suona acuto mentre si avvicina, fa un caratteristico calo di intonazione mentre passa, quindi è basso mentre si allontana. È l’effetto Doppler». Continuando, «Il fatto che vada alla deriva è coerente con un’origine non terrestre. Il fatto che vada alla deriva più di quanto ci si aspettasse, tenendo in considerazione il solo movimento di Parkes, significa che la sorgente sta “cinguettando” il segnale per aumentare di frequenza, o che non sta correggendo per la propria accelerazione e sta accelerando verso la Terra (non direttamente verso la Terra ma solo che ci troviamo nello stesso emisfero celeste della direzione di accelerazione)».

«Non credo che la provenienza da Proxima sia presa seriamente in considerazione. Ma in ogni caso, una frequenza in aumento potrebbe provenire dal movimento di una sorgente (ad esempio, il passo del motore di un’auto da corsa aumenta mentre gira una svolta per fare un altro passaggio), o da una fonte che sta aumentando intrinsecamente di frequenza», ha aggiunto. Tuttavia, «La spiegazione più probabile è che si tratta di una sorgente sulla superficie terrestre la cui frequenza sta, per qualsiasi motivo, cambiando molto lentamente». Il fatto che il segnale non ha traccia di modulazione indica che non contiene alcuna informazione. In definitiva, BLC-1 è lungi dall’essere contrassegnato come segnale alieno e finora il team si è mostrato estremamente cauto.

In una recente intervista, Andrew Siemion, ricercatore principale del progetto Breakthrough e direttore del Berkeley SETI Research Center, ha dichiarato: «Siamo sicuri al 99% che l’origine ultima di BLC-1 risieda nella tecnologia umana. Ma non abbiamo ancora determinato in modo definitivo la sua origine e questo ha spinto verso una collaborazione internazionale per la ricerca della fonte. BLC-1 è stato rilevato solo una volta e segna la prima volta nella mia carriera di ricerca in cui è stato necessario condurre un’indagine così approfondita e prolungata su un singolo segnale. Rileviamo molti, molti segnali al SETI. Gli algoritmi che impieghiamo sono squisitamente sensibili e siamo sempre stati in grado di escludere l’interferenza umana. Quindi, in questo senso BLC1 è unico ed è incredibilmente eccitante per il nostro team».

Accanto alle analisi puramente tecniche dei dati si insinua lo spietato calcolo delle probabilità: che possibilità ci sono che ci sia vita intelligente proprio nel sistema stellare più vicino a noi?

Ancora tutto da scoprire

Il sistema planetario di Proxima Centauri e, più in generale, quello stellare di Alfa Centauri hanno ispirato diversi progetti. Tra i più noti, il Breakthrough Starshot, anch’esso nato dalla Breakthrough Initiatives. Starshot è un progetto di ricerca e ingegneria annunciato nel 2016 e nato per sviluppare una flotta di sonde interstellari a vela e una propulsione laser. Fu fondato da Yuri Milner, Stephen Hawking e Mark Zuckerberg. Nel 2017, anche la NASA propose una sonda per cercare biofirme sui pianeti attorno alle stelle del sistema Alfa Centauri. Il lancio, avvenendo entro il 2069, celebrerebbe il 100° anniversario della missione Apollo 11. Ma se da una parte c’è chi spera di poter intraprendere un viaggio interstellare per controllare “di persona” il sistema planetario più vicino a noi, dall’altro se si vuole rimanere con i piedi per Terra (è proprio il caso di dirlo!) bisogna sperare nei telescopi e negli osservatori di prossima generazione. Tuttavia, non sarà facile carpire i segreti di Proxima b, neppure per il potente telescopio spaziale James Webb (JWST) che prenderà il posto dello storico Hubble.

Chandler Lynn del Goddard Space Flight Center della NASA ha scritto ad OggiScienza:  « Il pianeta (Proxima Centauri b) è stato scoperto tramite la tecnica della velocità radiale nel 2016. Ciò significa che gli astronomi sono stati in grado di rilevare l’oscillazione indotta sul movimento della stella dal pianeta e quindi, di misurare la sua massa. Da allora, hanno cercato i transiti del pianeta, per vedere se sarebbe passato davanti alla sua stella dal nostro punto di vista. Ma non ne è stata trovata alcuna prova, il che significa che non siamo in grado di misurare le sue dimensioni. Per cui, con JWST [nato per l’astronomia a raggi infrarossi] non potremo usare tecniche standard per studiare l’atmosfera di Proxima Centauri b mentre transita davanti alla sua stella ospite, semplicemente perché il pianeta non transita.

Il JWST sarà in grado di acquisire immagini dirette dei pianeti attorno alle stelle vicine; tuttavia, Proxima Centauri b orbita così vicino alla sua stella che ci aspettiamo che la luce riflessa o emessa dalla superficie e dall’atmosfera del pianeta appaia completamente miscelata con la luce della stella dal nostro punto di vista. Quindi, in breve, dovremo pensare a tecniche un po’ meno standard per studiare Proxima Centauri b con JWST. Ad esempio, potremmo tentare di utilizzare JWST per cercare variazioni di luminosità del sistema planetario che sarebbero indicative della variazione termica (calore) emessa dall’atmosfera del pianeta. Il segnale atteso da tali variazioni è estremamente piccolo, quindi sarebbe un’osservazione impegnativa da fare. Potremmo anche usare JWST per cercare e misurare le proprietà dei brillamenti stellari e di altre attività di Proxima. L’attività stellare ha un impatto sull’atmosfera di un pianeta, quindi sarebbe un modo indiretto ma importante per studiare ancora Proxima b.».


Leggi anche: Dentro e fuori il Sole, indizi per prevedere un brillamento solare

Immagine e LicenzaY. Beletsky (LCO), ESOPale Red Dot Team

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Elisabetta Bonora
Romana, ligure di adozione. Nella vita professionale mi occupo di web, marketing & comunicazione a 360 gradi. Nel tempo libero sono una incontenibile space enthusiast, science blogger ed images processor, appassionata di astronomia, spazio, fisica e tecnologia, affascinata fin da bambina dal passato e dal futuro. Dal 2012 gestisco il sito web aliveuniverse.today, dal 2014 collaboro con diverse riviste del settore e nel 2019 è uscito il mio primo libro "Con la Cassini-Huygens nel sistema di Saturno". Amo le missioni robotiche.... per esplorare nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prima! Ovviamente, sono una fan di Star Trek!