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Dai meteoriti all’idrogeno, storia e prospettive dell’acciaio

Il materiale metallico si è dimostrato perno di molte rivoluzioni della storia umana. E avrà un ruolo anche nella prossima.

Le armi e le armature con cui gli spagnoli sconfissero gli inca, il primo motore a vapore, i ponti, le ferrovie, i macchinari per l’agricoltura industriale sono tutti fatti d’acciaio. Anche un monumento iconico come la Torre Eiffel è costituito di questo materiale, che ha un’origine antica.

Una storia di ferro

I primi manufatti in ferro, risalenti a più di tremila anni fa, avevano un origine extraterrestre. La loro composizione ricca in nickel indica infatti che siano stati prodotti a partire da rocce meteoriche. Per secoli la forgiatura dei metalli è stata considerata una pratica magica, i cui segreti erano custoditi da alchimisti. Le prime tracce della tecnica moderna si hanno agli inizi del millennio scorso, e il primo manuale di metallurgia conosciuto risale al 1540 ad opera di Vannoccio Biringuccio, chimico e metallurgista che fuse cannoni per la Repubblica Fiorentina e quella di Venezia.

All’inizio del diciottesimo secolo in Europa, la siderurgia si andava diffondendo talmente tanto da far scarseggiare i boschi per rifornirsi di legna. La scoperta del coke, ottenuto scaldando il carbone fossile in assenza di aria, si rivelò fondamentale per nuove fornaci in grado di raggiungere la temperatura di fusione del ferro: gli altiforni.

Questi sistemi però producevano una lega, una combinazione di elementi che formano un materiale metallico, ad alta concentrazione di carbonio, la ghisa. Questa è meno resistente, meno leggera e soprattutto più fragile dell’acciaio che è caratterizzato da percentuale di carbonio inferiore al 2%. Veniva quindi soffiata aria nella ghisa fusa in modo che l’ossigeno potesse ossidare il carbonio ed espellerlo come gas, abbassandone la concentrazione. Questo processo fu di difficile realizzazione fino al 1856, quando Henry Bessemer propose il suo processo per la fabbricazione di acciaio su larga scala in cui era presente il convertitore, un reattore rotante che permetteva la trasformazione rapida della ghisa in acciaio.

Negli anni successivi l’industria siderurgica vide la sua capacità produttiva aumentare a dismisura, soprattutto a cavallo delle due guerre mondiali dove non serviva solo a produrre armi ma anche ferrovie, aerei e navi. I progressi produttivi e la crescente richiesta di acciaio hanno fatto sì che l’industria siderurgica non abbia fermato la propria espansione. Infatti, i dati forniti dalla World Steel Association mostrano che la produzione mondiale di acciaio non ha mai smesso di crescere dal 1950. Nel 2020 il maggior produttore mondiale di acciaio è stato la Cina con 1053 milioni di tonnellate (megatonnellate, Mt) a fronte delle 1864 Mt mondiali, e l’India è seconda in classifica con “solo” 99,6 Mt. L’Europa, guidata da Germania e Italia, ne ha prodotto 138,8 Mt.

La chimica della produzione di acciaio

In natura, i minerali di ferro si presentano in gran parte come ossidi di questo elemento ad alto stato di ossidazione, +2 o +3. A elevate temperature si può ridurre il numero di ossidazione del ferro a 0 tramite un elemento riducente, formando ferro metallico. Nei moderni impianti che trattano minerali di ferro, l’altoforno consente di liberare il ferro dal suo legame con l’ossigeno. Questo attraverso l’utilizzo di grandi quantità di carbone e producendo ghisa. Successivamente il tenore di carbonio viene diminuito tramite il soffiaggio di ossigeno gassoso nella ghisa fusa, con la formazione di CO2.

La produzione di acciaio a partire dal minerale di ferro è sempre stata intimamente legata alla presenza di carbone. Questo, negli impianti che trattano i minerali di ferro svolge tre funzioni essenziali: viene bruciato per generare calore, viene utilizzato per sottrarre ossigeno al ferro e una piccola parte va a costituire parte del carbonio della lega d’acciaio. In sostanza, quasi tutto il carbone utilizzato diventa anidride carbonica.

L’industria siderurgica infatti è uno dei comparti industriali più impattanti al mondo. Emette circa 2,6 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno ed è responsabile del 7% delle emissioni globali derivanti dalla produzione di energia. L’Italia ospita diversi impianti di produzione dell’acciaio tra cui Piombino, l’acciaieria di Terni e l’impianto siderurgico più grande d’Europa: l’Ilva di Taranto. L’intensità di emissione di CO2 derivante dal settore del ferro e dell’acciaio in Italia è scesa da 28 Mt nel 1990 a circa 11 Mt nel 2018, accompagnata però da un crollo della produzione causato dalla concorrenza dei paesi asiatici.

In accordo con gli obiettivi di riduzione delle emissioni globali e per dare una prospettiva futura a un settore in crisi, l’Europa si sta preparando a una nuova sfida: la decarbonizzazione e il passaggio alla produzione del cosiddetto acciaio verde, a emissioni zero.

Diverse soluzioni sono state proposte per ridurre al minimo la dipendenza di questo settore dal carbone. In primo luogo l’acciaio può essere riciclato in piccoli impianti dotati di forni elettrici. Grazie al calore sprigionato da un arco voltaico generato fra degli elettrodi, questi possono arrivare a temperature di oltre 1600°C per fondere rottami e materiali di scarto e dargli nuova vita. Questa tecnica attualmente conta per circa il 28% della produzione mondiale di acciaio.

Un’altra opzione è quella di ridurre gli ossidi di ferro del minerale senza l’utilizzo di coke. Scaldandoli in presenza di gas ricchi di idrocarburi come il metano, questi riducono il ferro senza l’ausilio di un altoforno. Il metano si converte in CO2, che potrebbe essere intrappolata da sistemi di cattura e stoccaggio, sebbene su queste tecnologie ci siano parecchi dubbi. La riduzione diretta del minerale di ferro può essere effettuata anche utilizzando come riducente l’idrogeno molecolare, H2, generato da energia pulita. Dal minerale così ridotto si può poi produrre acciaio in un forno ad arco elettrico, alimentato anch’esso tramite energia verde.

Quest’ultima opzione sta prendendo sempre più piede grazie alla diminuzione dei costi di produzione dell’idrogeno tramite elettrolisi, ovvero la scissione dell’acqua in idrogeno e ossigeno gassosi mediante l’utilizzo di elettricità.

Da grigio a verde

L’Unione Europea nel suo Green Deal ha gli occhi puntati anche sul settore siderurgico e ha deciso di puntare sull’idrogeno.

Frans Timmermans, il commissario per il clima e il Green Deal europei, ha parlato di questo e del nostro Paese durante una conferenza stampa lo scorso settembre. “In Europa – ha affermato – poco più di un anno fa l’elettrolisi era una nicchia. Ora tutti lo vedono come uno degli elementi fondamentali per la creazione e lo stoccaggio di risorse energetiche sostenibili, utilizzando e adattando l’infrastruttura esistente”.

Riferendosi all’Italia invece, il vicepresidente della commissione europea ha aggiunto: “Conosco Taranto, e so che la città ha due anime. Una è l’indispensabile attività economica, l’altra è la devastazione ambientale causata da quell’attività. Immaginate di poter risolvere questo paradosso portando l’acciaio verde a Taranto. Si potrebbero creare un ambiente e un’economia sani. Non accadrà domani, ma le autorità nazionali insieme a noi e al settore siderurgico dovranno avere una visione di come arrivare a quel punto”.

La visione europea è quella di creare delle Hydrogen Valleys, in cui l’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili potrà essere utilizzato dai comparti produttivi presenti sul territorio, in particolar modo da quello siderurgico. “Non posso immaginare un’economia europea senza l’acciaio – ha concluso Timmermans – ma credo anche che l’acciaio grigio non abbia più molte opportunità nell’Europa del futuro”.

Tale visione potrebbe integrarsi con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano, che vedrà una parte consistente dei fondi destinata alla rivoluzione verde e transizione ecologica.

Diverse sono le spinte affinché l’industria siderurgica nostrana adotti una svolta verde. Per esempio, Legambiente indica tra le sue proposte per un’Italia più verde, innovativa e inclusiva proprio l’acciaio verde, in particolar modo per il sito pugliese. “A Taranto è prioritario ridimensionare la capacità produttiva del ciclo integrale a carbone – si legge nel report – grazie alla costruzione di forni elettrici e alla realizzazione di un impianto che utilizzi l’idrogeno verde per produrre acciaio, sulla falsariga del progetto svedese Hybrit”.

Hybrit, Hydrogen Breakthrough Ironmaking Technology, è un progetto pilota per produrre acciaio verde a zero emissioni in cui tutti i passaggi che attualmente necessitano di carbone utilizzano l’idrogeno. Lo scopo del progetto è quello di utilizzare idrogeno prodotto da fonti rinnovabili per produrre acciaio con emissioni di anidride carbonica quasi nulle.

Se l’acciaio verde riuscisse a diventare realtà, potrebbe dare un contributo fondamentale alla transizione ecologica. Dimostrerebbe così ancora una volta di poter contribuire a una rivoluzione che tutti auspicano.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Photo by Christophe Dion on Unsplash

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Nicola De Bellis
Chimico dell'ambiente, Studente del master MCS. Seguo il basket NBA e, quando non sono in corso pandemie, ogni tanto viaggio lontano.