CERVELLI ARTIFICIALI

Chi si fida delle recensioni online?

Quella delle recensioni false è una piaga difficile da estirpare. Risale a pochi giorni fa la scoperta di 200 mila falsi recensori, l'ultimo di una lunga serie di scandali.

Trovare un tavolo libero nell’esclusivo The Shed at Dulwich era un miraggio. Nel 2017, il ristorante era ai primi posti nella classifica di Tripadvisor di Londra. Chi leggeva le recensioni entusiaste e ammirava le foto dei piatti perfetti e del dehor del locale, non resisteva alla tentazione di telefonare, ma rimaneva deluso alla scoperta dell’esaurimento delle disponibilità per i sei mesi successivi. 

Se vi sembra solo l’ennesima storia del locale di grido in una grande città, siete fuori strada, perché il The Shed at Dulwich, semplicemente, non è mai esistito. Le foto ritraevano il giardino di Oobah Butler, un giornalista di Vice che se l’è inventato di sana pianta. Ha costruito un sito Internet, acquistato una sim con un numero di telefono dedicato e poi ha iniziato a lavorare alle pagine social e sul profilo di Tripadvisor, inserendo foto e recensioni false, ma credibili e coerenti tra loro. A chi telefonava, rispondeva che non c’erano tavoli liberi, facendo crescere ancora di più l’interesse.

Butler è riuscito a dimostrare che sì, è possibile diventare il ristorante più esclusivo di Londra anche solo grazie alla recensioni false.

Il punto di forza degli e-commerce

I grandi siti di e-commerce hanno fatto delle recensioni il loro punto di forza fin dall’inizio. Le inserzioni di Amazon, per esempio, hanno spesso centinaia o migliaia di recensioni, numeri ben diversi rispetto a quelli che possono vantare la maggior parte dei siti concorrenti. 

I sondaggi parlano chiaro: chi compra fa molto affidamento su rating e commenti. Tuttavia, non sempre quello che leggiamo riguardo ai prodotti è affidabile. “Difficile dare dei numeri precisi sul fenomeno, che spesso rimane sotto traccia, ma la portata è ampia”, spiega a OggiScienza Marinella Petrocchi, che presso l’IIT-CNR studia sistemi automatici per rilevare le recensioni false. In uno studio di qualche anno fa, il team della ricercatrice aveva individuato circa il 10% di recensioni false su un sito dedicato agli alloggi turistici in Toscana, ma la percentuale può salire a seconda del settore che si prende in esame.

Il problema si manifesta “ovunque ci siano piattaforme che permettono agli utenti di scrivere recensioni”,  come quello alberghiero e della ristorazione, ma anche nel mondo del commercio di oggetti di uso comune.

A inizio maggio 2021 un data breach ha portato allo scoperto un database con i dati di 200 mila falsi recensori. “Con tutta probabilità, si trattava di persone disposte a scrivere recensioni fasulle in cambio di denaro. Truffe di questo genere di solito non coinvolgono direttamente le piattaforme, bensì venditori terzi (poco onesti), che vogliono vedere il proprio prodotto scalare le classifiche”, spiega Petrocchi.

Questa ultima scoperta ha riportato alla ribalta quella che ormai è una piaga sempre più difficile da estirpare e che coinvolge tutte le Big, da eBay a Walmart.

Le tecniche

Negli anni si sono susseguite diverse inchieste giornalistiche, che hanno messo in luce come la pratica di pagare qualche dollaro per una recensione positiva si sia evoluta tanto da introdurre, inosservati, centinaia di commenti fasulli. “È ormai prassi quella di ordinare veramente il prodotto, in modo che il proprio acquisto sia contrassegnato come verificato, per poi scrivere la recensione senza nemmeno aprire il pacco e restituirlo subito dopo, ricevendo il rimborso e qualche dollaro extra”, racconta Petrocchi.

Una nuova tendenza è anche il cosiddetto brushing. Se il venditore riesce ad acquisire informazioni personali su un utente (nome, cognome, indirizzo) può crearsi un falso account a nome di quell’utente. Il venditore utilizzerà poi quello stesso account per ordinare i propri prodotti e ottenere così la possibilità di scrivere una generosa recensione verificata sulla propria merce. Nel frattempo, l’utente che ha subìto il furto di dati personali, ignaro di tutto, si vedrà recapitare pacchi che non ha mai ordinato, e che spesso non contengono neppure l’oggetto recensito, ma altri prodotti di scarso valore commerciale. Ipotizzando che si tratti di un piccolo omaggio, o semplicemente decidendo di non porsi il problema, la maggior parte delle volte non segnala l’avvenuto alla piattaforma. E la truffa passa inosservata. 

Algoritmi anti-fake

Per un utente è davvero difficile distinguere le recensioni vere da quelle fasulle: “Fatta eccezione per alcune regole base, come insospettirsi per un prezzo molto basso a fronte di recensioni fin troppo entusiaste, magari su una piattaforma poco conosciuta di e-commerce, l’utente a volte non può fare molto. Ma non tutto è perduto, perché possono venirci in soccorso gli algoritmi”.

Con gli strumenti automatici, infatti, possono emergere degli schemi specifici. “Una parte di commenti emerge dalla folla perché si distingue per avere un certo voto o perché il testo ha un certo stile. Come se riuscissimo a vedere che dietro c’è un’unica mano”, prosegue Petrocchi. Queste tecniche anti-fake non sono così facili da mettere a punto. I ricercatori devono scontrarsi con una serie di difficoltà, come la scarsità di database su cui “allenare” l’algoritmo e i pochi dati messi a disposizione dalle piattaforme stesse.

Le Big Tech, dal canto loro, provano a correre ai ripari mettendo a punto i propri classificatori automatici, visto che la piaga delle false recensioni costituisce un danno di immagine e di erosione di fiducia dei consumatori non indifferente.

Amazon ha dichiarato alla CNBC di utilizzare “potenti strumenti di apprendimento automatico e investigatori qualificati per analizzare oltre 10 milioni di invii di recensioni settimanali, con l’obiettivo di fermare le recensioni abusive prima che vengano pubblicate“. Tuttavia, scandali come l’ultimo dei 200.000 falsi recensori, dimostrano che il problema è ancora lungi dall’essere risolto.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Photo by Jonas Leupe on Unsplash

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Viola Bachini
Mi occupo di comunicazione della scienza e della tecnologia. Scrivo su giornali e riviste, collaboro con case editrici di libri scolastici e con istituti di ricerca per la comunicazione dei risultati al grande pubblico. Ho fatto parte del team che ha realizzato il documentario "Demal Te Niew", finanziato da un grant dello European Journalism Centre e pubblicato in italiano sull'Espresso (2016) e in spagnolo su El Pais (2017). Sono autrice del libro "Fake people - Storie di social bot e bugiardi digitali" (Codice - 2020).