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Grafene, il possibile futuro nel trattamento degli stati d’ansia

Secondo i primi studi su modelli animali, le nanoparticelle di ossido di grafene possono interferire con l'attività delle sinapsi e inibire la comparsa di stati d'ansia patologici.

Il grafene, un materiale costituito da uno strato monoatomico di carbonio, è spesso associato alla ricerca nel campo dell’elettronica e dei semiconduttori, quasi mai invece all’ambito della medicina. L’uso di nanoparticelle di grafene come carrier per farmaci, tuttavia, è un campo di grande interesse e la ricerca che esplora questa applicazione è già all’opera da molti anni.

Di recente, sulla rivista Biomaterials, ricercatori della SISSA di Trieste hanno pubblicato un articolo che documenta la possibilità di usare questo materiale come vettore nella medicina di precisione e, in particolare, nel trattamento di stati d’ansia patologici.

Il grafene e i comportamenti di ansia

Lo studio si è concentrato sul Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD), dividendo l’esperimento in due fasi: una in vivo e una in vitro. Nella prima un comportamento ansioso è stato stimolato nei ratti attraverso l’odore di un predatore (un gatto). L’esperienza era così impressa nella memoria del ratto, che anche nei giorni successivi se messo a contatto con il particolare odore attua gli stessi comportamenti di difesa. Questo tipo di stimolazione, secondo gli scienziati, modifica l’attività neuronale dell’amigdala, rendendola quindi un target adatto alla somministrazione del nanomateriale.

L’ipotesi era che il grafene avrebbe bloccato l’attività transitoria delle sinapsi, e che quindi l’animale non avrebbe sviluppato lo stato d’ansia osservato precedentemente. Il risultato si è dimostrato quello atteso: dopo due giorni dalla somministrazione i ratti trattati avevano dimenticato la risposta di ansia e non attuavano i meccanismi di difesa preventiva.

Nella seconda fase, si è passato a studiare i meccanismi fisiologici in vitro con cui le nanoparticelle di grafene interagiscono con i neuroni. Per far questo si è prelevato un campione di amigdala, osservando che in effetti il meccanismo è specifico per le sinapsi coinvolte nelle risposte eccitatorie a stati di ansia e stress.

Lo studio ha permesso di comprendere ancora più nel dettaglio il funzionamento delle sinapsi e dei neuroni in particolari condizioni fisiologiche, ed è un primo tassello nella ricerca di un possibile impiego farmacologico futuro del grafene nel trattamento di disturbi psichiatrici e neurologici.

Il grafene interferisce con le sinapsi

Già da precedenti studi era stato evidenziato come nanoparticelle di ossido di grafene riuscissero a interagire con le sinapsi delle cellule neuronali, in particolare deprimendo la produzione del neurotrasmettitore glutammato. Questo neurotrasmettitore riveste un ruolo fondamentale nell’attività delle sinapsi e sembra essere implicato non solo nelle malattie neurodegenerative, ma anche in numerosi disturbi psichiatrici e neurologici. Va da sé che il glutammato sia, quindi, un target importante nello studio del funzionamento di questo tipo di patologie e di disturbi.

In uno studio pubblicato nel 2019 su Nano Letters, ad esempio, veniva evidenziato proprio come fiocchi di ossido di grafene riuscivano a ridurre significativamente l’attività del glutammato senza però intaccare la vitalità cellulare sia in vitro che in vivo. Partendo da questo assunto, i ricercatori si sono chiesti se fosse possibile alterare un comportamento specifico, come ad esempio uno stato di ansia patologica che si sviluppa in seguito a una ipereccitabilità transitoria di alcune sinapsi.

Il grafene e la biomedicina

La ricerca portata avanti dagli scienziati della SISSA è solo una delle molte ricerche che riguardano l’uso del grafene in medicina. Fin da quando è stato isolato per la prima volta nel 2004, il grafene ha ottenuto molta attenzione da parte dei ricercatori grazie alle sue proprietà fisiche e chimiche. È un materiale incredibilmente versatile che può trovare applicazione in numerosi campi, non ultimo quello della medicina.

Fra i molti progetti sul tema finanziati dall’Unione Europea, quello legato al grafene (Graphene Flagship) è particolarmente vasto e abbraccia un gran numero di aziende e istituzioni scientifiche, con moltissime pubblicazioni all’attivo. Oltre che per le sue interazioni con le sinapsi, il grafene ha dimostrato di poter interagire con un gran numero di biomolecole, destando un certo interesse anche come possibile antitumorale e antimicrobico.

Le proprietà ottiche e magnetiche del grafene, inoltre, lo rendono un materiale promettente sia per quanto riguarda la messa a punto di dispositivi ottici che biosensori per diagnosi precoci. Ulteriori applicazioni sono nel campo delle protesi, in particolare delle protesi articolari e ossee, in cui non solo si possono sfruttare le caratteristiche strutturali del materiale, ma anche le sue proprietà antibatteriche per ridurre al minimo il rischio di infezione legato a questo tipo di interventi.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Photo by Joice Kelly on Unsplash

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Chiara D'Errico
Chimica organica e biomolecolare, studente del Master in Comunicazione della Scienza alla SISSA di Trieste, divoratrice di libri e cinefila a tempo perso. Non riesco a fare niente senza del té nero bollente.