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Il gioco d’azzardo tra Covid e riaperture

La chiusure di bar e sale slot ha avuto un effetto positivo sui giocatori d'azzardo patologici, grazie alla distanza forzata. Ora il dubbio sugli effetti delle riaperture, che li esporranno nuovamente ai fattori di dipendenza.

Il locale che fa angolo è uno dei più vistosi di Porta Palazzo, nel cuore multietnico di Torino. Le insegne promettono vincite facili in denaro, ma le porte della sala slot sono serrate da mesi. Da quando sono state stabilite le chiusure delle attività non essenziali. Tutto intorno c’è il mercato e la gente non sembra badare troppo a queste mura. Solo un ragazzo commenta: “adesso è chiusa, ma di solito è piena di gente”. E c’è da credergli.

I dati indicano che oltre 8 milioni di residenti in Italia possono considerarsi giocatori abituali, alimentando un business che nel 2019 aveva raggiunto la cifra di 110 miliardi di euro di raccolta e la cui crescita sembrava inarrestabile – fino allo scoppio della pandemia -, ma che ha generato anche un milione e mezzo di giocatori considerati patologici. Persone intrappolate nell’unica dipendenza riconosciuta dal DSM-5 a non essere associata ad alcun consumo di sostanze. Per molti di loro, gli studi indicano che il lockdown ha rappresentato una finestra di serenità fatta di ritorno a vite normali, con sogni e ambizioni slegati dalla loro dipendenza. Una serenità dovuta alla chiusura forzata di bar e sale slot, che rischia di essere minacciata dalle riaperture dei prossimi mesi.

Una vita per il gioco d’azzardo e i benefici del lockdown

La normalità pre-Covid, per molti giocatori patologici, corrispondeva a una totale dedizione al gioco. “Pur di giocare inventavo riunioni o altre scuse banali, spesso poco credibili”, racconta C, un ex giocatore che ha accettato di parlare della sua esperienza. “É capitato anche che fossero le mie figlie piccole a prelevare me e mia moglie dalla sala slot, dopo che eravamo lì da oltre 12 ore dimenticandoci anche di preparare loro il pranzo”.

Persone come C sono state osservati speciali durante i mesi di lockdown, temendo reazioni in risposta all’astinenza forzata. Timore, però, rivelatosi infondato. “Per me il lockdown è stato un periodo molto positivo”, afferma C, e non sembra essere un caso isolato. Già a giugno 2020, il CNR aveva pubblicato i dati ottenuti da un questionario sulle abitudini dei giocatori italiani a cui hanno partecipato quasi 4 mila persone. Le risposte evidenziano una netta riduzione del gioco per quasi un terzo degli intervistati (35,4% ), e la totale interruzione per oltre un quinto di loro (22,8%). Dai risultati emerge anche che questi non sono migrati verso il gioco online, che attira profili distinti dagli utenti tradizionali.

Miglioramenti economici, emotivi e relazionali

Miglioramenti emersi in maniera ancora più netta in un lavoro, pubblicato su International Journal of Environmental Resaerch and Pubblic Health, condotto tra 135 utenti dei Ser.D di Piacenza, la Spezia e Parabiago (MI), a cui ha collaborato anche l’associazione AND-Azzardo e Nuove Dipendenze-. In questo caso, ai partecipanti è stato somministrato un questionario telefonico per valutare il loro stato emotivo, i loro rapporti interpersonali e se l’assenza delle abituali fonti di gioco li stesse spingendo verso nuove modalità di gioco d’azzardo.

Per tutti i partecipanti, il periodo di chiusura è coinciso con un miglioramento significativo nella loro qualità di vita. Con meno comportamenti di gioco e minore desiderio. Un beneficio anche emotivo e relazionale, non solo economico. “Per gli intervistati questo periodo è stato vissuto come una liberazione. Dichiaravano una rinnovata fiducia nel futuro”, commenta Daniela Capitanucci, psicoterapeuta referente scientifica di AND e tra le autrici dello studio. “Mostravano la volontà e la capacità di vivere e progettare un futuro, hanno rinnovato rapporti umani con parenti e amici. Quasi impensabile fino a pochi mesi fa”.

Tra condizionamento operante e rischio di ricadute

A preoccupare gli esperti è adesso il rischio di ricadute, in parte connaturate all’essenza delle modalità di gioco d’azzardo. “Il funzionamento del gioco d’azzardo è analogo agli schemi del condizionamento operante di Skinner”, spiega Capitanucci, che è anche coautrice del libro Perché il gioco d’azzardo rovina l’Italia (Terrasanta, 2020), “ciò rende il rischio di ricadute particolarmente elevato. Perché una volta imparati, certi automatismi sono difficilissimi da scardinare”.

Il condizionamento operante è la propensione a ripetere un gesto se questo viene adeguatamente rinforzato. La sua definizione si deve allo psicologo americano Burrhus Skinner e al suo importante esperimento, in cui i topi sono liberi di girare per una gabbia (la Skinner box), dove sono presenti delle levette o dei pulsanti da attivare per ottenere del cibo. Il comportamento dei topi diventa compulsivo quando il rilascio non è continuo ma casuale, e il topo non può essere certo di ottenere la ricompensa.

In maniera simile, una vincita non prevedibile può innescare la spasmodica ricerca della nuova ricompensa nel giocatore.  Come racconta sempre C, “dopo una vincita di poche migliaia di euro non riuscii più a smettere. Contrassi debiti sempre maggiori aspettando la vincita che mi avrebbe riscattato”. Ma slot machine e gratta e vinci sono progettati per non essere mai in perdita, e l’attesa risulta inevitabilmente vana.

Il gioco e il pensiero magico

Intanto, chi sviluppa la dipendenza può associarla a credenze irrazionali. “A complicare le cose c’è la tendenza di molti giocatori ad associare il gioco al pensiero magico. Ovvero alla convinzione di poter influenzare eventi non controllabili, o legarsi a superstizioni”, afferma Mauro Croce, psicologo, fondatore dell’associazione Alea ed ex-dirigente ASL VCO.

È quindi normale incontrare persone che trovano nelle lotterie riferimenti cabalistici, riversano la propria passione per i numeri nei gratta e vinci, o curano le slot machine, convinti che se hanno incassato molti soldi durante la giornata siano prossime a concedere una vincita. Acquisiti questi comportamenti, può bastare un singolo evento per riattivare la dipendenza anche in chi sembra esserne uscito. Come l’episodio accaduto a un altro ex giocatore, E, che racconta di una ricaduta dopo aver visto un ragazzino perdere cento euro alla slot machine. “Mi avvicinai a lui per dissuaderlo dal gioco, convincerlo a smettere. Fui io a ricadere nel vizio”.

Le riaperture, un momento critico per i giocatori problematici

Con queste premesse, i miglioramenti osservati durante le chiusure potranno rivelarsi tanto fragili quanto precari al momento delle riaperture.

Indizi in tal senso provengono anche da uno studio guidato dall’Istituto Superiore della Sanità, condotto su persone tra i 18 e i 74 anni di età, i cui partecipanti sono stati intervistati per indagare la propensione al gioco d’azzardo nei mesi a cavallo della pandemia. L’abitudine al gioco passa dall’interessare il 16% dei partecipanti in epoca pre-Covid, al 9% del totale nei mesi di lockdown, per poi risalire al 18% nei durante aperture parziali.

Le oscillazioni sono più marcate per il gioco fisico, che passa dal 9,9% al 2% durante le chiusure, per risalire all’8% con le riaperture parziali. L’online ha invece una diminuzione meno marcata, dal 10% all’8%, ma schizza al 13% con la ripresa delle attività. Sono numeri che non indicano per forza un rapporto problematico col gioco, ma certificano un rischio reale per i soggetti più fragili.

La connessione tra offerta e dipendenza è d’altro canto nota da almeno un ventennio. In un’importante ricerca, pubblicata nel 2002 su Addiction da Alex Blaszczynski e Lia Nower, si osservava come in tutte le tipologie di giocatore patologico, l’insorgere della dipendenza fosse legato a quelli che loro chiamavano fattori ecologici. Ovvero, la disponibilità e l’accessibilità del gioco d’azzardo.

L’evoluzione del gioco tra soldi e salute

Il lavoro di Blaszczynski e Nower arrivava nel pieno di una rivoluzione del gioco, che lo avrebbe trasformato da attività di nicchia a fenomeno di massa. “È stato un vero e proprio tsunami. In quegli anni il gioco d’azzardo ha smesso di essere considerato un problema di ordine pubblico ed è diventato una fonte di introiti sempre maggiore anche per lo Stato”, afferma Croce.

“Fino a quel momento nel gioco si potevano ritrovare anche elementi di socialità. Era una pratica lenta, con partite lunghe e le conseguenti vincite o perdite si protraevano nel tempo. Non dico che fosse buono, ma era una cosa molto diversa rispetto al panorama odierno. Con l’arrivo dei giochi veloci, ampiamente pubblicizzati, queste dinamiche sono scomparse e i giocatori si sono trasformati in consumatori compulsivi di questa nuova merce”.

In questi anni la raccolta è letteralmente esplosa. Tra il 2000 e il 2016 il volume del gioco d’azzardo legale è quintuplicato, arrivando a 96 miliardi di euro di raccolta. Nel 2018 aveva sfiorato i 107 miliardi di euro e nel 2019 ha raggiunto e superato i 110 miliardi. Trend alimentato negli ultimi anni anche dall’avvento del gioco online, che ha attratto molti nuovi giocatori su cui però è ancora difficile fare valutazioni. “Purtroppo sull’online non abbiamo abbastanza dati a disposizione”, osserva Capitanucci, “l’unica cosa che possiamo affermare è che chi è in cura per la dipendenza da gioco fisico non sembra spostarsi verso l’online”.

Per il futuro servono scelte importanti e coraggiose

Di fronte a questi numeri servono provvedimenti anche legislativi per contrastare efficacemente la dipendenza da gioco d’azzardo. Su questo punto C è netto: “vanno chiuse le sale slot”. Mentre secondo Capitanucci “servono scelte politiche importanti, la terapia aiuta ma dobbiamo limitare l’accesso alle fonti di gioco. È vero che stiamo parlando di molti soldi, ma gran parte della raccolta arriva da giocatori con dipendenza. C’è un problema etico di fondo”.

Dello stesso avviso è anche Mauro Croce: “non sono contro il gioco in assoluto, ma credo vada regolamentato severamente. Un buon esempio è la legge piemontese, che ha dato i suoi frutti anche se è stata messa in discussione di recente da alcuni partiti”. La legge in questione è la Legge Regionale n. 9/2016, che limita gli orari per giocare d’azzardo e stabilisce una distanza minima di 500 metri delle sale da gioco dai alcuni luoghi sensibili come residenze per anziani, scuole e banche. Dalla sua approvazione nel 2016 al 2019 il gioco in Piemonte è diminuito del 9,7%. Dimostrando che una via d’uscita è possibile ma la decisione deve essere politica.


Leggi anche: Una fotografia del gioco d’azzardo in Italia

Photo by Erik Mclean on Unsplash

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Simone Clemente
Biologo di formazione, specializzato in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste. I miei temi sono ambiente e salute, mi interessa la scienza nel suo interagire con la vita delle persone.